Indagini finanziarie: esiste obbligo di contraddittorio nei confronti del Fisco?

La mera assenza di contraddittorio non inficia le risultaze delle indagini finanziarie se il contribuente non può opporsi validamente alle pretese del Fisco.

indagini finanziarie e contraddittorio col fiscoCon la sentenza n. 14026 del 3 agosto 2012 (ud. 4 aprile 2012) la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità delle indagini finanziarie, anche in assenza di contraddittorio nella fase procedimentale di acquisizione della documentazione.

Non è stato, infatti, accolto dalla Suprema Corte il motivo di censura relativo alla sentenza di appello della CTR della Lombardia che aveva ritenuto che la previa instaurazione del contraddittorio col contribuente, nella fase istruttoria di acquisizione dei dati bancari, si poneva come mera facoltà e non come obbligo inderogabile nei confronti della Amministrazione finanziaria.

 

 

La sentenza

Innanzitutto, la Corte, ritiene infondato il motivo addotto, non avendo specificato il ricorrente quale pregiudizio al diritto di difesa abbia subito in concreto a causa del mancato preventivo invito ad interloquire nella fase istruttoria di raccolta dei dati bancari.

Il contribuente, che era certamente a conoscenza dell’attività di indagine bancaria (sia per notizia ricevuta dalla propria banca che a seguito dell’invio del questionario col quale venivano richieste proprio tali informazioni), non indica, infatti, nella esposizione delle ragioni a sostegno del motivo quali dati od informazioni determinanti avrebbe potuto fornire, oltre a quelli successivamente offerti nel procedimento di accertamento per adesione e non ritenuti idonei dall’Ufficio.

In ogni caso – osserva la Corte –

“non trova fondamento l’assunto del ricorrente secondo cui dovrebbe ascriversi ai principi generali dell’ordinamento giuridico l’anticipazione del contraddittorio già nella fase preliminare di acquisizione dei dati ed informazioni da sottoporre a verifica ai fini dell’eventuale attivazione del potere di accertamento tributario”.

Occorre, infatti, distinguere il principio del contraddittorio inteso come espressione del diritto di difesa nel processo da quello relativo alla fase istruttoria, diretta all’acquisizione di tutti gli elementi conoscitivi e valutativi indispensabili all’esercizio della potestà autoritativa.

Il principio del contraddittorio nel processo postula la equiordinazione delle parti contrapposte e la necessità di un soggetto terzo che garantisca la “parità delle armi” fin dalla fase preliminare dell’introduzione dei fatti rilevanti che costituiscono il caso controverso e, successivamente, anche nel corso dell’acquisizione e formazione delle prove di tali fatti.

L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, invece, si realizza nell’ambito dell’esercizio di poteri autoritativi, e si inserisce pertanto in un rapporto che non è paritetico ma di supremazia/soggezione, venendo a costituire pertanto uno dei vari segmenti di cui si compone la sequenza di atti che dalla fase dell’iniziativa (d’ufficio o ad istanza del privalo) perviene, attraverso le diverse fasi del procedimento – istruttoria, costitutiva della decisione e quindi integrativa dell’efficacia – all’emanazione del provvedimento in quanto espressione della potestà autoritativa della PA.

“Se dunque nel primo caso il contraddittorio è essenziale alla struttura del processo (il privato e la PA sono parti essenziali, collocate sullo stesso piano, del rapporto processuale), nel secondo costituisce una mera eventualità, in quanto la partecipazione del privato alla formazione del provvedimento amministrativo (tanto se trattasi di soggetto destinatario dell’atto, quanto se trattasi di soggetto che dall’atto potrebbe subire comunque un pregiudizio) dipende esclusivamente dalla rilevanza riconosciuta a tale intervento dalle singole norme di legge che prevedono e disciplinano lo specifico procedimento amministrativo (cfr. L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7, comma 1 secondo cui è la legge che determina quali soggetti ‘debbono’ intervenire nel procedimento)”.

