L’eventuale deducibilità dei costi da reato

Un riassunto delle regole che definiscono i casi di deducibilità/indeducibilità fiscale dei costi sostenuti direttamente per organizzare operazioni inesistenti. Antonio Terlizzi

deducibità costi di reatoL’articolo 8, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, a differenza(1) della previgente normativa (articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537), statuisce l’indeducibilità dei soli costi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo e, per il quale, sia stata esercitata l’azione penale.

Il nuovo testo circoscrive l’indeducibilità ai soli componenti negativi relativi ai beni o alle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di fattispecie penalmente rilevanti aventi natura delittuosa.

Nel vigente contesto normativo non sono, quindi, ammessi in deduzione i soli costi che il contribuente abbia sostenuto per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto.

L’indeducibilità riguarda esclusivamente i casi in cui beni e servizi acquistati siano stati direttamente utilizzati per il compimento di attività delittuose.

Nell’ambito di applicazione della norma vanno ricondotti non solo i costi di beni e servizi «direttamente» utilizzati, ma anche quelli semplicemente «strumentali» o «correlati» ad attività illecite(circolare n. 25/2012) .

Sul piano dell’elemento soggettivo del reato, il legislatore restringe poi ulteriormente l’area dell’indeducibilità ai soli componenti negativi correlati al compimento di attività delittuose di natura non colposa In relazione al momento a partire dal quale opera l’indeducibilità del costo è necessario che in relazione alla fattispecie delittuosa non colposa cui il costo è direttamente connesso sia stata formalmente esercitata l’azione penale ovvero il giudice abbia, comunque, emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p..

L’indeducibilità del costo permane nel caso di sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato; tale pronuncia, non dichiarando, nel merito, l’assoluzione dell’imputato, non determina, infatti, il venir meno del presupposto del recupero fiscale effettuato.

Il successivo comma 2, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, prevede che non sono imponibili ai fini delle imposte dirette i componenti di reddito positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi per beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati.

Tale norma qualora più favorevoli al Contribuente, ha efficacia retroattiva, si applica cioè anche agli avvisi di accertamento emessi nel vigore della previgente normativa che non siano ancora divenuti definitivi al 2 marzo 2012 (data di entrata in vigore del decreto).

La richiamata disciplina va applicata solo se realizza un trattamento complessivamente più favorevole per il contribuente in termini di imposta, interessi e sanzioni. Ai fini della determinazione del trattamento più favorevole non va considerato l’ammontare dei contributi previdenziali.

Per valutare il trattamento di maggior favore per il contribuente, occorre mettere a raffronto quello contenuto nell’atto impugnato con il trattamento risultante dall’applicazione della nuova norma.

Per definire quest’ultimo trattamento (da confrontare con quello risultante dall’atto impugnato) è necessario considerare che: dal reddito imponibile e dalla base imponibile Irap va sottratto l’importo dei componenti positivi direttamente afferenti ai costi non ammessi in deduzione; vanno conseguentemente rideterminate sia l’imposta sul reddito sia l’Irap, applicando le aliquote relative al periodo d’imposta oggetto di accertamento; devono altresì essere rideterminate le sanzioni già irrogate avendo riguardo all’ammontare delle imposte come sopra rideterminate; vanno sommati gli interessi correlati alle imposte rideterminate, che decorrono dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento; è necessario infine aggiungere, alle imposte, sanzioni e interessi come sopra determinati, la nuova sanzione amministrativa (da applicare una sola volta anche se la rideterminazione riguarda sia l’imposta sul reddito che l’Irap) da quantificare in relazione alla gravità dell’illecito, così come già valutata in sede di irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione.

Il trattamento più favorevole va considerato senza tener conto dell’applicazione delle norme che prevedano riduzioni della sanzione in caso di definizione concordata, ai sensi – ad esempio – dell’articolo 48 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 per la conciliazione giudiziale.

