Pubblicazione della sentenza è termine per impugnare

in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, c. 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2013, n. 15741

MASSIMA

In tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, c. 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (sentenza massimata da Ignazio Buscema)

Svolgimento del processo

1. L’agenzia delle entrate propone ricorso principale per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n. 30/33/10, depositata il 3 febbraio 2010, con la quale, accolto in parte l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione di S.P., relativa sia alla cartella di pagamento inerente all’Irpeg ed Iva per la società M. srl., nel frattempo fallita, della quale egli era stato amministratore unico, nonché alle relative sanzioni, tutte riguardanti il 2001 e 2002, e di cui ai precedenti avvisi di accertamento, sia al rispettivo atto di contestazione di sanzioni nei riguardi del contribuente medesimo, veniva accolta parzialmente. In particolare il giudice di secondo grado osservava che quegli atti impositivi risultavano notificati regolarmente alla società, e quindi la cartella di pagamento non poteva essere emessa anche nei confronti dell’amministratore, contrariamente all’iscrizione a ruolo ed allo stesso atto esecutivo spiccato nei riguardi dell’appellato, il quale invece era tenuto al pagamento solo delle sanzioni, quale autore delle violazioni ed omissioni, oltre che per la personalizzazione della relativa responsabilità ex art. 16 Dpr. n. 472/97. P. resiste con controricorso, ed a sua volta ha proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.

 

Motivi della decisione

2. In via pregiudiziale va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cpc, atteso che essi sono stati proposti contro la stessa sentenza.

3. Inoltre va esaminata l’eccezione, avente carattere pregiudiziale, di inammissibilità del ricorso principale, proposta dal controricorrente, secondo cui esso sarebbe tardivo, perché proposto oltre il termine di mesi sei dalla pubblicazione della sentenza impugnata, giusta la modifica dell’art. 327 cpc, introdotta con la L. n. 69 del 2009.

L’eccezione è destituita di fondamento, atteso che il termine per il gravame risulta certamente osservato, posto che la sentenza della CTR veniva pubblicata il 3.2.2010, mentre il ricorso è stato proposto il 10.3.2011, e quindi ampiamente nel termine previsto, che ancora era quello cosiddetto lungo di un anno e 46 giorni, atteso che la novella di mesi sei, introdotta con l’art. 46 L. n. 69/09 non è applicabile nella controversia ora pendente, giusta il disposto dell’art. 58 della stessa, secondo cui l’entrata in vigore di tale disposizione coincideva col 4.7.2009, senza possibilità di efficacia retroattiva ai procedimenti già pendenti, o per i quali erano state contestate le sanzioni. Invero in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17060 del 05/10/2012, n. 6007 del 2012).

A) Ricorso principale

4. Con i motivi addotti a sostegno del ricorso, formulati congiuntamente, la ricorrente deduce violazione di norme di legge, nonché insufficiente motivazione, in quanto la CTR non considerava che gli avvisi di accertamento, per le imposte diretta ed indiretta, erano stati notificati regolarmente alla società M. anche a mezzo dello stesso amministratore delegato P., come dimostrato dalle inerenti relate in uno al frontespizio degli atti impositivi, peraltro prodotte, senza che il giudice di appello avesse attenzionato tale dato, e ciò ai fini del pagamento anche di tali imposte pure da parte di lui, stante la definitività degli avvisi non impugnati tempestivamente, mentre invece alcuna questione va addotta in ordine alle sanzioni contestate con apposito atto al suindicato legale rappresentante all’epoca, giusta anche l’accoglimento dell’appello sul punto da parte del secondo giudice.

Il motivo è fondato. Invero, in ordine al pagamento delle imposte preteso con la cartella di pagamento, va rilevato che in realtà si tratta di debito fiscale che non poteva non gravare pure sull’amministratore quale coobbligato solidale, anche se si trattava di società di capitale, e ciò a prescindere dalla regolare o meno notificazione degli originari atti impositivi alla M., che tuttavia – “incidenter tantum” – appare corretta, giusta le relate e i frontespizi già prodotti dall’appellante agenzia. Infatti la responsabilità dei liquidatori, ovvero degli amministratori, in presenza dell’integrazione delle distinte fattispecie previste dall’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l’ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati, è responsabilità per obbligazione propria “ex lege” (per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 cod. civ., e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 7327 del 11/05/2012, n. 22863 del 2011). Incombeva sul soggetto dichiarato responsabile con il provvedimento di attuazione della pretesa sanzionatoria l’onere di assumere l’iniziativa processuale volta ad ottenere il controllo giurisdizionale e l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti – diversi dal debito d’imposta della società – di tale responsabilità (V. pure Cass. Sentenza n. 9688 del 14/09/1995).

