Accertamento sintetico (redditometro) ed onere della prova

la Corte di Cassazione ha assegnato al contribuente l’onere di smentire le risultanze dell’accertamento sintetico: il thema decidendum rimane circoscritto alla questione della sufficienza della prova che il contribuente deve offrire sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva

Con ordinanza n. 14896 del 5 settembre 2012 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha assegnato al contribuente l’onere di smentire le risultanze dell’accertamento sintetico.

 

LA SENTENZA IMPUGNATA

Il giudice di secondo grado ha osservato che l’acquisto di un grosso immobile costituiva incremento di reddito, mentre la donazione di una consistente somma di denaro da parte della madre, peraltro nulla perchè non compiuta con atto pubblico, non era nemmeno documentata; inoltre la cessione di un ramo d’azienda era avvenuta in epoca molto successiva all’acquisto in argomento.

 

I MOTIVI DELLA DECISIONE

Per la Corte, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il metodo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, – come via via modificato – consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenzino un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la determinazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione al contenuto induttivo di tali circostanze ed elementi. Pertanto, la norma esige dati certi con riguardo alla esistenza del maggiore reddito imponibile e, in presenza di dati siffatti, richiede la individuazione dell’entità del reddito stesso con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante da quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale. Ne consegue che, in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 2, (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 327 del 11/01/2006, n. 10350 del 2003)”.

 

Brevi riflessioni

Il redditometro da luogo ad una presunzione “legale” ai sensi dell’art. 2728 del codice civile, poichè è lo stesso dettato normativo che impone di ritenere come diretta conseguenza di determinati fatti noti (la disponibilità di beni o servizi) il fatto ignoto (capacità contributiva).

Il giudice tributario, quindi, una volta constatata la sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” accertati dall’ufficio, non ha il potere di negare a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, dovendo solo limitarsi a valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale1.

Il cd. sintetico trae fondamento nell’art. 38, c. 4, del D.P.R. n. 600/1973, che consente all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi ed indipendentemente da una previa rettifica analitica, di determinare il reddito complessivo netto delle persone fisiche, tutte le volte che tale reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato e tale situazione permane per due o più periodi d’imposta.

La presunzione semplice genera, peraltro, l’inversione dell’onere della prova, trasferendo sul contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà, ovvero a darne una diversa valutazione.

Il contribuente ha facoltà di dimostrare (comma 6 del citato articolo 38), anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: ovviamente l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

La circolare n. 101/E del 30 aprile 1999 aveva già posto in risalto che “in sede di valutazione delle prove giustificative addotte dal contribuente “ occorre attenersi “ ai necessari principi di ragionevolezza, al fine di pervenire a determinazioni reddituali convincenti e sostenibili, secondo gli ordinari canoni probatori“ e “considerata l’inevitabile imprecisione dello strumento presuntivo … si sottolinea l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici, soprattutto nei casi in cui la ricostruzione presuntiva del reddito sia essenzialmente fondata su fatti-indice che costituiscono soddisfacimento di bisogni primari o che sono caratterizzati da elevata rigidità (in particolare, spese per l’abitazione e spese per mutui immobiliari)“.

Successivamente, la circolare n. 49/2007, invita gli Uffici a valutare la probatorietà della “documentazione prodotta dal contribuente”.

La prova contraria – nei casi in cui l’amministrazione finanziaria proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore ( come nel caso di specie) è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso – rimane a carico del contribuente.

In tema di accertamento sintetico è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi che, provando un determinato ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito globale, senza la necessità di conoscere i cespiti certi dai quali il reddito stesso possa derivare, restando a carico del contribuente l’onere di provare l’inesistenza della capacità reddituale. Il possesso di alcuni beni – auto, immobile, mutuo, premio annuo di assicurazione – che costituisca elemento di fatto e circostanza certa, vale a giustificare il ricorso all’accertamento sintetico ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973 da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il thema decidendum rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva (i.e. che il denaro utilizzato per l’acquisto sia di un terzo soggetto; ma occorre, in questo caso, che il contribuente dia contezza della tracciabilità del denaro, non bastando la sola affermazione che l’incremento patrimoniale è frutto di un prestito o di un regalo).