Va applicato il trattamento più favorevole al Contribuente, qualora l’importo complessivamente dovuto, in applicazione del medesimo trattamento comprensivo di imposta, interessi e sanzioni, sia inferiore rispetto a quello richiesto con l’avviso di accertamento impugnato.

Occorre mettere a confronto l’importo complessivamente chiesto in pagamento con l’avviso di accertamento impugnato con l’importo complessivamente dovuto a seguito dell’applicazione della nuova normativa.

La nuova disciplina, in quanto più favorevole al contribuente, assume valenza retroattiva, salvo che gli avvisi di accertamento emessi nel vigore della vecchia norma siano già divenuti definitivi.

La retroattività della norma incontra in ogni caso il limite dei cosiddetti “rapporti esauriti”, intendendosi per tali, oltre agli atti amministrativi divenuti definitivi, anche quelli per i quali sia intervenuto un giudicato o, comunque, siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza stabiliti dalla legge per l’esercizio dei diritti ad essi relativi

Le novità introdotte dal c.d. Decreto semplificazioni sono in pratica tre:

  • la prima quella di limitare l’indeducibilità a quei costi spese che siano «direttamente utilizzati per il compimento» del reato;
  • la seconda quella di escludere l’applicabilità per i delitti «colposi»;
  • la terza quella di prevedere esplicitamente un momento a partire dal quale l’indeducibilità deve essere applicata».

Operazioni soggettivamente inesistenti e imposte sui redditi

Si considerano fatture soggettivamente inesistenti quelle fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

Se la cessione di beni è stata effettivamente posta in essere, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella rappresentazione cartolare, l’operazione si qualifica come “soggettivamente inesistente”; in effetti, la fattura è soggettivamente inesistente quando è emessa o rilasciata nei confronti di un soggetto diverso da quello effettivamente parte della operazione economica.

L’operazione soggettivamente inesistente è un’operazione realmente avvenuta ma effettuata da un soggetto cedente diverso.

L’obbligo di corrispondere l’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, c. 7, mentre risulta evasa l’imposta relativa alla diversa operazione effettivamente realizzata con altro soggetto e non fatturata.In tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta con il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. “frode carosello”, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento (Cassazione sentenza 20 giugno 2012, n. 101676)

A seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 8 del D.L. n. 16 del 2012 non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale ovvero qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale, sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale (prescrizione del reato).

Va limitata l’indeducibilità solo a quei costi che abbiano una connessione diretta con il compimento del delitto non colposo.;l’indeducibilità è limitata a tutte quelle spese sostenute per la commissione del reato ovvero a causa dello stesso.

La quota parte del costo che costituisce il compenso pagato all’emittente per remunerare l’emissione delle fatture false, poiché direttamente connesso ad un reato, è indeducibile. L’indeducibilità non trova applicazione per i costi collegati con delitti colposi e contravvenzioni. Sono deducibili i costi connessi a reati contravvenzionali ovvero a delitti colposi.

Pertanto, non è più contestabile l’indeducibilità di costi direttamente utilizzati per il compimento di reati contravvenzionali, quali ad esempio la lottizzazione abusiva o l’acquisto di merce contraffatta.

I costi e le spese indeducibili devono riguardare beni e servizi “direttamente utilizzati” per il compimento di atti ed attività qualificabili come delitto non colposo. Dunque, anche nel caso di costi afferenti delitti dolosi è deducibile il costo afferente il bene o servizio che non sia stato utilizzato direttamente per la commissione del reato.

Ai soggetti terzi coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti.

Sicché non è più sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni. Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 20-06-2012 n.10167 sez. T)(2)

Poiché, nel nuovo regime, l’indeducibilità del costo opera ove vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o dei servizi per il compimento dell’attività delittuosa non colposa, saranno deducibili, ovviamente al ricorrere dei requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal Testo unico delle imposte sui redditi, i costi documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti connessi all’acquisizione di beni o servizi scambiati o prestati nell’ambito dell’attività commerciale del soggetto.

