L’accesso domiciliare del Fisco presso la convivente è illegittimo

una volta autorizzato l’accesso presso l’abitazione anagrafica del contribuente, con la stessa autorizzazione non poteva essere effettuato l’accesso presso la sua convivente, residente presso altro indirizzo

L’accesso domiciliare del fisco sulla conviventeCon la sentenza n.4498 del 22 febbraio 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo l’accesso domiciliare eseguito presso la convivente del contribuente verificato (peraltro lo stesso contribuente aveva dichiarato di convivere con la M., così che l’espressione “convivenza” nell’attuale contesto sociale, doveva condurre ad affermare che l’intimato aveva la sua residenza nell’esatto luogo in cui l’accesso era avvenuto).

Questa, in sintesi, la tesi dell’Amministrazione finanziaria.

La sentenza di Cassazione n.4498 del 22 febbraio 2013

L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, di cui all’art. 52 del d.p.r. n. 633/1972, è stata prevista dal legislatore come opportuno filtro preventivo all’azione accertativa in materia fiscale in tutte le fattispecie coinvolgenti il “domicilio” del contribuente, posto che il domicilio è, per disposizione costituzionale, comunque inviolabile salvo che

“nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” (art. 14 Cost.).

“L’autorizzazione in questione, dunque, non costituisce un mero adempimento formale perché suppone l’accertamento della sussistenza, nel singolo caso, degli specifici presupposti richiesti, per ciascuna fattispecie, dalla afferente norma regolatrice; al punto che il provvedimento, in quanto indefettibile presupposto di validità dell’acquisizione probatoria conseguita con l’accesso, può essere impugnato (vedi Sez. Un. n. 16424/2002) dal contribuente innanzi al giudice tributario insieme con la contestazione della legittimità della pretesa tributaria avanzata dall’ufficio competente in forza di quell’acquisizione probatoria; e il giudice tributario può in questo senso sindacarne la legittimità (vedi, oltre a quella già citata, anche Sez. Un. 11082/2010, nonché, successivamente, per varie applicazioni del principio, Cass. n. 23595/2011; n. 631/2012)”.

Così funzionalmente caratterizzata,

“ l’autorizzazione in tema di accessi, ispezioni e verifiche da parte degli uffici finanziari dello Stato (o della Guardia di Finanza nell’esercizio dei compiti di collaborazione con detti uffici a essa demandati) legittima solo lo specifico accesso autorizzato, essendo la norma di stretta interpretazione e dovendosi, invero, limitare al massimo l’indubbio vulnus al principio costituzionale di inviolabilità del domicilio comunque derivante dalla previsione dell’accesso (e vedi, per la conseguente impossibilità di sostituirne finanche il riferimento normativo, Cass. n. 21779/2011; n. 19689/2004).

III. – Nel caso di specie risulta dalla sentenza – ed è ammesso nel ricorso – che l’autorizzazione era stata rilasciata dal pubblico ministero per l’accesso in un luogo specifico, tale essendo l’abitazione privata del C. posta in (…); mentre, in effetti, l’accesso era di poi avvenuto in altro luogo (…), presso l’abitazione della convivente del medesimo C. (N.M.)”.

I massimi giudici ritengono, quindi, corretto il ragionamento seguito dalla Commissione tributaria regionale che ha ritenuto che siffatto accesso fosse stato eseguito in difetto della necessaria autorizzazione.

“ Non rileva, difatti, quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate a presidio della odierna censura, dal momento che, ove anche si assuma che quella dianzi detta fosse inquadrabile – stante la convivenza – come abitazione anche del contribuente, oltre che della M., resterebbe impregiudicato il profilo sopra considerato, della mancanza di autorizzazione per accedere a questa”.

La Corte, quindi, fissa il seguente principio di diritto:

“In tema di accessi, ispezioni e verifiche da parte degli uffici finanziari dello Stato (e della Guardia di Finanza nell’esercizio dei compiti di collaborazione con detti uffici, a essa demandati), l’autorizzazione all’accesso data dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.p.r. n. 633/1972, legittima solo lo specifico accesso in tal senso autorizzato; sicché, in base a essa, non è consentito agli uffici finanziari accedere in altri luoghi ove si ritenga che l’abitazione debba essere individuata in via di fatto”.

ACCESSO DEI VERIFICATORI DEL FISCO – BREVI NOTE

L’accesso da parte dei verificatori può essere effettuato solo con apposita autorizzazione scritta, rilasciata dal capo dell’ufficio che ordina la verifica.

