Gli accertamenti presuntivi da studi di settore scattano anche se lo scostamento è minimo

basta anche uno scostamento minimo dagli standard dello studio di settore per rendere il contribuente soggetto a procedure di accertamento induttive

Con ordinanza n. 13824 dell’1 agosto 2012 (ud. 6 giugno 2012) la Corte di Cassazione ha legittimato l’accertamento presuntivo, anche nell’ipotesi in cui lo scostamento fra ricavi dichiarati e quelli accertabili sia minimo.

 

LA DECISIONE

“In tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili ‘dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta’, come nella specie, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011).

Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una ‘grave incongruenza’, espressamente prevista dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, aggiunto dalla Legge di Conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame (v. pure Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009)”.

 

 

Accertamenti presuntivi – Brevi considerazioni

Da diversi anni, l’Amministrazione finanziaria, nei confronti dei soggetti che operano nei confronti di consumatori finali predilige, l’accertamento di tipo presuntivo piuttosto che l’accertamento analitico puro.

L’esigenza di abbandonare il principio di analiticità a favore dei cd. controlli indiretti1, sia pure per talune categorie di contribuenti, è stata avvertita per superare la correttezza formale della contabilità.

La sentenza in rassegna merita di essere evidenziata perché conferma che una lieve differenza fra i ricavi dichiarati e quelli accertabili può costituire un indizio grave, preciso e concordante di evasione.

Come è noto, sempre la Suprema Corte2 ha stabilito che “… in tema di prove su presunzioni non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignorato come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, bastando, invece, che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal Giudice, per giungere all’espresso convincimento circa tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto supposto a quello accertato…”.

Già sul punto del lieve scostamento si erano espressi i giudici di merito: con sentenza n. 26 del 16 febbraio 2009 (ud. del 21 febbraio 2008) la CTP di Padova, Sez. II, non ha ammesso il ricorso al metodo di accertamento induttivo fondato sugli studi di settore qualora non sussista un grave scostamento con riferimento ai ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli strumenti statistici.

La differenza infatti deve essere rilevante e non giustificata, e tale da manifestare incongruenza nel risultato dell’imponibile dichiarato, non potendosi utilmente ricorrere agli studi laddove siano dimostrate dal contribuente circostanze circa una situazione di marginalità e anormalità dell’ordinario ciclo economico del settore di appartenenza (lo scostamento di soli Euro 8.109,00 a fronte di ricavi dichiarati per Euro 68.572,00 non può essere considerato così “grave” da consentire la possibilità, ai sensi dell’art. 62-sexies c. 3 del D.L. 331/1993, di esperire un accertamento analitico induttivo – ex art. 39 c. 1 lett. d D.P.R. 600/1973 – in presenza di scritture contabili regolarmente tenute).

“L’accertamento analitico induttivo, per le conseguenze che provoca, deve essere infatti consentito, per quel che concerne la sua applicazione agli studi di settore, solo in caso di differenze rilevanti; in caso contrario diventa illegittimo per eccesso di potere”.

Ancora una volta è il contraddittorio – previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, c. 409, lett. b, e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dall’espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229/2006), e dalla prassi amministrativa – l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore.

Eventuali significative incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli potenziali, legittimano l’avvio delle procedure di accertamento a carico del contribuente con invito a quest’ultimo, nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti e gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell’inapplicabilità nella specie dello standard.

La sentenza che si annota è sostanzialmente conforme all’ordinanza n. 10778 del 16 maggio 2011 (ud. del 19 aprile 2011) dove la Corte di Cassazione, richiamando i principi da ultimo fissati dalle SS.UU. con la sentenza n. 26635/2009, ha ricordato che

“la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in se considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standards prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”.

Precisa la Corte che nell’occasione, è stato, pure, affermato che “la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una grave incongruenza, espressamente prevista dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, aggiunto dalla Legge di Conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62 sexies citato, non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento”.

Nella fattispecie oggi posta all’esame degli Ermellini, l’accertamento si basava sulle gravi irregolarità riscontrate in sede di verifica (macelleria), tanto che parecchi animali non erano stati registrati, le fatture emesse erano di numero inferiore a quelle prescritte, i ricavi erano stati calcolati sui prezzi praticati ed esposti, la parte aveva rifiutato di fornire le rese effettive e si era tenut conto della metodologia prevista per l’attività di macelleria.

 

19 settembre 2012

Francesco Buetto

1 In generale, sul tema, si rinvia a Lupi, Il controllo indiretto del giro d’affari di artigiani, commercianti e professionisti. Verso gli studi di settore, in “il fisco”, n.38/93, pag.9489.

2 Cass., Sentenza n.5052 del 4 febbraio – 10 giugno 1987.