Resta comunque ferma l’indeducibilità nel caso in cui il costo difetti dei requisiti essenziali richiesti dal Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR). La pretesa tributaria di indeducibilità del costo riferito ad una operazione soggettivamente inesistente, è infondata soltanto a condizione che, sulla base della documentazione in possesso, si riscontri la sussistenza dei presupposti essenziali del costo richiesti dall’articolo 109 del TUIR (inerenza, certezza, determinabilità oggettiva, competenza).

Il costo carente dei predetti requisiti è indeducibile per mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del contribuente dei presupposti legittimanti la deduzione del costo. Spetta al fisco dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Il fisco deve fornire riscontri sull’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate (4), mentre è onere del contribuente dimostrare la sussistenza dei requisiti che legittimano la deduzione del costo.

La prova della inesistenza soggettiva o oggettiva delle operazioni fatturate può essere ricavata da elementi di fatto di vario tipo (come la mancata copertura finanziaria, la confessione dell’utilizzatore o del remittente, la manifesta non genuinità della fattura e così via) Ai fini della determinazione del reddito di impresa, anche i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti possono essere dedotti, occorre però che, comunque, il contribuente ne dimostri l’effettiva sussistenza, l’ammontare e l’inerenza.

Grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta.

La deduzione concernente il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del contribuente in ordine ai requisiti del costo di cui all’articolo 109 del TUIR, seppure non formulata dal fisco con l’atto introduttivo del giudizio, è qualificabile come mera difesa e pertanto, oltre ad essere proponibile nel giudizio di primo grado fino alla udienza di trattazione, è proponibile per la prima volta anche in appello.Nell’ipotesi di pronuncia di gravame sfavorevole, essa non può essere avanzata per la prima volta nell’ambito del giudizio di cassazione poiché la questione presuppone un’indagine sul fatto.

Operazioni soggettivamente inesistenti e Iva

La nuova disciplina rileva ai fini delle imposte sul reddito e dell’Irap e non innova per ciò che concerne la indetraibilità dell’Iva esposta in fatture relative ad operazioni inesistenti, sicché la relativa imposta risulta indetraibile da parte del cessionario che non dimostri di avere adottato tutte le misure per evitare di restare coinvolto nell’eventuale frode Per la indetraibilità dell’Iva, essa resta tale in caso di partecipazione consapevole alla frode. (Cass. 20-06-2012 n.10167 sez. T)(3).

Il contribuente committente-cessionario al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, anche se pagata, relativa ad operazioni inesistenti, ha l’onere di conoscere che il venditore-prestatore è autore di un’operazione in frode all’IVA. Se intende vedersi riconosciuto il diritto di detrarre l’IVA ha l’onere di dimostrare che è incolpevole la sua ignoranza di aver partecipato ad una operazione in frode all’IVA (Cass. 21-01-2011 n.1364 sez. T).

Ai fini dell’Iva, rimanendo ferme le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto, permane, invece, l’indetraibilità dell’imposta per il contribuente che non dimostri la propria buona fede e quindi la propria estraneità alla frode.

In tema di IVA, nelle c.d. frodi carosello – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (buffers) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari” (Cassazione n. 9107/2012; Cass. n. 867 del 2010)”.

Il contribuente committente – cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, anche se pagata, relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di conoscere che il venditore-prestatore è autore di un’operazione in frode all’IVA e, se vuole vedersi riconosciuto il diritto di detrarre l’IVA, ha l’onere di dimostrare che è incolpevole la sua ignoranza di aver partecipato ad una operazione in frode dell’IVA (sentenza n. 1364 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione).

In tema di Iva, il diritto alla deduzione da parte del committente/cessionario nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti deve ritenersi condizionato alla circostanza di non avere avuto consapevolezza della falsità ideologica della fattura rilasciata a fronte dell’operazione, vale a dire della diversità tra il soggetto effettivamente cedente e quello indicato nella fattura, non potendo fattura rilasciata a fronte dell’operazione.

