I prelevamenti dei professionisti non sono compensi

Una sentenza della C.T.R. della Sicilia interviene in tema di prelievi dei professionisti dai conti correnti, negando che vi possa essere un’equivalenza automatica fra prelievi del contribuente e ricavi professionali.

La presunzione che considera i prelievi come incassi può operare solo con riferimento ai redditi d’impresa, ma viene escluso che possa essere applicata ai professionisti. La Commissione tributaria regionale di Palermo, sezione staccata di Catania, con la sentenza n. 18/18/12 depositata il 26 gennaio 2012, ha sancito che i prelevamenti dei professionisti dai propri conti correnti bancari non possono essere considerati compensi e pertanto non possono essere tassati.

 

Prelevamenti dei professionisti – Normativa di riferimento

L’art. 32, c. 1, n. 2 32, Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dispone che i dati ed elementi attinenti ai rapporti finanziari intrattenuti dal contribuente con Istituti di credito, (ma anche Poste, assicurazioni, società di leasing, credito al consumo. eccetera), sono utilizzati da Guardia di Finanza ed uffici finanziari e

“… posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni…”.

In sostanza, il legislatore prevede l’imputazione a reddito imponibile (di impresa o di lavoro autonomo) delle somme rinvenute sulle movimentazioni dei conti bancari riferibili al contribuente, sia in addebito che in accredito, delle quali non sia stata fornita giustificazione in contraddittorio con l’ufficio.

I prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti o operazioni sono considerati, quindi, come ricavi o compensi su cui si fondano le rettifiche e gli accertamenti, nel caso in cui il contribuente:

  1. non sappia indicarne il soggetto beneficiario;
  2. non risultano annotati nei libri e registri contabili (circolare ministeriale 32/2006).

 

In più, per la Corte Costituzionale (ordinanza 23.11.2011, n. 318) le modifiche apportate dall’articolo 1, commi 402 e seguenti, della legge 311/2004 (Finanziaria 2005) all’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973, e quindi le presunzioni di redditività delle movimentazioni bancarie degli esercenti arti e professioni (ed alle imprese) si applicano anche in vigenza dell’art. 32 ante-riforma.

Trattasi di un avallo alla giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr sentenze 22013/2006 e 11750/2008) secondo cui l’accertamento effettuato a seguito di movimentazione bancaria ingiustificata costituisce presunzione legale, suscettibile di prova contraria, applicabile non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e ai professionisti, anche prima delle modificazioni apportate dalla Finanziaria 2005 con effetto dal 1° gennaio 2005.

E’ anche per questa ragione che la metodologia principe degli accertamenti nei confronti dei professionisti resta quella dell’indagine finanziaria. Ribadisce la recente circolare ministeriale n. 18/E del 31 maggio scorso,

“… ai fini dell’esecuzione dei controlli va sempre più privilegiato l’utilizzo delle indagini sui rapporti finanziari, con particolare riguardo ai conti correnti bancari, le cui movimentazioni consentono la ricostruzione presuntiva dell’effettivo volume degli affari conseguito dai contribuenti in parola e l’auspicata individuazione delle omesse contabilizzazioni di ricavi e compensi. Il ricorso al detto strumento istruttorio, ricorrendone i presupposti, deve in specie avvenire nei controlli riguardanti gli esercenti arti e professioni…”.

 

 

Orientamenti giurisprudenziali

In tema di indagini finanziarie e rilevanza reddituale delle movimentazione dei conti correnti dei professionisti il Supremo Collegio ha, da tempo, consolidato un orientamento favorevole alla posizione dell’Amministrazione finanziaria.

Con sentenza n. 14041 del 27 giugno 2011 (udienza del 4 maggio 2011) i Giudici hanno chiarito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione, di cui al DPR n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito, ha portata generale (nonostante l’utilizzo, nella versione applicabile ratione temporis, dell’accezione ricavi e non anche di quella compensi) ed è applicabile, non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e professionale (Cfr. Cass. 11750/08, 430/08, 4601/02).

Grava sul contribuente l’onere di dimostrare che di detti ricavi “… ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine …”. Analogamente, costituiscono ricavi non dichiarati i prelevamenti annotati nei medesimi conti e non contabilizzati “… se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario…”.

