Con ordinanza n. 10556 del 25 giugno 2012 (ud. 18 aprile 2012) la Corte di Cassazione riaffronta la questione studi di settore, passando la palla al contribuente in termini di difesa dallo studio di settore.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza n. 54/5/10, la CTR della Puglia accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di prime cure con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto nei confronti dell'avviso di accertamento emesso dall'Ufficio ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, per l'anno 2004. Il giudice di appello riteneva, invero, che a fronte dei parametri presuntivi di reddito di cui agli studi di settore, utilizzati dall'amministrazione, il contribuente non avesse fornito alcuna prova concreta in ordine allo scostamento dei ricavi dichiarati dai risultati dell'applicazione dei predetti studi di settore.
Avverso la sentenza n. 54/5/10 ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, c. 1 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè l'insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. L'amministrazione intimata ha replicato con controricorso.
L’ordinanza
Entrambi i motivi di ricorso - che, per la loro connessione, sono stati esaminati congiuntamente - vengono ritenuti manifestamente infondati.
“Va osservato, infatti, che - vertendosi, nella specie, in materia di accertamento analitico - induttivo - devono trovare applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies e L. n. 549 del 1995, art. 3, che prevedono la possibilità per l'amministrazione di utilizzare, ai fini della rettifica delle dichiarazioni del contribuente, la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore. Orbene - in via di princi