Tale prova non può essere validamente fornita dimostrando soltanto che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo, trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode. La società che pone in essere cessioni intracomunitarie è obbligata a verificare l’affidabilità della “controparte commerciale”. Altrimenti, essa rischia di dover pagare l’IVA, in particolare se non è in grado di dimostrare che la merce è stata effettivamente consegnata all’estero. (Cass. 27-07-2012 n. 13457 sez. T).

La norma disciplina le sole imposte dirette e l’IRAP, e non va a modificare, dunque, la disciplina della detrazione ai fini dell’IVA. Ai fini dell’IVA, resta indetraibile, in ogni caso, l’imposta relativa alle fatture per operazioni inesistenti per l’acquirente/committente, mentre per il venditore/prestatore resta dovuta per l’intero ammontare esposto in fattura, ai sensi dell’articolo 21, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972”.(5)

Operazioni oggettivamente inesistenti

La nuova disposizione, ferma restando l’indeducibilità dei costi relativi a fatture oggettivamente inesistenti, impone, in ossequio al principio di capacità contributiva, di non considerare nella determinazione del reddito imponibile i correlati componenti positivi (limitatamente all’importo dei costi non ammessi in deduzione).

Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, i componenti positivi di reddito direttamente afferenti ai costi per operazioni inesistenti, anche se imputati a conto economico e dichiarati dal contribuente, non sono considerati imponibili entro i limiti dell’ammontare dei correlati componenti negativi per operazioni inesistenti. E’ prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa che va dal 25% al 50% dell’ammontare dei componenti negativi indebitamente dedotti.

In materia di utilizzo di fatture relative a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, è prevista una sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi (art. 8, co. 2, d.l. n. 16/2012).

In relazione all’ utilizzo di fatture relative a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati si è prevista in tali casi la non imponibilità dei componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare dei costi non ammessi in deduzione, e l’applicazione, in tali fattispecie, della sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare dei componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi.

La predetta sanzione, irrogabile a mezzo di apposito atto di contestazione ai sensi dell’articolo 16 d.lgs. 472/1997, è riducibile di un terzo esclusivamente ai sensi del comma 3 della stessa norma. In relazione alla fattispecie sanzionatoria in esame il legislatore ha, infine, escluso l’applicabilità degli istituti del concorso e della continuazione.

Tale sanzione, va applicata a condizione che nella dichiarazione siano stati indicati componenti positivi direttamente afferenti ai costi oggettivamente inesistenti.

Nell’ipotesi in cui non vi siano componenti positivi di reddito direttamente afferenti a componenti negativi relativi a operazioni inesistenti, ovvero nel caso in cui questi ultimi siano di ammontare superiore ai correlati componenti positivi, l’indeducibilità dei suddetti componenti negativi, o della quota di questi ultimi eccedente i correlati componenti positivi, determina invece l’applicazione delle ordinarie sanzioni, quali quelle per infedele dichiarazione(6).

Nel caso in cui, successivamente all’azione di controllo dell’Ufficio, intervenga in favore del contribuente una sentenza definitiva di assoluzione ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla prescrizione, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere in tali casi, venuto meno il presupposto per il recupero a tassazione dei costi, al contribuente compete il rimborso delle maggiori imposte versate in seguito alla contestata non ammissibilità in deduzione degli stessi e dei relativi interessi, rimborso che dovrà estendersi anche alle sanzioni, benché non richiamate esplicitamente nel dettato normativo. Tale obbligo restitutorio scatta anche con riguardo alle somme versate in ipotesi di ravvedimento operoso nonché nei casi i cui il contribuente abbia definito la pretesa tributaria attraverso il ricorso agli istituti definitori di cui al d.lgs. 218/1997 o d.lgs. 546/1992.

