Anche i parametri vogliono il contraddittorio

come avviene per gli studi di settore, anche per l’accertamento basato sui ‘parametri’ è necessario che il fisco si attivi al contraddittorio col contribuente per ricostruirne la reale posizione

Con la sentenza n. 19767 del 28 agosto 2013 (ud. 13 giugno 2013) la Corte di Cassazione ha confermato la necessità del contraddittorio preventivo per gli accertamenti parametrici.

 

La sentenza

La Corte di Cassazione dà atto che “i parametri previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, e, soltanto ove siano stati contestati, in sede di contraddittorio con il contribuente, sulla base di allegazioni specifiche, sono inidonei a supportare da soli l’accertamento medesimo, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa”.

Nel caso di specie, “vertendosi in ipotesi nella quale, come si evince dal ricorso, il contribuente aveva risposto all’invito dell’Ufficio impositivo al contraddittorio, il giudice ha rilevato che di tali circostanze di fatto specifiche, al fine di ‘giustificare’ un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse, circostanze che dovevano essere vagliate dall’Ufficio come idonee ad escludere quelle condizioni di normalità necessarie per l’inserimento di un’impresa nell’area dei soggetti ai quali possono essere applicati gli standards previsti dall’utilizzo dei parametri, non vi era alcun cenno nella motivazione dell’avviso, per tali motivi del tutto carente”.

La Corte ribadisce, quindi, che “nell’accertamento mediante l’applicazione dei parametri, assume rilievo primario il contraddittorio con il contribuente, dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la ‘presunzione’ indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e pertanto la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio: è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente”.

 

Nota

Il legislatore tributario, avvertendo la necessità di elaborare un criterio maggiormente efficace rispetto ai coefficienti presuntivi, con la legge Finanziaria 1996 (legge 28 dicembre 1995, n. 549) dopo aver abrogato il sistema dei coefficienti, a decorrere dagli accertamenti relativi al periodo di imposta 1995, decise di procedere da un lato alla ridefinizione dei tempi di avvio dell’elaborazione degli “studi di settore”, già previsti dal d.l. 30 agosto 1993, n. 331 e, dall’altro, introdusse la possibilità, fino alla approvazione degli studi di settore, di effettuare gli accertamenti di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d, del decreto del Pres. della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, “senza pregiudizio della ulteriore azione accertatrice con riferimento alle medesime o alle altre categorie reddituali, nonché con riferimento ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”, utilizzando i parametri di cui al successivo comma 184 “ai fini della determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari ”.

I parametri furono elaborati con D.P.C.M. 29 gennaio 1996, poi modificato con D.P.C.M. 27 marzo 1997.

L’art. 3, c. 125, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 precisò che “Le disposizioni di cui ai commi da 181 a 187 dell’articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, riguardanti gli accertamenti effettuati in base a parametri, si applicano per gli accertamenti relativi ai periodi di imposta 1996 e 1997 ovvero, per i contribuenti con periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, per gli accertamenti relativi al secondo e al terzo periodo”.

La disciplina sui parametri non richiede espressamente la necessità del contraddittorio con il contribuente, ma prevede (comma 185) che l’accertamento di cui al comma 181 può essere definito ai sensi dell’articolo 2-bis del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, limitatamente alla categoria di reddito che ha formato oggetto di accertamento (accertamento con adesione).

Peraltro, la necessità del previo contraddittorio anche nell’accertamento tramite i parametri, è stata affermata dalla Sez. V, della Corte, sent. n. 2816 del 07/02/2008, secondo cui:

  • anche se non sia espressamente previsto, il contraddittorio procedimentale amministrativo è necessario anche in materia tributaria in forza del principio generale dell’azione amministrativa del giusto procedimento, trattandosi di applicare ad un caso di specie uno dei criteri elaborati per categorie di soggetti e con efficacia di presunzione semplice, che comporta l’inversione dell’onere della prova e il suo caricamento sulle spalle del contribuente;

  • la mancata partecipazione del contribuente, debitamente invitato, all’attività amministrativa istruttoria in contraddittorio con l’ufficio tributario legittima l’adozione dell’avviso di accertamento presuntivo.