Rileva la Corte che il procedimento impositivo, in relazione all’aspetto in considerazione, rimane sottratto alla disciplina generale del procedimento amministrativo dettata dalla L. 7 agosto 1990, n. 241: l’espressa deroga disposta per i procedimenti tributari dalla L. n. 241 del 1990, art. 13, c. 2 (che esclude l’applicazione alla materia tributaria in particolare delle norme – dall’art. 7 all’art. 10 – della medesima L. n. 241 del 1990, concernenti la comunicazione di avvio del procedimento, l’intervento nel procedimento ed i diritti dei partecipanti al procedimento), impone quindi di verificare quale ambito sia riservato dalle norme tributarie all’attuazione del “principio del contraddicono” (e dell’intervento collaborativo del contribuente) nel procedimento impositivo.

In proposito le norme tributarie distinguono in modo netto il procedimento di accertamento in senso stretto (che comporta accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali ed i cui risultati sono compendiati in un processo verbale delle operazioni compiute) dall’attività che si esaurisce, invece, nel mero controllo della documentazione pervenuta agli uffici finanziari, essendo solo nel primo caso previste specifiche garanzie di difesa del contribuente (diritto ad essere informato delle ragioni della verifica: facoltà di farsi assistere da professionista abilitato alla difesa avanti i Giudici tributari; formulazione di osservazioni e rilievi in corso di verifica; comunicazione di osservazioni e richieste successivamente al rilascio del verbale di chiusura delle operazioni) che possono essere esercitate nel corso della fase istruttoria del procedimento amministrativo, giustificate dalla complessità delle indagini e dal carattere particolarmente pervasivo dei poteri di indagine che vengono di fatto ad interferire con lo stesso svolgimento dell’attività economica del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1, n. 1 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, n. 1 e art. 52).

Tale esigenza non si pone invece in relazione all’attività di controllo dei dati acquisiti attraverso “inviti e richieste” di trasmissione agli uffici finanziari di dati, documenti ed informazioni, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1 nn. 3 – 8-ter e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, nn. 3 – 7-bis), in ordine alla quale il Legislatore ha ritenuto prevalenti le esigenze di funzionalità degli uffici ed efficienza dell’azione amministrativa rispetto all’anticipata partecipazione del privato già nella fase istruttoria della ricerca, individuazione ed acquisizione di dati ed informazioni che dovranno essere poi sottoposti a controllo ai fini dell’esercizio – peraltro solo eventuale – della potestà di accertamento.

La differente soluzione adottata in relazione alla partecipazione di contribuente all’attività procedimentale dell’Ufficio impositore non appare sindacabile sotto il profilo dell’irragionevolezza atteso che, come rilevato dalla giurisprudenza costituzionale, è rimessa al Legislatore la scelta delle modalità attraverso le quali dare attuazione al principio del contraddittorio – che costituisce espressione del più ampio diritto difesa – purchè ne sia assicurata l’effettività (cfr. Corte cost. sent. 16.12.1970 n. 190), con la conseguenza che rientra nella discrezionalità della legge prevedere (privilegiando, ad esempio, esigenze di speditezza dell’azione amministrativa) che il contraddittorio intervenga soltanto nella fase successiva a quella propriamente istruttoria, o venga differito alla fase contenziosa (cfr. Corte cost. sent. 06.07.1972 n. 125; Corte cost. ord. 10.04.2003 n. 119).

Nella specie alcuna norma prevede la previa comunicazione al contribuente dello svolgimento delle attività di acquisizione e controllo dei dati inerenti conti, rapporti ed operazioni bancarie, delle quali peraltro lo stesso contribuente ha tempestiva notizia dalla stessa banca con la quale intrattiene rapporti (giusto il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1, n. 7, u.p., che prevede che la richiesta di informazioni, dati e documenti sia trasmessa dall’Ufficio finanziario alla banca che ne da prontamente avviso al proprio cliente), mentre alcuna restrizione è imposta all’effettività del contraddittorio nella fase successiva (proposta di accertamento con adesione), ovvero, successivamente all’emissione del provvedimento impositivo (attivazione delle misure di autotutela; competente sede giudiziaria).