In ordine alla questione inerente alla solidarietà per il pagamento delle sanzioni, tema peraltro non dedotto in questa sede dall’agenzia direttamente per carenza d’interesse, va rilevato che si ravvisa l’esattezza della relativa statuizione da parte del giudice di secondo grado, giusta il principio, secondo cui in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, il cd. principio di personalizzazione della sanzione stessa, introdotto dagli artt. 2 ed 11 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – in virtù del quale le persone fisiche che hanno la rappresentanza di un soggetto passivo d’imposta o di un inadempiente all’obbligo tributario sono divenute direttamente responsabili delle sanzioni connesse alle violazioni delle norme (formali e sostanziali) tributarie commesse ad opera e/o nell’interesse della parte rappresentata (legalmente e/o negozialmente) e/o amministrata, mentre tale parte è obbligata al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata -, si applica, ai sensi dell’art. 27 del medesimo d.lgs., alle sole violazioni commesse dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina, mentre quelle commesse in epoca precedente continuano ad essere riferite alla società, all’associazione o all’ente, con permanenza della responsabilità solidale della persona fisica prevista dall’art. 98 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, senza che possa trovare applicazione il principio del “favor rei”, in quanto l’abrogazione della disciplina previgente non ha avuto alcun effetto sulla norma incriminatrice (V. pure Cass. Sentenze n. 5714 del 12/03/2007, n. 17223 del 2006).

B) Ricorso incidentale

5. Col primo motivo il ricorrente per incidente denunzia violazione di norme di legge, poiché il giudice di appello non poteva ritenere regolare la notifica dell’atto di contestazione delle sanzioni all’amministratore delegato, dal momento che gli avvisi di accertamento nei riguardi della società M. non erano stati notificati in modo regolare, mentre peraltro dovevano esserlo nei riguardi del curatore fallimentare, essendo già intervento il fallimento. Inoltre la posizione relativa alle sanzioni non era stata separata rispetto alle imposte pretese, né gli avvisi di accertamento erano stati notificati pure a P. come amministratore delegato.

La censura è generica, in quanto il ricorrente non ha riportato il tratto del ricorso introduttivo, né dell’atto di controdeduzioni, con cui avrebbe addotto la questione. Inoltre va rilevato – “ad abundantiam” – che essa comunque è infondata, dal momento che per il ricorrente per incidente si tratta soltanto della contestazione delle sanzioni, peraltro ben individuate, come riportato nella relativa iscrizione a ruolo e nella cartella di pagamento, senza che perciò gli avvisi di accertamento fossero stati necessariamente notificati al corresponsabile solidale, ancorché nella specie tuttavia essi lo fossero stati, come – e ciò si rileva solo “incidenter tantum” – veniva dimostrato dall’appellante in secondo grado.

6. Col secondo motivo il ricorrente lamenta violazione! dell’art. 7 DL. n. 269/03, convertito dalla L. n. 326/03, poiché la CTR non considerava che ormai il principio della personalizzazione della responsabilità per gli amministratori di società di capitali, e quindi con personalità giuridica, è caducato, ancorché per fatti commessi da loro, con effetto dalla sua entrata in vigore, e quindi da applicare anche ai rapporti fiscali precedenti, a condizione tuttavia che la contestazione delle violazioni o l’irrogazione delle sanzioni non fossero di data anteriore alla vigenza di tale novella.

La doglianza non ha pregio, dal momento che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, la statuizione di cui all’art. 7, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326, che pone le stesse, se relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica, esclusivamente a carico di quest’ultimi, non è applicabile retroattivamente, poiché il citato art. 7, al comma 3, espressamente lo esclude, mentre si trattava di fatti ed omissioni relative agli anni 2001 e 2002 nella specie in esame (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 26507 del 12/12/2011, n. 24925 del 2011). Del resto all’epoca la solidarietà tributaria aveva perfettamente un senso, ove si consideri che l’amministratore o il legale rappresentante di società di capitali veniva ritenuto solidalmente responsabile ex art. 98, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 per il pagamento di sopratasse o pene pecuniarie irrogate alla società stessa per le violazioni di norme relative anche all’accertamento delle imposte sui redditi, contenute nel d.P.R. n. 600 del 1973, essendo la redazione, la presentazione e l’approvazione del bilancio e della dichiarazione dei redditi, atti propri dell’amministratore, e trattandosi di documenti a lui direttamente imputabili (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 27036 del 21/12/2007, n. 19857 del 2005).

7. Ne deriva che il ricorso principale va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata senza rinvio in relazione ad esso, mentre invece l’altro incidentale va rigettato; e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2° cpc, quello introduttivo va pure respinto.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle, attese le alterne vicende e la natura delle questioni trattate.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, accoglie quello principale; rigetta l’altro incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al primo, e, decidendo nel merito, respinge quello introduttivo, e compensa le spese dell’intero giudizio.