Se il contribuente rifiuta il contraddittorio…

In caso di accertamento basato su studi di settore o parametri, la giurisprudenza di Cassazione impone anche al contribuente di partecipare al contraddittorio, se non vuole vedere limitate le sue opzioni difensive in sede processuale

Con ordinanza n. 23946 del 15 novembre 2011 (ud. 26 ottobre 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che nel caso in cui contribuente non risponde all’invito al contraddittorio in sede amministrativa,

“per recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte (n. 26635 del 2009) l’accertamento può essere fondato esclusivamente sulla valutazione parametrica, rimanendo tuttavia impregiudicata la facoltà del contribuente di provare la inattendibilità della medesima, anche con presunzioni semplici, ed il potere del giudice di effettuare la valutazione comparativa degli elementi di prova addotti dalle parti”.

 

Nel caso di specie,

“il motivo è irrilevante ed inammissibile perchè non coglie la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che afferma preliminarmente la insufficienza dei dati parametrici, ma non fonda la decisione su tale assunto, bensì sulla affermazione successiva che il contribuente aveva fornito una prova contraria idonea a superare le ragioni addotte dall’Ufficio, provando che la attività libero-professionale di geometra era marginale rispetto a quella di amministratore di società”.

Né la CTR spiega

“le ragioni del suo convincimento, limitandosi ad affermazioni generiche ed apodittiche che non consentono che comprendere l’iter logico giuridico alla base della decisione”.

 

 

Il rifiuto del contraddittorio da parte del contribuente – Brevi note

L’accertamento con adesione

avviso di accertamento cassazioneIl procedimento di accertamento con adesione trova il suo fondamento nel dialogo che necessariamente deve instaurarsi fra Fisco e contribuente, durante il quale viene posta in discussione la sostenibilità della pretesa fiscale, analizzati gli eventuali elementi che possano condurre alla sua riduzione o modificazione, e ponderata la convenienza a definire l’accertamento con l’adesione in rapporto alla prosecuzione della controversia in sede contenziosa .

Per l’istituto dell’accertamento con adesione introdotto dal D.Lgs. n. 218/1997, il contraddittorio diventa il punto nevralgico attorno al quale si fonda l’intero procedimento.

La circolare n.65/2001 – emanata a diversi anni di distanza dalla prima in materia di accertamento con adesione ( C.M. n. 235/97) – ha precisato che

“l’esito del contraddittorio è suscettibile di incidere sulla pretesa fiscale…, solo qualora siano stati addotti dal contribuente, in tale sede, nuovi elementi di valutazione rispetto a quelli già conosciuti e quindi valutabili dall’ufficio in dipendenza dell’istruttoria svolta”.

 

Presenza di cause giustificative

Gli studi di settore oggi, i parametri prima, costituiscono uno degli argomenti su cui si confrontano contribuenti, aziende e professionisti.

Se è vero che gli strumenti presuntivi costituiscono un efficace sistema per tassare il reddito, nella continua ricerca della giusta imposta, è altrettanto vero che possono essere limati in sede di contraddittorio, sulla base di eventuali giustificazioni addotte dal contribuente.

La giurisprudenza recente, anche quella di segno contrario agli uffici, ha un comune denominatore: la valutazione della presenza o meno di cause giustificative.

Se non vi sono cause che giustificano lo scostamento le Commissioni tributarie danno ragione agli uffici. Diversamente, decidono in favore del contribuente.

In materia di studi di settore, ricordiamo, innanzitutto, che la Corte di Cassazione, in una delle sue prime pronunce sul tema, con la sentenza n. 17229/2006 ha sancito l’illegittimità dell’accertamento non in funzione di una asserita mancanza di efficacia probatoria degli studi, ma in relazione proprio all’assenza del contraddittorio, fase fondamentale dell’attività istruttoria da parte dell’ufficio, in quanto garantisce al contribuente di vincere la presunzione costituita dagli studi di settore e, quindi, di far valere la regolarità del proprio operato.

Per la Corte, infatti, è necessario

“che l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell’art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, di vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore”.

L’essenzialità del contraddittorio – nell’applicazione di parametri e studi di settore – è stata confermata anche dalla sentenza della Corte n. 14027/2011: l’esito del contraddittorio, da un lato, non preclude l’impugnazione dell’atto impositivo e, dall’altro, consente in caso di comportamento inerte del contribuente di valutarne il contegno e di rendere sufficiente il rinvio allo strumento statistico ai fini della motivazione.

Anche in questo caso viene richiamata la pronuncia a SS.UU.: la ratio decidendi della sentenza impugnata non è conforme alla giurisprudenza della Corte, secondo la quale

“la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”;

e secondo la quale tale procedura di accertamento

“costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”.

Tuttavia, precisa la Corte, l’esito del contraddittorio

“non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass., sezioni unite, 18 dicembre 2009, n. 26635).

 

La stessa Cassazione, anche nella Relazione n. 94 del 9 luglio 2009 del Massimario, ha evidenziato che:

  • il contraddittorio procedimentale amministrativo è necessario nell’ambito degli strumenti standardizzati, in forza del principio generale dell’azione amministrativa del giusto procedimento, trattandosi di applicare ad un caso di specie uno dei criteri elaborati per categorie di soggetti e con efficacia di presunzione semplice, che comporta l’inversione dell’onere della prova e il suo caricamento sulle spalle del contribuente;

  • la mancata partecipazione del contribuente, debitamente invitato, all’attività amministrativa istruttoria in contraddittorio con l’ufficio tributario legittima l’adozione dell’avviso di accertamento presuntivo;

  • la prova che il contribuente non ha dato in sede procedimentale amministrativa può essere da lui fornita in sede processuale1.

 

E ancora con ordinanza n. 20680 del 7 ottobre 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che – in un accertamento presuntivo fondato sui parametri – nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, ne assume le conseguenze, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio col contribuente, nonostante il rituale invito.

I motivi addotti dall’Amministrazione finanziaria sono stati ritenuti manifestamente fondati, con il semplice richiamo al principio affermato a SS.UU., con la sentenza n. 26635/2009:

“la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”.

Quindi, “nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, egli

“assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

La Cassazione ha, inoltre, addossato sul contribuente le spese del giudizio (€ 1.200,00).

Nel caso ultimo, quindi, la Cassazione bacchetta ancora una volta il contribuente rimasto comunque inerte, conformemente al pensiero espresso dalle sentenze a Sezioni unite – nn. 26635, 26636,26637,26638 del 10 dicembre 2009 (ud. del 1° dicembre 2009) -, atteso che il contraddittorio è parte integrante del procedimento di accertamento standardizzato.

 

13 febbraio 2012

Gianfranco Antico

 

NOTE

1 Con la sentenza n. 12630 del 38 maggio 2009 ( ud. del 21 aprile 2009) la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che : “Vero è che la mancata partecipazione del contribuente, debitamente invitato, all’attività amministrativa istruttoria in contraddittorio con l’ufficio tributario legittima l’adozione dell’avviso di accertamento presuntivo; ciò tuttavia non impedisce al contribuente medesimo di fornire, in sede processuale, la prova che non ha dato in sede procedimentale amministrativa ( v. Cass. Sez.5°, sentenza n. 2816 del 7.2.2008)”.