Oltretutto, nel caso di specie, il procedimento di adesione svolto nel pieno contraddittorio del contribuente, ha realizzato un efficace strumento di garanzia dell’effettività del diritto di difesa, essendo a tal fine del tutto indifferente se tale contraddittorio si sia svolto anteriormente (art. 5) o successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento (art. 6), tenuto conto che in quest’ultimo caso sia il termine per l’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto impositivo, sia i termini per eseguire il pagamento dell’imposta, sia la stessa iscrizione a ruolo delle somme liquidate, sono sospesi per un periodo di giorni novanta proprio in funzione dell’attuazione del contraddittorio col contribuente che bene può fornire, pertanto, ulteriori dati ed informazioni volti a rideterminare correttamente la pretesa tributaria ovvero a sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela della PA – ove gli elementi forniti dimostrino l’infondatezza della pretesa – per la revoca o l’annullamento d’ufficio dell’avviso di accertamento emesso.

Alla stregua delle considerazioni svolte viene, altresì, escluso l’ipotizzato contrasto per incompatibilità dell’art. 32 TU II. DD., e dell’art. 51 TU IVA con la sentenza interpretativa resa dal Corte di Giustizia UE in data 18.12.2008 in causa C-349/2007 (che esamina peraltro l’effettività del diritto di difesa in relazione alla diversa questione della congruità del termine assegnato dalla legge portoghese al contribuente per contraddire in ordine alle decisioni di recupero di dazio doganali alla importazione adottale in applicazione dell’art. 221, n. 1 Codice doganale comunitario) tenuto conto altresì, da un lato, che nello specifico caso esaminato dal Giudice comunitario era la stessa legge portoghese a disciplinare le modalità di intervento del contribuente nel procedimento di accertamento tributario anticipandone “il diritto all’audizione prima della conclusione della relazione di ispezione tributaria”, rimanendo quindi confermato che, fermi i principi generali dell’ordinamento comunitario individuati ai parr. 36-38 della sentenza del Giudice di Lussemburgo, le peculiari modalità di realizzazione dell’effettività del contraddittorio sono demandate alle leggi degli Stati membri, ed in quel caso la legge statale aveva ritenuto opportuno prevedere un intervento “anticipato” del contribuente nel procedimento impositivo, non potendo inoltre trascurarsi che sempre in quel caso non si trattava di valutare dati ed informazioni trasmessi all’Ufficio tributario, ma l’accertamento seguiva a “verifiche” ed “ispezioni” condotte presso i locali della società (ipotesi, come si è visto, per le quali la L. n. 212 del 2000, art. 12 prevede l’anticipata partecipazione del contribuente alle attività svolte dagli ispettori o dai verificatori).

 

 

Il principio espresso

La Corte, pertanto, conferma l’indirizzo giurisprudenziale pregresso secondo cui

“è legittima la utilizzazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari e dei dati risultanti gli altri rapporti ed operazioni intrattenuti dalla banca con il contribuente, anche se questo non è stato preventivamente convocato per giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica, atteso che nessuna norma impone in via generale l’obbligo di previa convocazione del contribuente in sede amministrativa prima dell’accertamento, non subendo pregiudizio il diritto di difesa del contribuente che può essere esercitato, senza limitazioni, sia nella fase successiva all’accertamento – in sede di definizione con adesione e di attivazione dei poteri di autotutela della PA – sia nella sede contenziosa (cfr. Corte cass. 1 sez., 6.10.1999 n. 11094; id. 5 sez.4.8.2000 n. 10278; id. 5 sez. 3.5.2002 n. 6335; id. 5 sez. 5.11.2003 n. 16597; id. 5 sez. 14.5.2007 n. 10964; id. 5 sez. 23.7.2008 n. 20268; id. 5 sez. 21.7.2009 n. 16874)”.

