La deduzione delle spese di aggiornamento professionale

il trattamento fiscale delle spese sostenute dai professionisti per aggiornamento professionale è adeguato alla vigente normativa sull’obbligo di aggiornamento professionale?

L’art. 54 c. 5 del TUIR, nell’ambito della determinazione del reddito da lavoro autonomo, dispone che le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno, sono deducibili nella misura del 50% del loro ammontare. Sul punto, si rammenta che tali spese, a decorrere dal 1° gennaio 1989, sono entrate, a tutti gli effetti, nel novero delle spese sostenute nell’esercizio della professione per le quali non è consentita la deducibilità integrale.

Con riferimento alla disposizione in commento, è stato richiesto all’Agenzia delle Entrate (in occasione della diretta MAP del 31 maggio 2012) se la deducibilità limitata operi anche con riferimento alle spese di pura partecipazione (quindi, con esclusione delle spese di vitto e alloggio) sostenute per la formazione continua obbligatoria che determinate categorie di soggetti (tipicamente, gli iscritti in albi professionali), per espressa previsione normativa e ordinamentale, sono obbligate a sostenere.

Secondo l’istante, infatti, per tali tipologie di costi non dovrebbe rilevare la presunzione legale di inerenza attenuata, prevista dal citato art. 54 del Tuir, secondo cui una quota-parte di tali spese (forfetizzata nella misura del 50%) debba ritenersi sostenuta per finalità di carattere ludico o, comunque, extra-professionale. A supporto della suddetta tesi gioca il fatto che i predetti oneri sono solitamente sostenuti al solo fine di arricchire il bagaglio professionale e culturale dei partecipanti con effetti diretti per la qualità e varietà delle prestazioni, per l’immagine e la visibilità verso la clientela che si concretizza in ritorni economici in termini di maggiore clientela e incremento di compensi.

A ciò si aggiunga che, per effetto delle disposizioni contenute nel D.P.R. 137/2012 di riforma delle professioni, l’aggiornamento professionale è divenuto un obbligo imprescindibile, la cui violazione costituisce un illecito disciplinare: il professionista che non matura i crediti annuali previsti dagli ordini o dai collegi nazionali, e approvati dal ministero di riferimento, è soggetto ad una sanzione disciplinare certa, a differenza del passato, in cui la conseguenza dell’inadempimento era rappresentata da una semplice lettera di richiamo.

Tuttavia, nonostante le citate argomentazioni a supporto della totale inerenza del predetto onere (e quindi dell’integrale deducibilità), l’Agenzia delle Entrate si è limitata, ancora una volta, ad adottare un’impostazione in linea con il tenore letterale del dato normativo che non effettua alcuna distinzione né in relazione alla tipologia di spesa, né alla tipologia di formazione ( obbligatoria o meno) sicché, conclude l’Agenzia, la deducibilità limitata deve operare anche con riguardo alle spese sostenute per la partecipazione alla formazione continua obbligatoria da parte degli iscritti in Albi professionali.

Nessun chiarimento viene, invece, fornito in merito al corretto trattamento fiscale delle spese alberghiere e di ristorazione sostenute per la partecipazione a convegni, congressi e simili. Sul punto, l’orientamento ormai consolidato dell’Amministrazione Finanziaria è quello di ritenere che la deducibilità delle altre spese collegate all’evento professionale costituisce, a tutti gli effetti, una deroga al principio generale di deducibilità secondo il quale le stesse sono deducibili in misura complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti dal professionista nel periodo di imposta (prima parte del comma 5, dell’articolo 54 del Tuir). In altre parole, l’Agenzia delle Entrate dispone che la disposizione che limita la deducibilità delle spese alberghiere e di ristorazione al 75% ha carattere di regola generale: la stessa deve pertanto trovare applicazione anche quando tali costi ricadono nel novero delle spese di convegnistica.

Ne consegue che dette spese devono essere assunte nella misura del 75% e sono ammesse in deduzione nel limite del 50%. Da un punto di vista prettamente numerico, limitatamente alle spese alberghiere e di ristorazione sostenute per la partecipazione a convegni, si deve assumere il 50 % del 75 % del costo relativo, ovvero il 37,50 %. Sul punto, ricordiamo che Assonime (Circolare 21 ottobre 2008, n. 55) ha espresso alcune perplessità su tale soluzione.

Infatti, applicando “tale regola si arriverebbe ad una soglia di deducibilità inferiore ad entrambi i limiti posti dalle due discipline“ (50% e 75%). Dello stesso avviso anche il CNDCEC (circolare del 27 aprile 2009 n. 9/IR) per il quale, anche qualora si ritenesse di poter applicare il limite del 75% alle spese di vitto e alloggio sostenute in tali occasioni, l’operare congiunto delle due percentuali (50% e 75%) imporrebbe semplicemente di assumere quale importo massimo deducibile il minore dei due importi (che nella specie, essendo unico il parametro di riferimento per il calcolo dei due limiti, sarebbe sempre quello determinato applicando il 50% all’ammontare delle spese sostenute) e non quello del 37,50%.

 

3 ottobre 2012

Sandro Cerato