Compensi agli amministratori deducibili se congrui: quando eccessivi possono essere disconosciuti?

I compensi degli amministratori di società sono deducibili dal reddito d’impresa se congrui e deliberati dall’assemblea dei soci.

deducibilità dei compensi degli amministratoriA norma dell’art. 2389 c.c., i compensi spettanti ai membri del Consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea, sempreché la misura dei predetti compensi sia già stata stabilita dallo statuto societario (art. 2364 c. 1 n. 3 c.c.).

La disciplina dei compensi spettanti agli amministratori è stata oggetto di diversi interventi giurisprudenziali e dottrinali, considerati i diversi aspetti problematici che gli stessi presentano: su tutti, la possibilità di sindacare la congruità dei compensi corrisposti dalle società agli amministratori, nonché la necessaria presenza di una delibera assembleare che attribuisca certezza e determinabilità al compenso, con conseguente riconoscimento della deducibilità dello stesso.

La possibilità per l’Amministrazione finanziaria di sindacare la congruità del compenso corrisposto agli amministratori e, dunque, la sua deducibilità, è stata oggetto di numerosi dibattiti a livello giurisprudenziale.

Si rammenta, infatti, che, una parte della giurisprudenza di legittimità ha negato la deducibilità di tale componente reddituale, per mancanza di inerenza, in presenza di compensi sproporzionati rispetto al volume di affari della società, considerando

“legittimo il sindacato dell’Amministrazione finanziaria sull’importo dei compensi agli amministratori se non proporzionati ai ricavi” (Cass., sent. n. 12813/2000; Cass., sent. n. 13478/2001).

Tale interpretazione è stata, inoltre, sostenuta recentemente dall’Agenzia delle Entrate la quale ha ribadito

“la deducibilità dal reddito d’impresa degli emolumenti corrisposti agli amministratori di società, affermando che l’Amministrazione finanziaria ha la possibilità, in sede di controllo, di disconoscere totalmente o parzialmente la deducibilità degli stessi allorché i compensi appaiano insoliti, sproporzionati o strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi” (R.M n. 113/E del 31 dicembre 2012).

Ancora, sulla possibilità di sindacare la congruità dei compensi corrisposti dalle società agli amministratori, con possibile negazione della deducibilità nel caso di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, si è espressa, di recente, la Giurisprudenza di Legittimità (sentenza n. 3243 del 11 febbraio 2013) secondo cui:

“la deducibilità dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o contratti (Cass., sent. n. 13478 del 30.10.2001; Cass., sent. n. 12813 del 27.9.2000), rientrando nei normali poteri dell’ufficio la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e nella dichiarazione”.

Alla luce di tale autorevole orientamento, l’Amministrazione finanziaria può, quindi, disconoscere, nella fase di accertamento, i costi eccessivi che le società contabilizzano relativamente ad alti compensi degli amministratori e ciò anche in presenza di contabilità regolare e nessuna violazione di legge.

Oltre alla questione della congruità, si è sviluppato l’ulteriore dibattito circa la necessità o meno dell’adozione di una specifica delibera assembleare che riconosca la spettanza dei predetti compensi.

Come sopra anticipato, l’art. 2389 c.c. dispone che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo devono essere stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea.

Ciò nonostante, in dottrina e giurisprudenza, si sono sviluppati, nel corso del tempo, orientamenti diversi.

Secondo un primo orientamento, è necessaria una esplicita delibera assembleare: “è indeducibile il compenso corrisposto ma non spettante in quanto non previamente e specificamente deliberato.

Né a conclusioni difformi può indurre la considerazione che vi sia stata una delibera assembleare di ratifica della corresponsione del compenso … stante la considerazione che al momento della corresponsione i compensi degli amministratori devono essere già ‘spettanti’, cioè già deliberati secondo il disposto dell’art. 95, comma 5, TUIR” (CTP Reggio Emilia 18.10.2010, n. 186). La predetta sentenza poggia le proprie fondamenta sulle determinazioni della Corte di Cassazione (assunte con la sentenza 29.8.2008, n. 21933) la quale (riconoscendo la natura di norma imperativa del citato art. 2389 c.c., con conseguente inderogabilità della stessa) ha affermato la nullità dell’atto che stabilisce il compenso degli amministratori se diverso da quello di nomina o dalla delibera assembleare.

Parte della giurisprudenza di merito, non era stata però di questa opinione. Ad esempio, è stato affermato che, se il diritto al compenso emerge dal verbale dell’assemblea di nomina dell’amministratore, dal verbale del consiglio di amministrazione di accettazione della stessa e dall’approvazione del bilancio (che implicitamente ratifica il compenso), il compenso è deducibile (CTP Torino 23 giugno 2011 n. 96/5/11).

Recentemente, però, la Corte di Cassazione, tornando sull’argomento con le sentenze 19.7.2013, nn. 17673 e 4.9.2013, 20265, e rifacendosi all’orientamento espresso nella citata sentenza n. 21933 del 2008, ha ribadito nuovamente la necessità di una specifica delibera assembleare che riconosca la spettanza dei compensi anche ai fini della deducibilità degli stessi: non è deducibile il compenso erogato all’amministratore di società se difetta la delibera assembleare relativa alla sua approvazione, posto che, come sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza 29.8.2008 n. 21933, senza delibera non sussiste alcun diritto al compenso.

Pertanto, non può essere accettata la tesi del giudice di merito, secondo cui la deducibilità andava riconosciuta in quanto il costo era stato iscritto a Conto Economico e risultava dai libri paga (Cass. 4.9.2013 n. 20265).

 

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24 ottobre 2013

Sandro Cerato