Indagini finanziarie nei confronti del contribuente anche senza motivazione apparente dell'Agenzia delle Entrate?

un caso in cui il contribuente viene sottosposto ad indagini finanziarie senza che vi sia una specifica motivazione per gli accessi del Fisco ai suoi dati bancari

Con sentenza n. 5849 del 13 aprile 2012 (ud 21 febbraio 2012) la Cassazione ha confermato che la richiesta di indagini bancarie non necessita di motivazione.

Secondo i supremi giudici, il dettato normativo di riferimento (art. 51 c. 2 D.P.R n. 633 del 1972) dispone che, per l’adempimento dei loro compiti concernenti il controllo, gli uffici possono richiedere, “previa autorizzazione dell’ispettore compartimentale delle tasse ed imposte indirette sugli affari ovvero, per la Guardia di finanza, del comandante di zona” alle aziende ed istituti di credito “copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti …la richiesta deve essere indirizzata al responsabile della sede o dell’ufficio destinatario che ne da notizia immediata al soggetto interessato; la relativa risposta deve essere inviata al titolare dell’ufficio procedente“.

Tale norma, “non prevede affatto l’obbligo dell’indicazione del motivo, dello scopo o delle ragioni logiche e giuridiche per la richiesta e l’emissione dei provvedimenti volti, all’acquisizione dei conti correnti bancari, essendo l’esercizio del potere degli uffici di richiedere la copia dei conti intrattenuti con il contribuente collegato, appunto, col generale potere di controllo della dichiarazione (che può, anche, non risolversi in un accertamento tributario), senza necessità di specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa (Cass. n. 16874 del 2009). Deve, quindi, escludersi la pertinenza del richiamo alla giurisprudenza ed ai principi elaborati in tema di ‘accessi’, che, secondo il disposto del successivo art. 52 del Decreto IVA, sono testualmente subordinati – a differenza da quanto previsto per l’acquisizione dei conti correnti bancari – al rilascio di apposita autorizzazione ‘che ne indichi lo scopo’ da parte del capo dell’ufficio e del Procuratore della Repubblica in caso di accesso domiciliare, mirando al diverso scopo di conciliare l’esigenza dell’acquisizione degli elementi di riscontro di una supposta evasione fiscale, e di evitarne l’occultamento o la distruzione, con la tutela del domicilio di ogni cittadino, la cui inviolabilità è espressamente riconosciuta dall’art. 14 Cost. (cfr.Cass. SU n. 16424 del 2002)”. Rileva ancora la Corte che “l’applicazione al caso in esame dei principi richiamati rende insussistente la denunciata violazione di legge, e, per l’effetto, del tutto irrilevante il vizio motivazionale dedotto al riguardo (con riferimento sia ai presupposti per la richiesta di autorizzazione sia all’asserita carenza di motivazione del decreto autorizzativo), senza dire che, trattandosi in tesi di un vizio di motivazione su profili di diritto, la censura sarebbe comunque stata inidonea alla cassazione della sentenza, sovvenendo in tal caso il potere di correzione o integrazione di cui all’art. 384 c.p.c..

 

Il nostro pensiero

La Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 16874 del 21.7.2009 (ud. del 2.4.2009), peraltro richiamata nella sentenza che si annota, aveva affrontato la questione, prendendo le mosse dal dettato normativo (art. 51 del D.P.R. n. 633/72), secondo cui gli uffici finanziari possono richiedere, previa autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate o, per la Guardia di finanza, del comandante di zona, alle aziende ed istituti di credito e all’Amministrazione postale copia dei conti intrattenuti col contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti.

Dall’analisi della norma emerge innanzitutto che, a differenza di quanto previsto dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/72, che, per procedere agli “accessi, impone agli impiegati di essere muniti di “apposita autorizzazione“, rilasciata dal capo dell’ufficio, “che ne indichi lo scopo, nell’ art. 51, c, 2, n. 2, del citato D.P.R., non vi è traccia dell’eventuale obbligo di indicazione né dello “scopo“ né del “motivo e, a fortiori, di un obbligo di motivazione (ovverosia indicazione delle ragioni logiche e giuridiche che li sorreggono) dei provvedimenti previsti per l’iter (meramente) acquisitivo dei conti correnti bancari e/o postali ivi regolato.