 

Con la sentenza n. 24912 del 10/10/2008, la Cassazione ha affermato che “in tema di accertamento dell’IVA, i parametri sono fondati su una presunzione legale relativa, con la conseguenza che il contribuente può sempre dimostrare l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dei maggiori indici di reddito in essi previsti, dando prova di specifiche circostanze che rivelino il conseguimento di un ammontare di ricavi inferiore; i coefficienti presuntivi di reddito rappresentano, infatti, un valore minimale nella determinazione del volume d’affari, che si pone alla base dell’accertamento del reddito in un’ottica statistica, non astratta, bensì riferita al singolo settore economico”.

Successivamente, nello stesso senso, si è pronunciata la sentenza n. 8420 del 07/04/2009.

In questo contesto, la stessa Corte di Cassazione rileva che sembrano emergere spazi “per la sufficienza dello scostamento dai parametri a fondare l’accertamento, salva la prova contraria del contribuente”. E’ questa la linea suggerita dalla sentenza n. 3288 del 11/02/2009.

A questa prospettiva, pur senza fare espresso riferimento al concetto di presunzione legale, sembra aderire la sentenza n. 10945 del 14/05/2007, che ha affermato che l’applicazione degli stessi “non necessita di motivazione specifica. È sufficiente l’indicazione dell’applicazione di tali parametri, in relazione ai quali, poi, è il contribuente a dovere, e potere, eccepirne la inapplicabilità per ragioni contingenti, collegate a specifiche realtà locali, eventi straordinari e così via”.

Altre decisioni, però, non fanno riferimento al concetto di presunzione legale relativa ed affermano la natura meramente presuntivadei parametri, i quali “rappresentano non già un fatto noto storicamente verificato, suscettibile di evidenziare in termini di rilevante probabilità l’entità dei ricavi del contribuente medesimo, ma, piuttosto, il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali, che fissa soltanto una regola di esperienza. Pertanto, tali valori sono espressione di presunzioni non qualificabili come gravi, precise e concordanti, indicando, diversamente dai risultati valutativi emergenti da medie elaborate con riferimento all’andamento economico della specifica impresa interessata, solo in via ipotetica la redditività dell’attività dell’impresa medesima, cosicché, laddove essi siano contestati sulla base di allegazioni specifiche, si rivelano inidonei a suffragare la fondatezza dell’accertamento, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ove non risultino confortati da elementi concreti derivanti dalla realtà economica dell’impresa“ (Sez. V, sent. n. 26459 del 04/11/2008).

Ancor più netta è la sentenza n. 10945 del 14/05/2007, secondo cui l’applicazione dei parametri “non necessita di motivazione specifica. È sufficiente l’indicazione dell’applicazione di tali parametri, in relazione ai quali, poi, è il contribuente a dovere, e potere, eccepirne la inapplicabilità per ragioni contingenti, collegate a specifiche realtà locali, eventi straordinari e così via”. Si è però distinto tra il profilo relativo alla motivazione e quello concernente la prova: posto che l’avviso di accertamento ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio e di mettere il contribuente in grado di conoscere l”an‘ ed il ‘quantum‘ della pretesa tributaria, per approntare idonea difesa, nel caso di accertamento delle imposte sui redditi in base a parametri (nella specie, quelli di cui all’art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e dal successivo d.p.c.m. 29 gennaio 1996), l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti dei parametri adottati e delle relative risultanze, mentre le questioni attinenti l’idoneità del criterio parametrico applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria”.

Ed ancora con l’ordinanza n. 15909 del 6 luglio 2010 (ud. del 26 maggio 2010) la Corte di Cassazione ha ribadito la necessarietà del contradditorio nella procedura di accertamento mediante parametri, estendendo comunque tale principio anche agli studi di settore. Per la Corte (richiamando la sentenza a SS.UU. n. 26635 del 18/12/2009) “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ‘ex lege‘ determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli ‘standards‘ in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli ‘standards‘ o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard‘ prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli ‘standards’ al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli ‘standards‘, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

 

17 ottobre 2013

Francesco Buetto