Fusione e perdite pregresse

le perdite delle società residenti partecipanti alla fusione, possono essere utilizzate dalla società incorporante, in diminuzione del proprio reddito imponibile, se il conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello di fusione, superi il c.d. test di vitalità

Ai sensi dell’art. 172, c. 7, D.P.R. n. 917/1986, le perdite delle società residenti partecipanti alla fusione, compresa l’incorporante, possono essere utilizzate dall’impresa risultante dall’operazione, ovvero dall’incorporante, in diminuzione del proprio reddito imponibile, purché il conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello di deliberazione della fusione, superi il c.d. test di vitalità. Nella sostanza, non possono essere riportate a periodi di imposta successivi alla data di efficacia fiscale della fusione, le perdite fiscali maturate ante fusione dalle società (compresa quella incorporante) che, nel Conto economico del bilancio dell’esercizio precedente a quello in cui la fusione viene deliberata, evidenziano alternativamente:

  • un ammontare di ricavi e proventi caratteristici, inferiore al 40% della media dei rispettivi ammontari calcolata sui conti economici dei due esercizi precedenti a quello di riferimento (voce A.1 e voce A 5 del Conto economico);

  • spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di ammontare inferiore al 40% della media dei rispettivi ammontari calcolata sui conti economici dei due esercizi precedenti a quello di riferimento (voci B.9.a salari e stipendi e B.9.b oneri sociali del Conto economico).

Da quanto esposto, emerge che il test di vitalità presuppone la presenza di un determinato arco temporale pregresso in capo alla società partecipante alla fusione con riferimento alla quale deve essere applicato il predetto test di vitalità. Per tale motivo, quindi, potrebbero sorgere alcune difficoltà, nell’ipotesi in cui la partecipante alla fusione sia una società di recente costituzione: nel caso in cui manchino esercizi antecedenti a quello che precede l’esercizio di delibera della fusione (in quanto la società partecipante alla fusione è appunto di “recente” costituzione), la norma antielusiva perde di significato, posto che si determina l’impossibilità di indagare sulla “vitalità” del soggetto (R.M. n. 337/2002). In tal caso occorrerà verificare se sia comunque possibile desumere la vitalità aziendale da altri proventi, ovvero valutare la possibilità di proporre apposito interpello ex art. 37-bis comma 8 DPR 600/1973 all’Amministrazione finanziaria.

Peraltro, secondo opinione consolidata dell’Amministrazione finanziaria, i predetti requisiti minimi di vitalità ( ricavi e costi del personale > 40% dei ricavi e costi del personale medi dei due esercizi precedenti) devono sussistere non solo nel periodo precedente alla fusione, ma devono continuare a permanere fino al momento in cui la fusione viene deliberata. Se così non fosse, infatti, la ratio della disposizione verrebbe privata della sua portata antielusiva, atteso che verrebbe consentito il riporto delle perdite fiscali anche ad una società ( partecipante alla fusione) che è stata completamente depotenziata nell’arco di tempo intercorrente fra la chiusura dell’esercizio precedente alla fusione e la data di perfezionamento giuridico della medesima.

Sul punto, l’Agenzia delle Entrate (R.M. 10.4.2008 n. 143) ha precisato, tra l’altro, che, ai fini del “test di vitalità”, l’ammontare dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e delle spese per prestazioni di lavoro, relativi all’intervallo compreso tra la data di perfezionamento giuridico della fusione e la data di chiusura dell’esercizio precedente a quello nel corso del quale la fusione si è perfezionata, deve essere ragguagliato ad anno, per consentire che il raffronto con la media dell’ammontare dei medesimi elementi contabili degli ultimi due esercizi precedenti sia effettuato tra dati omogenei. Da un punto di vista operativo, quindi, nel caso di una fusione perfezionata in data 31.7.2013, la possibilità di riportare le perdite fiscali, maturate nei periodi di imposta precedenti alla data di efficacia della fusione, deve intendersi subordinata al superamento del c.d. “test di vitalità” da parte della società che ha generato le perdite, operando il raffronto:

  • tra ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente dell’esercizio 2012 e la media dei ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente del biennio 2010 e 2011;

  • tra ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente dell’esercizio compreso tra l’1.1.2013 e il 31.7.2013 (ragguagliati ad anno) e la media dei ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente del biennio 2010 e 2011.

Di parere difforme all’orientamento dell’Agenzia delle Entrate appena commentato, la norma di comportamento 18.12.2009 n. 176 dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti, secondo cui è irrilevante la sussistenza o meno del requisito di vitalità nel periodo che intercorre dalla data di inizio dell’esercizio in cui la fusione viene deliberata e la data di efficacia giuridica dell’operazione, poiché:

  • il dato letterale della norma menziona il “conto economico (…) relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata”, e non un Conto economico successivo, riferito alla data di efficacia giuridica della fusione;

  • adottando la tesi dell’Agenzia delle Entrate, si porrebbero problematiche di confronto tra dati disomogenei (alcuni relativi ad esercizi “ordinari” e altri relativi a periodi infrannuali);

  • la costruzione artificiosa dei parametri dei ricavi e del costo del lavoro potrebbe essere contrastata dagli uffici in base alla disposizione antielusiva generale contenuta nell’art. 37-bis del DPR 600/73.

Ad ogni modo, è bene rammentare che, il mero superamento del test di vitalità non è condizione sufficiente per il riporto delle perdite ante fusione. Infatti, il riporto delle perdite fiscali sarà comunque subordinato alla verifica :

  • del limite massimo rappresentato dall’ammontare del corrispondente patrimonio netto della società che ha maturato le perdite riportabili ;

  • dell’eventuale neutralizzazione della possibilità di utilizzo in compensazione delle perdite riportabili, nel caso in cui, in dipendenza di dette perdite, siano state operate svalutazioni fiscali sul valore delle partecipazioni nella società da cui le perdite riportabili derivano.

 

6 giugno 2013

Sandro Cerato