La rimessione di debiti senza giustificati motivi è potenzialmente elusiva: esame del caso di una minusvalenza derivata dalla cessione da parte della società M. della partecipazione nella società S.

i contribuenti che intendono rimettere i crediti maturati, rischiano di vedersi contestata la componenente negativa di reddito, se la rimessione risulta ingiustificata

Con sentenza n. 12622 del 20 luglio 2012 (ud. 21 dicembre 2011) la Corte di Cassazione ha ritenuto elusiva la rimessione di debiti, priva di motivi, effettuata nell’ambito di un gruppo societario.

 

Il PROCESSO

La CTR della Lombardia ha rigettato l’atto di appello proposto e confermato la sentenza di prime cure con la quale erano stati dichiarati legittimi gli avvisi di accertamento aventi ad oggetto il recupero a tassazione IRPEG ed ILOR per gli anni 1997 e 1998 di maggiori redditi e la irrogazione delle relative sanzioni pecuniarie, in conseguenza del disconoscimento di minusvalenze dichiarate dalla società contribuente per L. 2.800.000.000, derivanti dalla cessione della partecipazione totalitaria detenuta in una società estera, nonchè del disconoscimento del credito di imposta per L. 500.000.000 chiesto a rimborso dalla società con la dichiarazione dei redditi Mod. 760/98.

 

LA DOGLIANZA DELLA PARTE RICORRENTE

Il contribuente – parte ricorrente – si doglie, fra l’altro, del fatto che i Giudici di appello hanno negato la deducibilità della componente negativo di reddito, costituito dalla minusvalenza derivata dalla cessione da parte di M. s.p.a. della partecipazione totalitaria nella S. Ltd, in base all’asserita illegittimità della remissione di debito (operazione ritenuta priva di razionale giustificazione economica) compiuta da un soggetto terzo rispetto alla società contribuente, assumendo che le “ragion economiche” della operazione potevano al più rilevare ai fini della fattispecie elusiva di cui all’art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, mentre la CTR lombarda aveva riconosciuto nel caso di specie una ipotesi di evasione di imposta, escludendo la deducibilità del componente negativo di reddito“in base ad un elemento (antieconomicità) estraneo ai presupposti di certezza, effettività ed inerenza del costo previsti dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (ora art. 109)”. Inoltre, secondo i ricorrenti, era stata violata la norma dell’art. 2697 c.c., in quanto gravava sulla PA l’onere della prova dei fatti costituivi della pretesa tributaria, onere che non poteva essere invertito richiedendo al contribuente di fornire la giustificazione economica della operazione di remissione di debito.

 

LA DECISIONE

Il motivo – per la Corte di Cassazione – è infondato, pur se corregge la motivazione della sentenza di appello.

La Suprema Corte prende atto che la CTR fonda l’intero ragionamento posto a base della decisione su due premesse in fatto determinanti: “1 – le società coinvolte nelle diverse operazioni appartenevano al medesimo gruppo societario ed avevano tutte come riferimento la persona fisica del T.; 2 – la remissione da parte di una società del gruppo (C.M.) di un debito di L. 6.900.000.00 vantato nei confronti della S. Ltd, in assenza di motivazioni adeguate, configura un comportamento ‘illegittimo’ (dovendo interpretarsi tale termine equivalente ad ‘antieconomico’, come emerge chiaramente dalla complessiva lettura della motivazione della sentenza)”.

Da tali premesse, fa discendere però “la conseguenza, giuridicamente inesatta, secondo cui la minusvalenza (realizzata dalla M. s.p.a. a seguito della cessione delle azioni della S. Ltd. acquistate immediatamente dopo la remissione dell’ingente debito) difetterebbe dei requisiti di certezza ed inerenza alla attività di produzione del reddito”.

Ed infatti, se in tema di imposte sui redditi, la nozione tributaria di “inerenza all’attività di impresa” comunemente accolta dalla costante giurisprudenza, deve intendersi “come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – che implica un accostamento concettuale fra due circostanze, con la conseguenza che il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 21.01.2009 n. 1465; id. 5′ sez. 30.07.2007 n. 16826), ne consegue che “la minusvalenza patrimoniale generata dalla operazione di cessione della partecipazione azionaria detenuta da M. s.p.a. nella S. Ltd, e non espressamente contestata dall’Ufficio quanto al perfezionamento dell’atto negoziale di cessione ed al prezzo conseguito dalla vendita, risponde ad entrambi i requisiti di certezza (an) e di obiettiva determinabilità dell’ammontare (quantum) della componente negativa di reddito, necessari ai fini della deducibilità dal reddito ex art. 75, comma 1, vecchio TUIR”.

Rileva ancora la Suprema Corte che la CTR lombarda afferma, in vero, che la deduzione dal reddito della minusvalenza non può essere riconosciuta in quanto discende dall’illegittima rinuncia ad un credito, sembrando pertanto, avuto riguardo anche al successivo passaggio motivazionale della sentenza secondo cui le operazioni de gruppo societario dirette ad abbattere l’imponibile della M. s.p.a. debbono ricondursi nello schema dell’evasione e non dell’elusione d’imposta, che i Giudici di appello abbiano inteso sospettare del carattere fittizio dell’atto di remissione di debito (in quanto meramente strumentale a creare un inesistente utile di esercizio al fine di sopravvalutare il valore della partecipazione della S. Ltd al momento dell’acquisto effettuato da M. s.p.a.). Tuttavia tale affermazione fondata sull’equivoco utilizzo della forma aggettivale (illegittimità della remissione), non trova ulteriore riscontro nelle altre parti motive della sentenza di appello in cui viene sostenuta una tesi differente da quella della nullità o della simulazione assoluta degli atti negoziali compiuti infragruppo.