Pertanto, l’esercizio del potere di indagine finanziaria rientra nel più ampio genus dei poteri di controllo, senza specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa; la “previa autorizzazione non deve contenere nessuna spiegazione delle ragioni che hanno indotto il Direttore regionale o il comandante “ad autorizzare il proprio Ufficio ad effettuare la richiesta a detti enti perché non è stato disposto che la richiesta di questo provvedimento da parte degli uffici debba essere operata necessariamente per iscritto (o trasfusa in atto scritto): il rilievo impone, quindi, di escludere la necessità (pretesa dal contribuente) di motivare la richiesta stessa perché dalla riscontrata non necessità di una esplicitazione scritta del dato che il superiore dovrebbe valutare discende, in via logica, che nessuna motivazione deve supportare neppure il provvedimento di concessione dell’autorizzazione”.

Infatti, eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario soltanto quando, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (cfr. Cass. n. 18836/06).

L’interpretazione esposta non contrasta con nessuno dei fondamentali diritti del contribuente: né col diritto di difesa (art. 24 Cost.), perché, non essendo prevista nessuna forma di contraddittorio obbligatorio nella fase preimpositiva, l’esercizio di quel diritto non trova nessun ostacolo nella sede propria (quella giurisdizionale); né col diritto alla riservatezza, avendo il legislatore attenuato in parte il c.d. segreto bancario e, di conseguenza, la riservatezza concernente il suo contenuto almeno nei riguardi degli uffici fiscali.

L’odierna sentenza della Cassazione prende atto del dettato normativo tributario di riferimento (art. 51, c. 2, n.7, del D.P.R. n. 633/72 e l’art. 32, c. 1, n.7, del D.P.R. n. 600/73), che si limita a prevedere che le indagini finanziarie sono esperibili, previa autorizzazione dell’organo sovraordinato ivi previsto.

Se l’esibizione dell’autorizzazione non è necessaria (e quindi, di fatto, il contribuente non conosce i motivi che stanno alla base delle indagini), è perché proprio il dettato normativo di riferimento non prevede espressamente che l’atto autorizzativo debba spiegare le ragioni del controllo avviato, dovendosi ravvisare nell’organo deputato al rilascio dell’autorizzazione solo un potere di controllo di legittimità (che l’ufficio richiedente, per esempio, abbia inoltrato la richiesta alla Direzione regionale competente territorialmente).

Ricordiamo, tuttavia, che secondo quanto indicato nella C.M. n. 32/2006 l’autorizzazione “deve contemplare in modo indefettibile il requisito essenziale dei motivi sottostanti l’indagine, in ossequio al principio di trasparenza e di effettività della tutela giurisdizionale di ogni soggetto” (puntualizzato dalla citata C.M. n. 32/2006)

Essa deve indicare il contribuente da sottoporre ad indagini, il periodo temporale da controllare, e deve riferirsi alla copia dei suoi conti intrattenuti con la banca, con la specificazione dei rapporti inerenti e connessi, e gli istituti di credito, postali e gli altri organismi cui si intende inoltrare la richiesta.

Gli organi competenti al rilascio dell’autorizzazione devono valutare la sussistenza dei requisiti di legittimazione e di merito, dandone atto nella motivazione dello stesso atto autorizzativo.

Ciò è da ritenere maggiormente necessario, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 7.9.1990, n. 241, che modificando l’orientamento giurisprudenziale che non lo considerava necessario, ha imposto un obbligo generalizzato di motivazione.

La stessa Agenzia delle Entrate, nella circolare n.32/2006 ( par. 4.2.1), ritiene necessaria e obbligatoria la motivazione.

 

28 settembre 2012

Roberta De Marchi