NOTE

1)La nuova formulazione dell’art. 14, c. 4-bis, legge n. 537/1993: 1. ha ridotto l’ambito dei componenti negativi connessi ad illeciti penali e non ammessi in deduzione nella determinazione dei redditi ex art. 6, c. 1, TUIR, limitandolo ai «costi e […] spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo»; 2. ha richiesto che, in relazione a tale delitto, «il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, […] il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale […]»; 3. disciplinando l’applicazione nel tempo dei commi 1 e 2, il successivo comma 3 dell’art. 8, D.L. n. 16/2012 ha previsto che essi «si applicano in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove piú favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi».

2) Il decreto sulla semplificazione fiscale diminuisce la responsabilità delle aziende coinvolte in una frode carosello. La società che ha ricevuto consapevolmente la fattura non dall’effettivo venditore ma da una cartiera può comunque dedurre i costi sostenuti per l’acquisto. In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, c. 4-bis, L. n. 537 del 1993 nella formulazione introdotta con l’art. 8, c. 1, dl n. 16 del 2012, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. «frode carosello», anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Tuir siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 20-06-2012 n.10167 sez. T).

3) Le prove offerte dal contribuente per dimostrare la buona fede intercorsa nei rapporti tra lo stesso e la società cartiera, non possono ritenersi sufficienti, poiché per dimostrare la buona fede, parte ricorrente avrebbe dovuto produrre in atti oltre che le visure camerali anche i bilancio della società cartiera. Inoltre, anche se l’ufficio ha accertato che i prezzi praticati nella compravendita de quo non si discostassero di molto da quelli normalmente praticati nel settore, il ricorrente avrebbe dovuto produrre in giudizio oltre tutte le fatture di acquisto e di vendita dei beni provenienti dalla cartiera, anche quelle relative ad autovetture acquistate da altri soggetti (CTP di Roma 10-07-2012 n.231).

4) In tema di frodi fiscali carosello, il fisco per qualificare una operazione soggettivamente inesistente deve avvalersi di presunzioni gravi precise e concordanti che fanno ritenere consapevole la partecipazione della società ricevente la fattura o acquirente all’attività illecita realizzata dal soggetto fittizio (“cartiera”). In particolare, giova alla pretesa erariale appurare che la società cartiera non ha una struttura operativa e gestionale idonea allo svolgimento dell’attività di impresa, non ha risorse finanziarie, non presenta dichiarazioni fiscali, non versa le imposte, presenta un ricarico sul costo del venduto negativo, presenta un ingente volume di affari a fronte di movimenti finanziari pressoché nulli, non presenta assunzioni di personale, presenta la totale inattendibilità delle scritture contabili.(CTP di Roma 727-01-2011 n.31 sez. 27).

5) In tema di IVA, è indebita la detrazione d’imposta relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anche se la merce sia stata realmente acquistata ed i costi risultino effettivamente sostenuti, non essendo la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture una circostanza indifferente ai fini dell’IVA: da un lato, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente e, dall’altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza» La modifica legislativa di cui all’art. 8, D.L. n. 16 del 2012, riguarda la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e non la questione relativa alla detraibilità dell’IVA che costituisce l’oggetto dell’accertamento e, quindi, del giudizio (Cass. 07-11-2012 n.19218 sez. T).

6) Secondo la circolare n. 32/E del 3 agosto 2012 oltre all’indeducibilità del costo del reato, che determina una rideterminazione del reddito e, quindi, dell’imposta, con il versamento della maggiore imposta corredata di interessi, si applicherebbero anche le relative sanzioni previste per il mancato versamento ovvero quantomeno quelle per la dichiarazione «infedele», nonché addirittura, ricorrendone i presupposti quantitativi, quelle penali tributarie previste dal dlgs n. 74/2000. La ricostruzione dell’Agenzia, tuttavia, appare infondata, specie per quanto riguarda l’eventuale applicabilità di sanzioni amministrative e penali per presunte violazioni «dichiarative», solo se si pensa che la «indeducibilità» di cui si parla viene in essere, a seguito dell’esercizio dell’azione penale, solo a posteriori rispetto al momento dichiarativo».

28 marzo 2013

Antonio Terlizzi