Analisi del movimenti sul conto: l'onere della prova tocca al contribuente

In caso di accertamento basato su analisi dei movimenti bancari spetta al contribuente l’onere della prova per giustificare i prelievi ed i versamenti contestati dal Fisco.

Con la sentenza n. 1418 del 22 gennaio 2013 (ud. 21 novembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato, ancora una volta, che in materia di indagini finanziarie l’onere della prova è a carico del contribuente.

 

Indagine sui movimenti del conto corrente – Il fatto

In sede di accertamento i prelevamenti riscontrati nei movimenti del conto corrente bancario sono stati imputati ad operazioni imponibili concernenti acquisti senza emissione di fattura, là dove gli accreditamenti sono stati riferiti ad operazioni imponibili concernenti prestazioni di servizi senza emissione di fattura.

 

La sentenza

“Se non è contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, questi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta o, comunque, di operazioni imponibili, sia per quantificare il reddito ricavato dall’attività, ovvero la base imponibile ascrivibile alle operazioni, incombendo sul contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (per l’affermazione di analogo principio, vedi Cass. 23 aprile 2007, n. 9573).

E ciò in quanto la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass., 6 dicembre 2005, n. 26692; tra le ultime, espressamente in termini, Cass. 13 ottobre 2011, n. 21132)”.

La presunzione

“è rivolta ad alleggerire l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria e non già, come vorrebbe il controricorrente, a soddisfare l’esigenza, su di lui gravante, di provare che accrediti e prelievi riscontrati si riferiscano all’attività di promotore finanziario da lui esercitata, esente da Iva”.

E’ costante, sul punto, l’orientamento di questa Corte,

“secondo cui l’onere dell’amministrazione finanziaria di provare la propria pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, per mezzo dei dati e degli elementi risultanti dai conti bancari: il legislatore ha valutato come altamente probabile, secondo l’id quod plerumque accidit, che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio di attività imponibile (Cass. 14 gennaio 2011, n. 767; Cass. 29 luglio 2011, n. 16650)”.

Indagini finanziarie e onere della prova – Il principio

“La presunzione fissata dal D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 51, che il contribuente si avvale di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio di attività imponibile può essere superata soltanto con la prova specifica della non imponibilità dei movimenti finanziari, che va fornita dal contribuente“.

 

Indagini finanziarie e onere della prova – Brevi note

Proprio di recente la sentenza n. 1426 del 22 gennaio 2013 (ud. 21 novembre 2012) aveva confermato il principio che in materia di movimenti bancari spetta al contribuente giustificarli, attraverso una prova specifica.

Per i massimi giudici,

sentenza corte di cassazione“in base al consolidato orientamento di questa Corte, in virtù dell’inversione dell’onere della prova stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non devono essere recuperati a tassazione o perchè egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, o perchè non sono fiscalmente rilevanti in quanto riferiti ad operazioni non imponibili, mentre l’onere dell’amministrazione finanziaria di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, per mezzo dei dati e degli elementi risultanti dai conti bancari il legislatore ha valutato come altamente probabile, secondo l’id quod plentmque accidit, che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cass. 14 gennaio 2011, n. 767; Cass. 29 luglio 2011, n. 16650)”.

Nel caso di specie,

“il fatto che gli accertatori non abbiano fatto riscontri incrociati anche con terzi e fornitori comporta, eventualmente, una lacuna probatoria che non giova al contribuente, il quale avrebbe dovuto fornire la prova della non imponibilità dei movimenti finanziari; il fallimento o comunque la carenza di tale prova lasciano intatta la presunzione stabilita dall’art. 32 (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21695)”.

Di conseguenza, la Corte afferma il seguente principio di diritto:

“La presunzione fissata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, che il contribuente si avvale di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività può essere superata soltanto con la prova specifica della non imponibilità dei movimenti finanziari, che va fornita dal contribuente”.

Ricordiamo che, sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14052 del 27 giugno 2011 (ud. del 17 maggio 2011), ha confermato che l’Amministrazione finanziaria è legittimata alla rettifica del reddito attraverso le indagini finanziarie, competendo al contribuente dimostrare (analiticamente) l’irrilevanza reddituale dei movimenti bancari ovvero che gli stessi hanno avuto considerazione nella determinazione della base imponibile.

Osserva il collegio, nello specifico che qui ci interessa, che in base all’orientamento espresso più volte dalla Corte, che qui si conferma, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, consente all’amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari.

“Si tratta di una presunzione legale di carattere relativo, in quanto è ammessa la prova liberatoria da parte del contribuente.

Al quale resta garantito il diritto di difesa, potendo egli far valere le sue ragioni in sede contenziosa, depositando, anche a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, documenti e memorie fino alla data di trattazione del ricorso in primo grado.

Consegue che, se il contribuente non dimostra che dei movimenti bancari acquisiti dall’ufficio egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che si tratta di movimentazioni che non si riferiscono a operazioni imponibili, è consentito all’amministrazione riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime d’Iva (Cass. n. 18421/2005; n. 26293/2005; n. 8422/2002;n.3929/2002; n. 8457/2001; n. 2435/2001; n. 9946/2000)”.

Sempre di recente, la sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012 (ud. 14 marzo 2012) della Corte di Cassazione aveva confermato, ancora una volta, che i movimenti bancari vanno documentati in sede di indagine finanziaria.

Per la Suprema Corte,

“le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti; in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass. 17/6/2008, n. 16341)”.

Infatti,

“la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova. La motivazione dei giudici d’appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un’adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavatale dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria”.

Inoltre,

“anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stata in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate”.

 

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7 marzo 2013

Roberta De Marchi