 

 

Indagini finanziarie e contraddittorio col Fisco – Breve nota

Come è noto, l’Amministrazione finanziaria il 19 ottobre 2006 ha diramato la circolare n. 32 con la quale in ordine al contraddittorio ha evidenziato che, pur se il contraddittorio risulta

“essenziale nella fase prodromica dell’accertamento in quanto l’indagine – prima solamente di natura bancaria e ora più in generale finanziaria -, pur realizzando un’importante attività istruttoria, non costituisce uno strumento di applicazione automatica, atteso che i relativi esiti devono essere successivamente elaborati e valutati per assumere, non solo in sede amministrativa ma anche in quella giudiziaria, la valenza di elementi precisi e fondanti ai medesimi fini impositivi”.

Infatti, il preventivo contraddittorio pur se “opportuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a consentire un esercizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e rispondente a esigenze di economia processuale, al fine di evitare l’emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre”, è solo una mera facoltà dell’ufficio, senza che rivesta carattere di obbligatorietà.

“Pertanto” – prosegue il documento –

“il mancato invito dell’ufficio medesimo non inficia la legittimità della rettifica, ove basate sulle presunzioni previste dalle norme in esame. Peraltro, detto orientamento sostiene che la mancata instaurazione del contraddittorio non degrada la prevista presunzione legale a presunzione semplice, fermo restando, quindi, l’onere probatorio contrario in capo al contribuente (da ultimo, Cassazione n. 8253/2006 e n. 5365/2006)”.

Il valore probatorio degli elementi raccolti, configurando una presunzione di natura juris tantum, potrà essere ribaltato dal contribuente in sede precontenziosa o meno, fornendo, le prove di volta in volta necessarie.

In ordine alla legittimità o meno del contraddittorio esperito da un organo diverso dall’ufficio competente, la stessa circolare n. 32/2006 osserva che

“stante la diretta riconducibilità all’attività di accertamento della valutazione delle risposte e dei chiarimenti forniti dal contribuente, spetta esclusivamente all’ufficio locale – istituzionalmente e territorialmente competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente soggetto a controllo – la decisione finale circa l’attitudine degli esiti acquisiti a costituire il presupposto da porre a base della rettifica o dell’accertamento, secondo lo schema legale della presunzione e del conseguente onere della prova liberatoria offerta dal contribuente”.

Qualora il contraddittorio sia stato svolto dalla Guardia di finanza, “il contributo offerto da tale contraddittorio, se ritenuto appagante per l’analisi dell’ufficio, esonera quest’ultimo dalla successiva ripetizione dell’esperimento, sempreché formalizzato in un processo verbale”.

Atteso che titolare del potere di accertamento è solo l’ufficio locale e che le risultanze del contraddittorio formalizzate in un processo verbale costituiscono solo un atto istruttorio (sia se esperito dai verificatori degli uffici locali che dalla Guardia di Finanza)

“qualora gli esiti di tale contraddittorio non si rivelino coerenti con le risultanze istruttorie e le elaborazioni analitiche dell’ufficio, questo, al precipuo fine di utilizzare la presunzione legale di cui ai ripetuti numeri 2), provvederà ad approfondire direttamente le incongruenze o le esigenze successivamente evidenziatesi rispetto al contenuto del verbale pervenuto, tramite la ripetizione del contraddittorio già effettuato”.

Né possiamo sostenere che questa è la posizione delle Entrate mentre la giurisprudenza è di segno opposto.

Infatti, la sentenza n. 2821 del 6 novembre 2007 (dep. il 7 febbraio 2008) aveva già evidenziato che non osta alla legittimità degli accertamenti bancari il mancato coinvolgimento del contribuente. La Cassazione, nella citata sentenza n. 2821/2008, in ordine alla questione posta, smantella la difesa di parte, richiamando quanto ha già avuto modo

“di ripetutamente affermare (Cass., trib., 23 giugno 2006 n. 14675, cit.; 27 giugno 2005 n. 13808; 17 maggio 2002 n. 7267; 29 marzo 2002 n. 4601; 26 febbraio 2002 n. 2814; 18 gennaio 2002 n. 518, tra le recenti) … che va confermato in quanto nelle esposte argomentazioni della contribuente non si ravvisano convincenti argomentazioni per discostarsi dallo stesso: … la legittimità della utilizzazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, atteso che l’art. 32 DPR 29 settembre 1973 n. 600, invocato dalla contribuente, prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’amministrazione tributaria e non già di un obbligo per la stessa”.

