Indagini finanziarie: i conti del coniuge giocano su quelli dell'altro

In caso di indagini finanziarie il Fisco può utilizzare anche i dati ed i movimenti del coniuge dell’imprenditore per contestare maggiori ricavi da versamenti non giustificati.

Con la sentenza n. 21420 del 30 novembre 2012 (ud. 11 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che le movimentazioni non giustificate sui conti della moglie giocano sui conti del marito.

 

Gli indizi

Gli elementi indiziari che emergevano dal PVC redatto dalla Guardia di Finanza erano costituiti:

  1. dalla frequenza e notevole entità delle somme movimentate sul conto del coniuge;
  2. dalla assenza di redditi propri dichiarati dal coniuge, che svolgeva attività di casalinga;
  3. dalla mancanza di giustificazioni fornite dal coniuge in ordine alle predette movimentazioni ed alla provenienza delle relative somme;
  4. dalla modestissima entità dei ricavi dichiarati per gli anni 1993 e 1994 dal contribuente, che appariva inattendibile in relazione allo specifico settore commerciale (prodotti tessili).

 

Il pronunciamento della Corte

La Corte, in apertura, ribadisce che

“in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari”
(cfr. Corte Cass. 5′ sez. 17.06.2002 n. 8683 – con specifico riferimento a conto corrente intestato al coniuge del contribuente -; id. 5′ sez. 21.12.2007 n. 27032)

o quando comunque

“l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 12.01.2009 n. 374).

La prova dell’interposizione fittizia o fiduciaria nella intestazione dei conti/depositi o comunque la prova della pertinenza delle movimentazioni bancarie ad operazioni commerciali o finanziarie riconducibili all’attività di impresa svolta dal contribuente è diretta a dimostrare – anche mediante mera argomentazione logica fondata su presunzione semplice ex art. 2729 c.c. la riferibilità di detti movimenti alla produzione di ricavi non contabilizzati,

“e dunque a consentire l’applicazione delle predette presunzioni legali di accertamento dei maggior reddito imponibile salvo che il contribuente sia in grado di dimostrare di aver tenuto conto – nelle dichiarazioni presentate – degli importi rilevati nei conti/depositi ovvero non ne giustifichi la omessa indicazione in quanto riferibili ad operazioni non imponibili”

(cfr. in tal senso: Corte Cass. 5′ sez. 24.09.2010 n. 20197 ed id. 5′ sez. 24.09.2010 n. 20199 – in materia di imposte dirette – secondo cui

“l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati”).

Ne consegue in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio che, una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione del dettato normativo impone al contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 24.9.2010 n. 20199).

Pertanto, osserva la Corte, è pienamente legittima l’indagine bancaria estesa ai conti bancari di terzi (i.e. nel caso di congiunti della persona fisica, dell’amministratore e/o del socio della società contribuente), reputando che lo stretto rapporto familiare, o la ristretta composizione societaria, o ancora il particolare vincolo commerciale che lega il terzo al contribuente, integrano elementi indiziari sufficienti a giustificare, salvo prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati agli indicati soggetti (cfr. Corte Cass. 5′ sez. n. 1728/1999, id. 17.06.2002 n. 8683, id. 12.09.2003 n. 13391 – con riferimento a società di capitali -, id. n. 6743/2007, id. 07.09.2007 n. 18868, id. 21.12.2007 n. 27032, id. 12.01.2009 n. 374, id. 30.12.2009 n. 27947 – secondo tali pronunce il mero “rapporto familiare” è sufficiente ad inferire la riferibilità al contribuente delle movimentazioni rilevate su conti formalmente intestati ai congiunti, fatta salva sempre la prova contraria -, id. 04.08.2010 n. 18083 – con riferimento a conti intestati ai congiunti dell’amministratore di società di persone; id. 24.09.2010 n. 20199 – con riferimento all’imputazione a ricavi della società di capitali delle movimentazioni rilevati sui conti intestati agli amministratori, ai soci od i procuratori generali -).

La più recente giurisprudenza della Corte, alla quale il Collegio ha inteso conformarsi, non esonera, pertanto, l’Amministrazione finanziaria dalla necessità della prova presuntiva in ordine alla riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati ai terzi,

“ma afferma piuttosto che tale prova va rinvenuta nel requisito di serietà e gravità dell’elemento indiziario costituito dallo stretto legame parentale, che, unitamente ad altri elementi significativi desunti dalle circostanze del caso concreto, converge alla formazione della prova concludente della condotta evasiva (cfr. in termini, Corte Cass. 5′ sez. n. 18083/2010 cit.)”.

Nel caso di specie, una volta che l’ufficio ha idoneamente manifestato gli indizi in suo possesso, i giudici di secondo grado hanno fatto erronea applicazione della regola di distribuzione dell’onus probandi.

“Una volta dimostrata la pertinenza al soggetto contribuente dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, impone alla società contribuente di dimostrare la estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 24.9.2010 n. 20199)”.

 

Le nostre considerazioni

La possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto diverso giuridicamente rispetto a quello oggetto di accertamento, o verifica, è strettamente correlata alla circostanza che il terzo sia legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, rapporti di parentela…) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento, come peraltro già previsto dalla circolare n. 131/1994, parte 3.

Pertanto, la richiesta di indagini bancarie nei confronti di soggetti terzi necessita di una motivazione specifica in considerazione di quanto sopra affermato.

