Gli ulteriori elementi e indici di capacità contributiva che permettono allo studio di settore di reggere

ecco quali sono gli ulteriori elementi di prova (nelle recenti sentenze di Cassazione) che rafforzano e rendono credibile il risultato degli studi di settore ai fini dell’accertamento

Con ordinanza n. 16939 del 4 ottobre 2012 (ud. 27 settembre 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo lo studio di settore applicato in sede di accertamento, una volta che l’ufficio, a supporto, ha addotto la presenza di ulteriori indici di capacità contributiva.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della CTR del Piemonte n. 65/10/09, depositata il 25 settembre 2009, con la quale veniva accolto l’appello dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, di segno opposto.

In particolare, il giudice del riesame “osservava che l’atto impositivo si basava proprio sugli studi di settore, per i quali peraltro si era tenuto conto del reddito dichiarato da G., e quindi anche dei costi, riscontrandosi peraltro anche che la crisi del comparto denunziata non aveva comportato uno scostamento dai ricavi relativi alle annualità precedenti, mentre per converso il medesimo aveva acquistato un’autovettura M. ed un’imbarcazione negli anni successivi in aggiunta a tre altre auto possedute, oltre ad un grosso immobile di otto vani. Peraltro si trattava di presunzione legale relativa, che poteva essere vinta dall’interessato, che tuttavia non aveva ottemperato al relativo onere”.

 

I MOTIVI DELLA DECISIONE

Per la Corte, “in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili ‘dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta’, sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore medesimo, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una ‘grave incongruenza’, espressamente prevista dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, aggiunto dalla Legge di Conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62 sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame (v. pure Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009)”.

 

Brevi note

La Corte di Cassazione ha ormai acquisito, in omaggio alla flessibilità dei vari metodi di accertamento espressione del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione:

  • “l’esclusione di ogni automatismo nella loro applicazione”; peraltro confermata dalla stessa Amministrazione finanziaria con la circolare n. 5/2008;

  • “l’ampio riconoscimento per il contribuente della possibilità di prova contraria, anche mediante presunzioni”; l’utilizzo di altre presunzione per smontare la presunzione da studi di settore;

  • “la crescente valorizzazione del contraddittorio e dell’adeguatezza della motivazione come parte fondante ed intrinseca agli atti di accertamento” (di fatto, l’obbligatorietà del contraddittorio).

 

In questo quadro, vanno registrate le quattro sentenze della Cassazione a Sezioni unite – nn. 26635, 26636,26637,26638 del 10 dicembre 2009 (ud. del 1° dicembre 2009), che nell’occuparsi specificatamente di un caso di un contribuente sottoposto a parametri, estendono le stesse conclusioni agli studi di settore.

Gli studi di settore, anche se caratterizzati da una minore approssimazione probabilistica rispetto ai parametri, rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello “normale” in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante.

Lo scostamento non deve essere “qualsiasi”, ma testimoniare una “grave incongruenza” (come espressamente prevede il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, c. 3, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, la L. n. 146 del 1998, art. 10, c. 1, nel quale pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in maniera espressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere “corretti”, in contraddittorio con il contribuente, in modo da “fotografare” la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa “incoerenza” con la “normale redditività” delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato.

 

IL PRINCIPIO ESPRESSO DALLE SEZIONI UNITE

“La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non e ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.

 

Se spetta all’ufficio dimostrare che il contribuente rientra nel cluster di riferimento, di contro compete al contribuente dimostrare che non vi rientra.

E l’ufficio per acclarare l’appartenenza al cluster può utilizzare elementi interni al reddito d’impresa o di lavoro autonomo (i.e. soggetto più volte pizzicato per mancata emissione degli scontrini fiscali; redditi bassi per più anni ovvero perdite persistenti per diversi anni) ovvero esterni al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, come gli indici di maggiore capacità contributiva non giustificati (a fronte di redditi bassi non appaiono plausibili acquisti di autovetture di grossa cilindrata, barche, immobili…). E tali elementi devono essere smontati dal contribuente al fine di far venire meno la “grave incongruenza”.

 

5 novembre 2012

Roberta De Marchi