L’autorizzazione deve contenere1:
  • il nominativo e i poteri del soggetto che dispone la verifica;

  • l’ordine di accedere;

  • l’indicazione del soggetto da verificare;

  • le ragioni del controllo;

  • le effettive esigenze d’indagine esterna;

  • l’indicazione che la verifica, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, si svolgerà durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa nonché alle relazioni commerciali o professionali;

  • le annualità da verificare;

  • la data dell’inizio della verifica;

  • la sottoscrizione del soggetto che autorizza la verifica.

L’accesso può avere luogo nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e agricole.

L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente – tutelata dall’art. 14 della Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972.

Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non sono necessari i gravi indizi, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.

Ricordiamo che, con sentenza n. 21974 del 16 ottobre 2009 (ud. dell’11 giugno 2009) la Corte di Cassazione ha ritenuto che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione all’accesso domiciliare rappresenta un provvedimento amministrativo endoprocedimentale e strumentale rispetto all’avviso di accertamento e dal quale deve rilevarsi la sussistenza degli elementi atti ad assumere natura di gravi indizi, attesa la inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost..

Al giudice tributario è devoluto non semplicemente il controllo sull’adempimento dell’obbligo di motivazione del decreto di autorizzazione ma altresì l’apprezzamento circa la valenza indiziaria degli elementi indicati quali gravi indizi.

La giurisprudenza della Corte (alla quale il collegio intende assicurare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene)

“ha infatti affermato che l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33), costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti, in collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare gravi indizi”.

Da tale natura e funzione dell’autorizzazione discende (anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio) che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente (v. tra le altre per tutte S.U. n. 16424 del 2002 e, da ultimo, Cass. n.6836/2009).

E con sentenza n. 631 del 18 gennaio 2012 (ud. 23 novembre 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che siamo nell’ambito dei

“vizi c.d. formali dell’atto impugnato, categoria nella quale va ascritto anche il vizio di invalidità del provvedimento autorizzativo, emesso dal PM – ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2 – in difetto di ‘gravi indizi di violazione di norme tributarie’, in quanto volto ad inficiare l’atto presupposto della verifica e dunque ad interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale del procedimento impositivo, e che viene pertanto a configurarsi come vizio di invalidità del procedimento amministrativo idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata (così Corte Cass. SU n. 6315/2009 cit.) dell’atto consequenziale impugnato”.

E da ultimo, con la sentenza n. 17957 del 19 ottobre 2012 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che l’autorizzazione domiciliare necessita dei gravi indizi.

Afferma la Corte che

“l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria.

Essa rimane subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie in quest’ultimo caso, vale a dire per l’accesso in locali ‘diversi’ in quanto solo abitativi (cfr. per utili riferimenti Cass. n. 16570/2011; n. 2444/2007; n. 10664/1998)”.

Per la Corte

“è pacifico che l’autorizzazione all’accesso da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi, indirettamente, lo spazio di libertà del contribuente, rileva alla stregua di candido sine qua non per la legittimità dell’atto e delle relative conseguenti acquisizioni (cfr. Cass. n. 6908/2011).

Giacchè il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale, dall’art. 24 Cost. (v. Cass. n. 8181/2007; n. 19689/2004)”.

Il giudice tributario, pertanto, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti e altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ha il dovere,

“oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di una motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche e soprattutto di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento; e quindi di verificare che codesto abbia fatto riferimento a elementi cui l’ordinamento attribuisca effettiva valenza indiziaria”.

Di conseguenza,

“se nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguentemente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (v. Cass. n. 21974/2009)”.

Pertanto, laddove nel giudizio tributario non sia dall’amministrazione finanziaria prodotta la richiesta di accesso degli organi accertatori, cui sia stata correlata l’autorizzazione del pubblico ministero, non viola la disposizione di cui all’art. 2697 c.c. il giudice tributario che reputi in tal modo impedita la verifica della effettiva esistenza di gravi indizi a presidio dell’autorizzazione concessa.

Nella sentenza che si annota i giudici non è che non hanno dato valore al luogo della convivenza ma hanno ritenuto che una volta autorizzato l’accesso presso l’abitazione anagrafica del contribuente, con la stessa autorizzazione non poteva essere effettuato l’accesso presso la sua convivente, residente presso altro indirizzo.

15 marzo 2013

Francesco Buetto

NOTE

1 Per approfondimenti, si rinvia alla migliore dottrina ANTICO-CARRIROLO, La Verifica fiscale, Buffetti editore, II edizione, Roma, 2012