Secondo quanto osservato dall’ABI nella propria circolare 433/f del 2006, anche nel nuovo contesto normativo, non sarebbe attribuito agli uffici un illimitato “potere di richiesta”,

“dal momento che l’azione accertatrice deve essere comunque improntata ad un principio di massima razionalità”.

Pertanto:

  • in una prima fase, l’ufficio può richiedere alla banca la copia dei conti intrattenuti dal contribuente, con la specificazione dei rapporti inerenti o connessi, comprese le garanzie prestate da terzi, nonché il dettaglio delle operazioni effettuate “per cassa” allo sportello, senza interessamento del conto;

  • in una seconda fase, acquisita detta documentazione, l’ufficio può richiedere ulteriori dati, notizie e documenti, relativi alle informazioni ricevute.

La richiesta deve sempre riferirsi a un determinato nominativo, ma nelle ipotesi in questione spesso, sin dall’inizio, l’ufficio avvia le indagini finanziarie nei confronti di tutti i soggetti potenzialmente coinvolti, per il quale sia stata rilasciata l’autorizzazione ad eseguire l’indagine bancaria.

Secondo l’ABI, l’Amministrazione non è dunque abilitata, nell’esecuzione dei controlli, a reperire ulteriori numeri di conto di clienti (per i quali non è stata chiesta ed ottenuta l’autorizzazione) presso le banche, per richiedere le relative informazioni, ma deve attivare un autonomo controllo sul contribuente: non è insomma il controllo “a cascata”, ma dev’essere ogni volta seguito l’iter procedimentale previsto.

La valutazione dei presupposti per il dirottamento delle indagini nei confronti di terzi può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi inequivoci e/o documentali, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario.

Osservano le Entrate nella C.M. n. 32/2006 che, nonostante l’assenza di un’espressa previsione normativa, è indubbia l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi”, cioè di soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che – per la costante giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo – le citate disposizioni, utilizzando la locuzione

“i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti”,

legittimano anche l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale intestazione.

Sul punto, la direttiva n. 1/2008 della Guardia di Finanza afferma correttamente che se fosse preclusa l’utilizzabilità delle risultanze finanziarie nei riguardi di soggetti diversi rispetto a quello nei cui confronti le stesse sono state esperite, si verrebbe a creare il rischio di “asimmetrie” fra quanto constatato nei confronti di questo e la sua controparte in certe operazioni fiscalmente rilevanti.

È evidente, peraltro, che i dati in questione possono essere valorizzati nei confronti del soggetto diverso da quello nei cui confronti sono stati acquisiti alla stregua di qualsiasi altro elemento probatorio ottenuto nei suoi riguardi e quindi come prova diretta di una certa evasione o di una determinata irregolarità, ovvero, più verosimilmente, come presunzione, che, a seconda dei casi, potrà essere grave, precisa e concordante ovvero semplicissima.

Nessuno spazio, in ogni caso, è configurabile per presunzioni legali analoghe a quelle che si determinano, nei confronti del contribuente nei cui riguardi l’indagine finanziaria è stata sviluppata, per effetto dell’esperimento della relativa procedura di legge e che permettono di considerare, come si è visto, le operazioni di accredito o di addebito, a seconda dei casi, direttamente alla stregua di maggiori entrate di denaro.

Parimenti appare chiaro che qualora si individuino, nel corso dell’indagine finanziaria, conti riferibili a un soggetto terzo, non coinvolto nell’indagine medesima, non è consentito richiedere alla banca o all’operatore finanziario, a titolo di richiesta integrativa, ulteriori dati, notizie e documenti relativamente al soggetto stesso, sulla base dell’originario provvedimento essendo necessario, comunque, attivare ritualmente il prescritto procedimento, inoltrando all’Autorità competente formale richiesta di autorizzazione.

Il pensiero espresso dalla Corte di Cassazione nel corso di questi anni può così essere sintetizzato: le risultanze dei conti correnti bancari – quando si tratti di conti intestati a soggetti diversi da quelli sottoposti a verifica -, in tanto possono essere invocate a sostegno di presunti acquisti o vendite in evasione d’imposta, in quanto risultino concreti elementi che autorizzino a collegare quei movimenti con operazioni commerciali del soggetto nei cui confronti si intende procedere ad accertamento.

Se in via di principio le potestà di controllo in esame trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo, è indubbio, però, che le stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione bancaria acquisita (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003).

“L’intestazione fittizia, in sostanza, si manifesta tutte le volte in cui gli uffici rilevino nel corso dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risultano averne la titolarità, in realtà sono da imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento all’attività svolta”

e l’organo di controllo può interpellare sia l’uno che l’altro, senza una scaletta ben precisa.

Su tali tematiche, come abbiamo già avuto modo di affermare1, la giurisprudenza degli ultimi anni ha privilegiato soluzioni più aderenti alla sostanza del rapporto tributario sottostante all’avviso di accertamento piuttosto che a valutazioni legate alla forma2

22 gennaio 2013

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO, Le indagini finanziarie, Roma, 2012, Buffetti Editore.

2 In tale contesto, è utile sottolineare come sia di estrema importanza un’accurata, ordinata ed attenta gestione del conto corrente. E se è vero che non risulta obbligatorio tenere due conti distinti, uno per l’attività d’impresa e l’altro per le esigenze familiari, è incontrovertibile che la gestione delle operazioni bancarie personali su un conto separato risulta quanto mai opportuna ed agevola la difesa in caso di accertamento.