Costi da reato: l'IVA è indetraibile

La modifica della disciplina dei costi da reato non incide minimamente sull’indetraibilità dell’Iva, in caso di effettuazione di operazioni soggettivamente inesistenti.

Operazioni soggettivamente inesistenti – Premessa

La Cassazione torna ad occuparsi di operazioni soggettivamente inesistenti, (sent. del 7 novembre 2012, n. 19218) confermando il suo orientamento ormai ampiamente consolidato per cui l’Iva indicata nelle fatture relative a dette operazioni è indetraibile per il cessionario che se ne avvale.

Di per sé il concetto non è nuovo, atteso che si tratta di una posizione ormai nota e pacifica della Suprema Corte, ma la pronuncia odierna si caratterizza per l’esame della fattispecie alla luce della recente riforma della disciplina dei costi da reato, approvata con il decreto sulle semplificazioni di quest’anno.

 

 

Iva sempre indetraibile se l’operazione non esiste

Una società era stata sottoposta a controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, che, a margine delle operazioni ispettive, le contestava l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e, quindi, l’indetraibilità dell’Iva ad esse afferente.

Impugnava l’atto impositivo la società e la Commissione tributaria regionale si pronunciava a suo favore, stabilendo che, se vi è stato l’effettivo conseguimento della merce, nonché l’effettivo pagamento della merce e dell’Iva, la detrazione di quest’ultima non può essere negata. I giudici d’appello, quindi, annullavano l’avviso di accertamento impugnato.

Proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate, censurando la decisione del collegio del riesame, alla luce degli articoli 19, 21, 23 e 28 del DPR 633/1972, in base ai quali anche nel caso di specie non sarebbe comunque consentita la detrazione dell’Iva.

I Giudici di piazza Cavour, investiti della questione, richiamando la loro pregressa giurisprudenza, hanno stabilito che è indebita la detrazione d’imposta relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anche se la merce sia stata realmente acquistata ed i costi risultino effettivamente sostenuti, non essendo la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture una circostanza indifferente ai fini dell’IVA: da un lato, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente e, dall’altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. n. 735 del 2010).

 

 

Nessun rilievo della disciplina dei costi da reato

La società, con le proprie memorie difensive, aveva altresì invocato l’applicazione dell’articolo 8 del DL 16/2012, con cui è stato riscritto il comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante la disciplina dei costi da reato.

In particolare, la nuova formulazione normativa del testo di legge prevede che nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del TUIR, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale.

Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi.

La nuova disciplina è molto meno restrittiva di quella precedente che imponeva l’indeducibilità dei costi generalmente riconducibili a fatti od attività illecite.

Quella nuova, infatti, comporta l’indeducibilità soltanto di quei costi relativi a beni e servizi direttamente utilizzati per la commissione del reato.

Da qui, l’Agenzia delle entrate, con la circolare del 3 agosto 2012, numero 32/E esplicativa della nuova disciplina, ha stabilito che nel caso di fatture soggettivamente inesistenti, ovvero quelle per cui le operazioni indicate nei documenti sono effettivamente avvenute, ma tra soggetti diversi rispetto a quelli risultanti sulla carta, laddove ricorrano i requisiti di deducibilità previsti dal TUIR, i costi ad esse afferenti non possono essere ritenuti indeducibili in forza del nuovo comma 4-bis, atteso che, sebbene riconducibili al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti , non costituiscono, solo per tal motivo, quelli direttamente utilizzati per il compimento del delitto.

Alla stregua di tale posizione, quindi, la società parte in causa relativa alla sentenza in commento aveva osservato che così come, ora, sono deducibili i costi relativi alle fatture soggettivamente inesistenti, anche l’Iva doveva ritenersi detraibile.

La Cassazione, però, non ha condiviso tale assunto ed ha stabilito, invece, che non convincenti appaiono le deduzioni relative alla supposta rilevanza della modifica legislativa di cui all’art. 8 del DL 16/2012, la quale riguarda la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e non la questione relativa alla detraibilità.

In conclusione, pertanto, è stato accolto il ricorso del Fisco ed è stata cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.

 

13 marzo 2013

Alessandro Borgoglio