Accertamento induttivo anche senza questionario preventivo

Quando ne ricorre il caso (ad esempio quando le scritture contabili non appaiono essere tenute correttamente), il Fisco può utilizzare lo strumento dell’accertamento induttivo anche senza inviare il questionario preventivo di prassi al contribuente.

Con la sentenza n. 20256 del 4 settembre 2013 (ud. 24 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha affermato che per l’effettuazione di un accertamento induttivo non è necessario il preventivo questionario.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il paradigma normativo del procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non prevede, quale suo presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica, l’invio del questionario di cui all’art. 32, n. 4, sicchè il mancato invio non inficia la perfezione e la validità del procedimento di rettifica, che restano subordinate alla sola carenza dei presupposti di cui all’art. 38 del suddetto decreto (principio consolidato: vedi Cass. 20 giugno 2007, n. 14367; Cass. 23 giugno 2006, n. 14675; Cass. 453/2013).

La norma, infatti, non ha come obiettivo di impedire la manipolazione fraudolenta delle scritture contabili, essendo invece dettata, come anche quella che prevede la comparizione personale del contribuente (art. 32 cit., comma 1, n. 2), allo scopo di favorire il dialogo fra le parti, in vista di un chiarimento pre-contenzioso delle reciproche posizioni, con risparmio di energie economiche e processuali.

Sicchè il soggetto è posto in condizione di rispondere – e rendere in tal modo possibile un chiarimento utile ad entrambe le parti – o non rispondere ed attendere l’esito dell’accertamento in corso; fermo restando (ad ulteriore dimostrazione dello spirito di collaborazione e di dialogo cui la norma in esame è ispirata) che egli ha pur sempre facoltà di dimostrare con idonea documentazione, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6).

Inoltre, se la mancata risposta sia dipesa da impossibilità obiettiva di rispondere o da qualunque altra causa incolpevole, l’allegazione tempestiva di tale circostanza impedisce qualunque preclusione nella successiva ed eventuale fase contenziosa (Cass.28049/2009). In caso di mancato esercizio di tale facoltà, di invio del questionario, da parte dell’ufficio, l’iniziativa è consentita al contribuente (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6); anche la mancata risposta al questionario, se giustificata mediante l’allegazione di una causa d’impossibilità incolpevole, non comporta alcuna preclusione”.

 

 

Brevi note sull’accertamento induttivo

Con sentenza n. 13305 del 17 giugno 2011 (ud. del 15 marzo 2011) la Corte di Cassazione ha fornito un vero e proprio vademecum in materia di accertamento induttivo, distinguendolo dall’accertamento analitico con posta induttiva sui ricavi, facendo così giustizia di tutta una serie di pronunce di merito divergenti.

In materia di redditi di impresa, l’art. 39, c.2, del D.P.R. n. 600/73 consente all’Ufficio di condurre l’accertamento sulla base dei datie delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, senzariferimento alla contabilità del contribuente (“In deroga alle disposizionide comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresasulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a suaconoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanzedel bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersianche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lett. d) del precedentecomma“), in una serie di ipotesi tra le quali ècompresa quella in cui lacontabilità del contribuente sia resa inattendibile da gravi, numerose eripetute omissioni e false o inesatte indicazioni o irregolarità formaliquando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ovvero le irregolarità formali delle scritture contabilirisultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute darendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanzadelle garanzie proprie di una contabilità sistematica).

Rileva la Corte che detta metodologia di accertamento (c.d. extracontabile) risulta legittima in materia di accertamento dei redditi di impresa, per il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, c. 2, lett. d (analoga disposizione è peraltro dettata in materia di accertamento IVA dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55)

“solo se la contabilità del contribuente risulti viziata da irregolarità così gravi, numerose e ripetute da risultare inattendibile. Da ciò consegue che l’esistenza di tali irregolarità, se contestata dal contribuente, dev’essere dimostrata dall’Amministrazione e sulla relativa questione di fatto il giudice si deve pronunciare con adeguata motivazione”. I

n ordine alla sussistenza dei presupposti per l’accertamento extracontabile, Cass. 16724/2005:

“Ai fini della legittimità del ricorso all’accertamento induttivo in materia di IVA, alla luce del disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,art. 55, comma 2, n. 3, in presenza di violazioni (riguardanti, nella specie, la mancata conservazione delle bolle di accompagnamento, la mancanza di pagine nel registro degli inventali e la omessa redazione dell’inventario delle rimanenze) plurime e ripetute (in quanto riferite a più annualità), che sembrino, pertanto, ‘ictu oculi’ compromettere una trasparente ricostruzione dell’attività commerciale svolta dal contribuente, il giudice del merito è tenuto a spiegare perchè la contabilità possa essere considerata, comunque, attendibile, e perchè, quindi, le violazioni non siano da considerarsi gravi.

Il parametro della ‘gravità’, in tali casi, può infatti essere ricavato soltanto in negativo, nel senso che, normalmente, violazioni numerose e ripetute rendono di per sè inattendibili le scritture contabili, a meno che non si tratti di violazioni di scarso rilievo, configurandosi, quindi la ‘non gravità’ come eccezione, che come tale va dimostrata dal contribuente e deve essere oggetto di motivazione specifica da parte del giudice di merito”.

In pratica, la norma non impone di sentire preliminarmente il contribuente. Anche perché, ove lo ha voluto, il legislatore lo ha imposto normativamente (vedasi nuovo redditometro).

 

30 settembre 2013

Roberta De Marchi