Le indagini finanziare sono salve anche senza autorizzazione

i dati fiscali ottenuti tramite indagini finanziarie in assenza di autorizzazione sono pur sempre validi per motivare un avviso di accertamento

Con la sentenza n. 13319 del 29 maggio 2013 (ud. 23 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha salvato le risultanze della documentazione bancaria acquisita presso l’abitazione del contribuente, pur se detto accesso non era stato autorizzato, poichè successivamente i verificatori hanno richiesto ed ottenuto l’autorizzazione alle indagini bancarie.

 

La sentenza

Innanzitutto la Corte rileva che inizialmente, in tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, determinava la “inutilizzabilità“, a sostegno dell’accertamento tributario, “delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile – cfr. Cass. n. 19689 del 01/10/2004”.

Tuttavia, osservano i massimi giudici, che il superiore indirizzo è stato recentemente specificato “nel senso che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare anzidetta costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed i suoi eventuali vizi si riverberano sull’atto conclusivo, determinandone l’invalidità solo con riferimento a quelle parti che siano legate all’atto istruttorio da un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità, mentre nessuna conseguenza comportano per quelle altre parti che siano del tutto distinte ed indipendenti – cfr. Cass. n. 23595/2011-. In definitiva, gli effetti dell’eventuale vizio dell’atto anzidetto, in relazione al generale principio di conservazione degli atti giuridici, valevole anche per gli atti amministrativi, impone di limitare gli effetti del vizio alle parti dell’atto impositivo che sono legate a quello prodromico da un nesso di insostituibile, necessaria consequenzialità. Ciò che consente di distinguere, ai fini della utilizzabilità degli atti acquisiti nel corso di perquisizione non autorizzata, gli atti inscindibilmente collegati al provvedimento autorizzatorio, irrimediabilmente travolti dall’assenza del provvedimento di autorizzazione alla perquisizione, da quelli che possono comunque trovare giustificazione in altri provvedimenti ritualmente adottati dall’Ufficio e che sono dunque indipendenti rispetto alla perquisizione”.

Nel caso di specie, “il giudice tributario, ai fini della verifica della legittimità della pretesa fiscale, si è limitato ad utilizzare la documentazione bancaria relativa ai conti riferibili al contribuente ed ai suoi familiari che, seppure acquisita presso il contribuente, tuttavia non poteva dirsi travolta dalla mancata di autorizzazione alla perquisizione domiciliare, proprio perchè i verbalizzanti ebbero cura di acquisire, successivamente, l’autorizzazione del comandante della Guardia di Finanza relativa all’accesso della documentazione bancaria del contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2. Non sembra, infatti, potersi disconoscere la possibilità che l’amministrazione provveda alla sanatoria di un atto illegittimo attraverso l’adozione di un atto che intende riconoscere ex post la legittimità dell’operato della p.a., trovando tale possibilità piena conferma nel generale principio di conservazione dell’attività amministrativa, le quante volte ciò non determini pregiudizio a posizioni giuridiche soggettive piene del privato”.

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte non viene rilevata una concreta lesione del diritto al contraddittorio ed alla difesa da parte del contribuente che, a fronte di un’attività di acquisizione compiuta nel maggio 1996, si è potuto adeguatamente difendere, anche dopo il provvedimento di autorizzazione intervenuto nell’agosto del 1996, risultando che la rettifica emessa nei confronti del contribuente venne resa sulla base del processo verbale della Guardia di Finanza del 27.03.1998.

Nessun diritto fondamentale del contribuente risulta, pertanto, in concreto pregiudicato dall’attività della Guardia di Finanza. In questa direzione, del resto, milita la stessa giurisprudenza di questa Corte che non ha mancato di precisare come ‘… il riscontro della mancanza materiale dell’autorizzazione produce l’illegittimità del “risultato finale del procedimento” – quindi, del conseguente “accertamento” – sol quando si traduce in un “concreto” (ovverosia certo ed effettivo) “pregiudizio per il contribuente” – cfr. Cass. n. 16874/2009 – e si inserisce in un filone giurisprudenziale alla cui stregua la mancanza della autorizzazione dell’ispettore compartimentale (o, per la guardia di finanza, del comandante di zona) prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico – cfr. Cass. n. 4987/2003′”.

 

8 agosto 2013

Francesco Buetto