Come ricordato da dottrina di fonte ministeriale (Salvatore SARDELLA http://www.fiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/movimenti-bancari-non-giustificati-e-reddito-anche-autonomi) poiché la prova in oggetto è di fonte “legale”, l’elemento di prova offerto dall’amministrazione non necessiterebbe dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 codice civile per le presunzioni semplici (cfr, Cassazione 21180/2008), potendo quest’ultima semplicemente allegare l’esistenza delle movimentazioni bancarie non giustificate, a differenza di altre tipologie di accertamento (come gli accertamenti cosiddetti standardizzati basati su parametri e studi di settore), in cui i caratteri cosiddetti “qualificanti” della prova sono “ricavabili solo dalla concorrenza univoca di altri elementi ….” (Cassazione, sentenza 11750/2008).

 

C.T.R. Palermo, sezione staccata di Catania, sentenza n. 18/18/12 – 2012

I prelevamenti dei professionisti non sono compensi.

Nella sentenza n. 18/18/12-2012, in commento i Giudici di seconda istanza facenti parte della XVIII sezione della commissione regionale stigmatizzano l’operato dei verificatori affermando che la presunzione per i prelievi possa operare solo con riferimento ai redditi d’impresa, ma non per i professionisti (cfr. S. MORINA, Intassabili i prelievi dei professionisti, Il Sole 24 Ore, martedì 17.07.2012).

Nelle motivazioni della decisione vengono escluse incongruenze tra quanto esposto in contabilità ed il dato indicato nel modello UNICO, considerato che il professionista “…ha puntualmente provato che i movimenti bancari, contestati dall’ufficio e non riconosciuti dai primi giudici, hanno natura strettamente personale e familiare, senza alcuna relazione con l’attività professionale.

La decisione, parrebbe quindi aderire ad un orientamento rinvenibile nelle motivazioni della Sentenza della Corte di Cassazione n. 20735 depositata il 6 ottobre 2010, secondo cui negli accertamenti bancari i prelevamenti possono essere riconosciuti quali costi, senza che scatti la presunzione di maggiori ricavi, se il contribuente prova di averli sostenuti.

 

 

Prelevamenti non giustificati dei professionisti – Alcune osservazioni

La presunzione di avere conseguito maggiori redditi attraverso i prelievi non giustificati dà luogo, e questo è evidente, a una “doppia presunzione” poiché ciò presume l’esistenza di costi in nero dai quali conseguono ricavi non dichiarati.

Per tale ragione, perfino l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto opportuno operare alcune precisazioni di buon senso tese a mitigare gli effetti della invasiva metodologia di rettifica basata sulle indagini finanziarie.

In sostanza la stessa circolare n. 32/2006 richiama quanto già precisato nella circolare n. 28/E del 2006, al paragrafo 7, secondo la quale “i contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extraprofessionale”.

Nella realtà, purtroppo, al di là delle enunciazioni di prassi emanate dall’Amministrazione centrale, gli uffici finanziari a livello locale non ritengono assolto l’onere probatorio con l’indicazione dell’effettivo beneficiario delle somme prelevate; fonti di stampa (F. FALCONE A. IORIO, Difesa con armi spuntate sulle indagini finanziarie, Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2011) osservano che i funzionari deputati all’accertamento richiedano di documentare la giustificazione dei prelievi che, per importi in contanti, è pressocché impossibile, a distanza di tempo.

Pur nondimeno la presunzione di equivalenza a compensi professionali dei movimenti bancari non giustificati diversamente rimane di assoluta irrazionalità tale da poter essere definita vero e proprio monstrum giuridico.

La legge di stabilità (licenziata in bozza il 30 giugno 2011) aveva cercato di risolvere (con un emendamento poi non esaminato) quella che ai più sembra essere una beffa cancellando saggiamente la previsione che i prelevamenti sono considerati incassi e, pertanto, tassabili ai fini fiscali. Emendamento scomparso, con la correzione della norma.

Le somme depositate sul conto sono (giustamente) considerate ricavi, ma sui prelievi – spesso per spese personali del contribuente – sembrerebbe opportuna più cautela.

 

26 luglio 2012

Attilio Romano