Ed infatti i Giudici di merito dopo aver considerato la molteplicità degli elementi indiziari emersi dall’istruttoria – in particolare ponendo in risalto la sequenza cronologica delle diverse operazioni di acquisto e rivendita realizzate in un breve arco di tempo, l’intervento nelle operazioni di società appartenenti allo stesso gruppo e comunque tutte riconducibili ad un unico soggetto, la sostanziale coincidenza degli importi relativi alla remissione del debito, del prezzo di acquisto delle partecipazioni e degli utili distribuiti dalla società beneficiarla della remissione – hanno poi argomentato dalla assenza di plausibili ragioni economiche della remissione di debito (causa originaria che aveva innescato la sequenza delle altre operazioni) che se le attività negoziali erano rimesse “al libero arbitrio delle parti“, pur tuttavia in un contesto societario, qual è quello esaminato, tali comportamenti debbono “rispondere a precise ragioni economiche“, pervenendo quindi, mediante argomento logico- presuntivo, ed in assenza di elementi contrari di prova forniti dalla società contribuente, alla conclusione che “le operazioni del gruppo erano funzionali ad un abbattimento dell’imponibile“.

La “illegittimità” della remissione del debito viene, pertanto, ad essere identificata dai Giudici di merito con l’assenza di “razionali giustificazioni economiche” della operazione, in relazione dunque ad un parametro di tipo teleologico – ben distinto da quello fondato sul criterio lecito/illecito col quale deve essere valutata la difformità della condotta ad una norma giuridica di divieto – che è utilizzato come tipico elemento sintomatico per la verifica della natura fiscalmente elusiva di una operazione in sè lecita, integrante la fattispecie dello “abuso del diritto” che rende inopponibile alla Amministrazione finanziaria il risultato elusivo ottenuto dall’impresa (cfr. Corte cass. 5′ sez. 21.04.2008 n. 10257; id. SU 23.12.2008 n. 30055; id. 5′ sez. 26.2.2010 n. 4737) e porta al “conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr. Corte cass. SU 21.12.2008 n. 30055)”, ed in ordine alla quale “la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate” (cfr. Corte cass. 5′ sez. 22.09.2010 n. 20029).

Se dunque, gli argomenti giuridici svolti a supporto del decisum (fondato sulla “assoluta mancanza di una razionale causa economica” della remissione del debito e sulla mancanza di “alcuna prova in ordine alle ragioni economiche che l’avevano generata“), non valgono a dimostrare la mancanza dei presupposti richiesti per i componenti negativi reddito (“e cioè degli elementi d’inerenza e riferibilità organica ai costi di esercizio“), appaiono invece del tutto sufficienti ed idonei a sorreggere egualmente il decisum in quanto fondato sulla ricostruzione, “in termini elusivi, dell’intera complessa vicenda negoziale, caratterizzata da operazioni compiute in stretta sequenza temporale da società appartenenti a medesimo gruppo e facenti riferimento ad una medesima persona fisica, nonchè a legittimare il convincimento dei Giudici territoriali secondo cui tali operazioni miravano esclusivamente ad una modifica di poste di bilancio all’interno del gruppo al fine di consentire a M. s.p.a. un abbattimento del reddito imponibile conseguito nel periodo di imposta, con conseguente inopponibilità al Fisco del risultato fiscale realizzato dal gruppo societario mediante il collegamento negoziale descritto (remissione debito; acquisto partecipazioni; rivendita partecipazioni: realizzazione minusvalenza; sottrazione di reddito imponibile)”.

Pertanto, i Giudici della massima corte confermano la decisione della CTR lombarda di rigetto dell’appello, correggendo la motivazione della sentenza, nella parte in cui afferma che la minusvalenza iscritta a bilancio e riportata nella dichiarazione dei redditi deve essere disconosciuta in quanto difetta dei requisiti di deducibilità previsti dal vecchio art. 75 del TUIR, “anzichè in quanto realizza un risultato fiscalmente vantaggioso per la impresa (riduzione del reddito imponibile di M. s.p.a.), tuttavia inopponibile alla Amministrazione finanziaria in quanto derivante dal collegamento di operazioni economiche infragruppo compiute con esclusiva finalità di elusione di imposta”.

La sentenza di merito, inoltre, viene ritenuta esente da censura in relazione all’asserita violazione della regola del riparto dell’onere probatorio, in quanto i Giudici territoriali si sono conformati ai principi enunciati dalla Corte nella specifica materia in esame: “ed infatti una volta che l’Amministrazione ha fornito la prova del ‘disegno elusivo’ (per tale intendendosi la prova degli atti negoziali e la ricostruzione della complessiva vicenda economica che non trova giustificazioni alternative al conseguimento del vantaggio fiscale), grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 4.4.2008 n. 8772; id. 5′ sez.21.4.2008 n. 10257; id. 5′ sez. 22.9.2010 n. 20029)”.

Nel caso specifico, l’A.F. “ha assolto al proprio onere con la indicazione degli elementi fattuali posti a fondamento dell’avviso di accertamento ed assunti a base delle valutazioni compiute dai Giudici di merito”, mentre il contribuente non ha adempiuto al proprio onere in quanto, a fronte della contestata irragionevolezza dell’operazione economica costituente la causa prima dei successivi atti negoziali delle società del gruppo, e della finalità elusiva del complesso delle operazioni economiche infragruppo, non è stato in grado di individuare neppure “una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale della azienda” (cfr. Corte cass. 5′ sez. 21.01.2011 n. 1372).

 

21 settembre 2012

Francesco Buetto