Le intercettazioni telefoniche ai fini tributari

analizziamo la recente sentenza di Cassazione che illustra perchè le intercettazioni telefoniche sono ammissibili come prova di evasione fiscale

Con la sentenza n. 2916 del 7 febbraio 2013 (ud. 3 dicembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche nell’ambito fiscale. Nel caso in questione sono state utilizzate nel processo tributario le intercettazioni telefoniche disposte nel processo penale.

 

IL PRINCIPIO ESPRESSO

La Corte, richiamando un proprio precedente (sentenza n. 4306/2010) ha riaffermato che “il divieto, posto dall’art. 270 c.p.p., di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie” .

La Corte, rileva, preliminarmente, che la regola propria del diritto tributario, applicabile in materia di IVA, è quella desumibile dall’art. 63, c. 1, del D.P.R. n. 633/72, a norma del quale la guardia di finanza, cooperando con l’ufficio, trasmette “documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria“, “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria“. Autorizzazione che è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non già dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, non essendo prevista per filtrare l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali, ma soltanto per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto (Cass. 5 febbraio 2007, n. 2450).

Di conseguenza, un atto legittimamente assunto in sede penale e trasmesso all’amministrazione tributaria giusto il richiamato art. 63, “entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio e indiziario che il giudice tributario di merito deve valutare”.

All’applicazione di questa regola non si frappongono ostacoli. “In dettaglio, non si frappone anzitutto l’inviolabilità del diritto di libertà e di segretezza delle comunicazioni. Il legittimo espletamento delle intercettazioni, del quale in questo giudizio non si dubita, implica che sia già intervenuto l’atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge richiesto dall’art. 15 Cost.. Non si frappone, poi, il diritto di difesa per la circostanza che, a differenza che nel processo penale, nel caso in questione il difensore del contribuente non è chiamato a partecipare alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso, in quanto, nel processo tributario, l’atto acquisito non è destinato ad assumere il valore probatorio che ad esso è riconosciuto nel processo penale: il minor tasso di garanzia del diritto al contraddittorio nel procedimento tributario si riverbera sulla minore attendibilità sul piano probatorio dell’atto. Ma, e soprattutto, non ricorre nei procedimenti diversi da quello penale in seno al quale siano state autorizzate ed espletate le intercettazioni telefoniche, la ratio sottesa al divieto stabilito dall’art. 270 c.p., la quale è volta ad evitare che procedimenti con imputazioni fantasiose possano legittimare il ricorso alle intercettazioni, al fine di propiziarne l’utilizzazione in procedimenti per reati che non avrebbero consentito questo mezzo d’indagine”.

In coerenza con questi principi, la Corte, già in altri ambiti, ha riconosciuto l’utilizzabilità delle intercettazioni legittimamente espletate nel processo penale. Sul punto, in tema di procedimento disciplinare del magistrato, è stato sottolineato che possono essere legittimamente utilizzate nel procedimento disciplinare “le intercettazioni di telefonate ricevute dal magistrato e legittimamente disposte ed espletate nel corso di un procedimento penale a carico dell’autore ed interlocutore della chiamata telefonica, indagato per un reato che consente l’intercettazione stessa; del pari sono utilizzabili le risultanze di intercettazioni di telefonate fatte dal magistrato, ove in ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che consenta tali intercettazioni (Cass., sez.un., 29 maggio 2009, n. 12717; conformi, Cass., sez.un., 24 giugno 2010, n. 15314; Cass., sez.un., 1 luglio 2008, n. 17931)”.

Nè depone in senso contrario la recente pronuncia resa dalle sezioni unite penali secondo cui l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti in qualsiasi tipo di giudizio, e quindi anche nell’ambito del procedimento di prevenzione (Cass. pen., sez. un., 25 marzo 2010, n. 13426), “in quanto la sentenza aveva riguardo ad un’ipotesi di irregolare espletamento delle intercettazioni, in una fattispecie in cui le intercettazioni erano state dichiarate inutilizzabili nel giudizio di cognizione per inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 268 c.p.p., comma 3, e per assenza di motivazione in ordine all’inidoneità od insufficienza degli impianti esistenti presso la procura della repubblica)”.

 

Brevi note

Già precedentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4306 del 23 febbraio 2010 (ud. del 26 gennaio 2010), peraltro richiamata nella sentenza che si annota, aveva ritenuto utilizzabili le intercettazioni telefoniche nell’ambito del processo tributario. Per la Corte “il divieto posto dall’art. 270 c.p.p., di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in ‘procedimenti’ diversi da quello in cui furono disposte, non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale (con diverse eccezioni anche in quello stesso ambito, individuate dalla giurisprudenza: cfr., ad es., Cass. pen. nn. 2809/2006, 25128/2005, 33751/2005 e numerose altre), non potendosi estendere arbitrariamente l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti della difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie”.

Peraltro, con la sentenza n. 10149 del 28 aprile 2010 (ud. del 18 febbraio 2010) la Corte di Cassazione ha confermato che gli elementi probatori acquisiti in sede penale possono essere valutati ai fini dell’accertamento e del contenzioso tributario. E del tutto errata è l’affermazione di principio, secondo la quale le prove penali non sarebbero utilizzabili nelle procedure di accertamento amministrativo e contenzioso, in forza di un inesistente principio di separazione dei giudizi. L’art. 63, c. 1, del D.P.R. n. 633/72 prevede espressamente che gli elementi acquisiti dalla guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria possano essere utilizzati dagli uffici finanziari, con i quali la stessa guardia di finanza collabora istituzionalmente. Sul punto viene richiamato un precedente ove si è già avuto modo di chiarire che “nel processo tributario il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di giudicato opponibile in sede giurisdizionale diversa da quella penale, purchè proceda ad una propria ed autonoma valutazione, secondo la regole proprie della distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova presuntiva” (Cass. n. 17037/2002, 4054/2007).

 

1 marzo 2013

Roberta De Marchi