Nell’ambito dell’onere della prova su accertamenti sintetici, con sentenza n. 6813 del 20 marzo 2009 (ud. dell’11 febbraio 2009) la Corte di Cassazione, in pratica, ha limitato il contribuente nel fornire proprio la prova contraria all’ufficio. Nella corposa sentenza della Cassazione è possibile estrapolare dei passaggi significativi, che possono costituire veri e propri punti di riferimento:

  • documentazione delle prove: la Corte, in ordine, poi, alla pretesa “mole documentale prodotta” riscontra “l’assoluta mancanza di individuazione sia degli specificidocumenti che si assumono esibiti che la carenza di qualsivoglia indicazionein ordine al luogo ed al tempo processuali di produzione, oltre che (e, perquanto detto, soprattutto), del contenuto di ciascuno: in siffatta totalecarenza espositiva, quindi, questa Corte non è stata posta in condizione diformulare nessun giudizio prognostico sulla effettiva consistenza dellaseconda doglianza e, di conseguenza, di apprezzare le probabilità di unesito favorevole ai contribuenti dell’eventuale ulteriore giudizio (dimerito) sul contenuto di quei documenti”;

  • mancata riferibilità della prova all’anno di sostenimento della spesa: “l’interpretazione degli atti impositivi proposta con il motivo diricorso, comunque ed infine, è del tutto incongrua perché i contribuenti nonindicano mai l’anno (o gli anni) in cui hanno sostenuto le spese:l’espressione ‘risulta per l’anno’, che si assume usata dall’Ufficio,invero, non significa affatto che l’Ufficio abbia considerato che la spesain contestazione sia stata affrontata in quell’anno (1990 e/o 1992) ma soloche, per ciascuna spesa, la quota dell’anno di riferimento (1990 e 1992) èquella indicata nell’atto impositivo, come previsto dal D.P.R. 29 settembre1973, n. 600, art. 38, comma 5 nel testo, applicabile al caso ratione temporis, aggiunto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1, comma 1, lett.b), per il quale qualora l’ufficio determini sinteticamente il redditocomplessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, lastessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti,in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinqueprecedenti“;

  • redditi esenti: interpretazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/73 non è “conforme alla lett. e, soprattutto, alla ratio della norma perché postula una scissione tra 1) dimostrazione documentale del possesso dei redditi determinati sinteticamente dall’Ufficio in base al fatto che il contribuente abbia sostenuto una spesa per incrementi patrimoniali e 2) prova dell’impiego materiale di tali redditi inammissibile perché nel sesto comma dello stesso art. 38 (‘il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’; ‘l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione’) il legislatore individua l’oggetto della prova liberatoria a carico del contribuente unicamente nella (dimostrazione della) identità della ‘spesa per incrementi patrimoniali’ con ‘redditi esenti o … soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’: per la norma, quindi, non è sufficiente la prova della sola disponibilità di ‘redditi’ – e men che mai di ‘redditi esenti’ ovvero di ‘redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’ – ma è necessario anche la prova che la ‘spesa per incrementi patrimoniali’ sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi ‘redditi esenti o … soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’ ; la scissione supposta, peraltro, ridonda illogicamente a danno del contribuente perché senza (la prova anche de) il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa ‘per incrementi patrimoniali’, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (‘la stessa si presume’) posta, a suo svantaggio, dalla norma. Nel caso i contribuenti hanno dedotto solo il preteso possesso di redditi che assumono sufficienti ma non hanno mai neppure allegato né che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare la ‘spesa per incrementi patrimoniali’ recuperata a tassazione dall’Ufficio né, soprattutto, che quegli stessi redditi erano ‘esenti’ da imposta o erano stati già assoggettati ‘a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’”.

 

Anche di recente, con ordinanza n. 21661 del 22 ottobre 2010 (ud. del 26 maggio 2010) la Corte di Cassazione – proprio per una ipotesi reperimento di fondi dal nucleo familiari – ha attribuito al contribuente l’onere di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.

Ricordiamo, ancora, che con Ordinanza n. 19637 del 16 settembre 2010 (ud. del 26 giugno 2010) la Corte di Cassazione, nell’esaminare ancora una volta la problematica della prova contraria nell’ambito dell’accertamento sintetico, ha ribadito la propria posizione, gravando il contribuente dell’onere della prova contraria. Costituisce, infatti, principio consolidato “quello secondo il quale, in materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente (Cass. nn. 86658/2002, 5991/200623252/2006)”.Nella fattispecie, il giudice a quo, ha escluso che la contribuente abbia fornito la prova contraria.

 

17 ottobre 2012

Roberta De Marchi

1Cfr. sentenza Cass. n. 22936 del 17 ottobre 2007 (dep. il 30 ottobre 2007).