Pertanto, non possiamo che ritenere che il contraddittorio non è necessario per dare legittimità agli atti di accertamento, in quanto nessuna norma prevede la nullità dell’azione di accertamento nel caso in cui non venga instaurato il contraddittorio anticipato con il contribuente, al fine di consentirgli di fornire la prova contraria.

Il contraddittorio personale del contribuente con l’Ufficio non costituisce un presupposto dell’accertamento che intenda fondarsi sui dati risultanti dai conti bancari, né la presunzione di ricavi sia sui versamenti che sui prelevamenti, viene meno qualora non sia instaurato il contraddittorio tra ufficio e contribuente.

In pratica non è sostenibile la tesi secondo cui il contraddittorio preventivo costituisce presupposto delle presunzioni legali, né che costituisce un contrappeso della presunzione legale relativa di imponibilità dei movimenti bancari.

La Corte di Cassazione, sbriciola infatti il teorema di quanti sostengono che, una volta emesso l’accertamento, in difetto di instaurazione del contraddittorio, sarebbe l’ufficio a dover fornire, sia pure utilizzando le norme sul valore probatorio di versamenti e prelevamenti, la prova della gravità, precisione e concordanza degli elementi ricavati dall’esame dei conti. La prova, invece, resta sempre a carico del contribuente.

E’ su questa lunghezza d’onda continua ad essere la Corte di Cassazione che con sentenza n. 6094 del 13 marzo 2009 ha ricordato il principio affermato da questa Corte, “

secondo il quale in tema di accertamento delle imposte sul reddito, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, nella parte in cui prevede l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, non impone all’Ufficio l’obbligo di uno specifico e previo invito, ma gli attribuisce una mera facoltà, della quale può valersi in piena discrezionalità; il mancato esercizio di tale facoltà non può quindi determina l’illegittimità della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti, nè comporta la trasformazione della presunzione legale posta dalla norma in esame in presunzione semplice, con possibilità per il Giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza, e con il conseguente onere per il fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro”.

L’inesistenza di un obbligo di preventivo contraddittorio con il contribuente sulle movimentazioni bancarie/finanziarie è stata altresì raffermata con sentenza n. 2753 del 5 febbraio 2009 (ud. del 28 ottobre 2008), la quale – richiamando diverse precedenti pronunce – (Cass., trib.: 7 febbraio 2008 n.2821; 7 settembre 2007 n.18868; 23 giugno 2006 n. 14675; 27 giugno 2005 n. 13808; 17 maggio 2002 n. 7267; 29 marzo 2002 n. 4601; 26 febbraio 2002 n. 2814; 18 gennaio 2002 n. 518, tra le recenti) ha confermato il principio per il quale

“la legittimità della utilizzazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, atteso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, prevedono il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’amministrazione tributaria e non già di un obbligo per la stessa”.

L’attività di accertamento degli uffici finanziari, infatti (Cass., trib.: 21 dicembre 2005 n. 28316; 10 dicembre 2003 n. 18851; 23 maggio 2003 n. 8143; 16 maggio 2003 n. 7666; 18 aprile 2003 n. 6232; 13 giugno 2002 n. 8422; 23 marzo 2001 n. 4273; 3 marzo 2001 n. 3128; 28 luglio 2000 n. 9946), avendo natura amministrativa,

“deve svolgersi nel rispetto delle previste cautele per evitare arbitrii e la violazione di fondamentali diritti del contribuente ma non è retta dal principio del contraddittorio per cui la previsione, nelle norme invocate, della convocazione del contribuente con l’invito al medesimo a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, ha solo il fine di consentire all’Amministrazione di acquisire elementi istruttori e non impongono alla stessa un obbligo per cui le risultanze emerse dall’attività di verifica, prodromica all’emissione dell’avviso di rettifica, ben possono costituire valido supporto probatorio della pretesa impositiva a tale avviso sottesa anche in mancanza di immediata contestazione al contribuente in sede di verifica”.

9 novembre 2012

Francesco Buetto