Rettifica Iva: no su false fatturazioni per operazioni inesistenti

L’emissione di fatture a fronte di operazione inesistenti non è sanabile con una nota di variazione IVA, tranne il caso di buona fede e/o l’eliminazione del rischio di perdita di gettito da parte dell’Erario. Così si è espressa la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, con la sentenza numero 24231, del 18 novembre 2011.

Fatture False e rettifica dell’IVA

sentenza corte di cassazioneLa Corte di Cassazione, con la sentenza numero 24231, pubblicata il 18 novembre 2011, ha stabilito che se il contribuente emette fatture false, ossia per operazioni inesistenti, non può emettere nota di variazione IVA ai fini della regolarizzazione dell’indebita fatturazione.

La regolarizzazione può essere concessa solo se colui che ha prodotto la fatturazione falsa, dimostri la buona fede e/o l’eliminazione del rischio di perdita di gettito da parte dell’Erario.

 

La massima in sintesi

Non può essere sanata con nota di variazione Iva:
 la fattura emessa a fronte di operazioni inesistenti
 

Eccezione alla regola:

 colui che ha prodotto la fatturazione falsa, deve provare la buona fede e/o l’eliminazione del rischio di perdita di gettito da parte dell’Erario (nel caso in cui, ad esempio, la nota di variazione venga fatta prima dell’accertamento dell’Ufficio e/o della detrazione dell’imposta dell’impresa che riceve il documento falso).

In caso contrario:

 è pura frode fiscale e non può parlarsi di semplice elusione fiscale impugnabile con le norme sull’abuso del diritto.

 

I fatti di causa

La Alfa S.r.l., successivamente incorporata nella Beta S.r.l., con separati ricorsi, impugnava due avvisi di rettifica e gli atti di contestazione, con i quali l’Ufficio, recuperava l’imposta evasa e irrogava le connesse sanzioni.

Le verifiche compiute dalla Polizia Tributaria, infatti, avevano portato alla luce un complesso meccanismo volto all’evasione dell’Iva, posto in essere usufruendo della speciale procedura dell’Iva di gruppo di cui all’art. 73, co. 3, del DPR. 633/1972.

 

Eccezioni della contribuenti

La ricorrente, in particolare, eccepiva:

  • il difetto di motivazione degli avvisi;
  • l’insussistenza della infrazione, evidenziando che le contestate operazioni non erano inesistenti e strumentali.

 

Nelle more del giudizio di primo grado, però, interveniva il fallimento della Beta Srl (incorporante).

La Curatela fallimentare si costituiva:

  •  ammettendo che le contestate operazioni erano inesistenti.

 

Eccezione della Curatela: principio neutralità dell’Iva

La medesima tuttavia eccepiva che:

  •  l’Ufficio non aveva titolo a esigere l’imposta dall’emittente delle fatture, sulla base del principio di neutralità dell’IVA, affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, giusta sentenza 19.09.2000, in causa 454/1998.

 

La CTP ammetteva la regolarizzazione dell’Iva

La Commissione Tributaria di Trento, accoglieva parzialmente i ricorsi:

  • ammettendo il fallimento all’esercizio della facoltà di regolarizzazione dell’IVA indebitamente fatturata o detratta.

 

I Giudici di primo grado, hanno ammesso la Curatela alla facoltà di regolarizzare l’imposta – pur se a fronte di operazioni inesistenti – con la convinzione di adeguarsi all’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia della Comunità Europea, in tema di rettifica dell’IVA.

 

Doglianze dell’Ufficio

A questo punto, l’Agenzia Entrate proponeva appello.

La CTR rigettava il gravame e confermava l’operato del Giudice di prime cure. L’Ufficio chiedeva allora la cassazione dell’impugnata decisione.

Nella specie, l’Agenzia lamentava la violazione degli artt. 21, comma 7, 26, comma 3 e 73, ultimo comma, del DPR n.633/1972 deducendo che:

  • la CTR, disponendo la regolarizzazione per operazioni inesistenti, era incorsa in errore per non avere considerato che l’art.21 non risulta applicabile nel caso di fatturazione di operazioni inesistenti, come è agevole desumere dal relativo tenore. D’altronde – proseguiva l’Ufficio – il comma 2° dell’art. 26 non risultava applicabile nel caso di operazioni di fatturazioni inesistenti.

La Sezione Tributaria della Cassazione ha ritenuto la doglianza fondata.

 

Si rammenta che l’art. 21, comma 7, DPR 633/1972 dispone che:

“se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

Inoltre, l’art. 26 comma 2, afferma che:

“se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, […] viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.

 

Motivi della decisione

Il Supremo Collegio ha ritenuto fondata la doglianza prospettata dall’amministrazione finanziaria.

E, tanto, alla stregua del quadro normativo di riferimento e di principi fissati in pregresse condivise pronunce.

E’ stato, in vero, affermato che:

“in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dall’art.. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della stessa norma, sia una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente”.

 

Abuso di diritto

E’ stato, altresì, precisato che:

“in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalia mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività” dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali.
Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione” (n.20398/2005).

 

OSSERVA

Sulla scorta del principio antielusivo l’Amministrazione Finanziaria può proporre opposizione ai contratti simulati stipulati tra i contribuenti ed in sede di accertamento che in sede di contenzioso.

 

Sottrazione al pagamento dell’imposta dovuta

emissione di fatture false e rettifica dell'IVAAlla luce delle riportate considerazione, gli Ermellini hanno ritenuto che, nel caso di specie la contribuente, avvalendosi della speciale procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo prevista dall’art.73, ultimo comma, del DPR n. 633/1972, si è sottratta al pagamento dell’imposta dovuta, emettendo fatture per operazioni inesistenti nei confronti di società del gruppo e stornandole, poi, attraverso l’emissione di note di accredito di pari importo, nonché contabilizzando fatture passive per operazioni inesistenti, che venivano, poi, stornate con le note di credito ricevute; in buona sostanza, compiendo operazioni elusive.

 

In sintesi:

  •  la Suprema corte ha ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento, sulla base della vigenza in materia di consolidati principi di diritto sia in tema di fatture fittizie che in tema di regolarizzazioni di operazioni con note di variazione (Cassazione, sentenze 309/2006, 12353/2005 e 7289/2001).

Nella specie, dando soluzione positiva alle perplessità dell’Agenzia delle Entrate sull’inopinato pronunciamento dei giudici di merito, ha spiegato che l’articolo 26 del Dpr 633/1972:

  •  ha la finalità di consentire, rispetto a una data operazione per la quale sia stata emessa fattura, di rettificare quest’ultima perché la stessa è venuta meno in tutto o in parte, in conseguenza di uno degli elementi indicati dalla norma (dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente).
    La regolarizzazione mediante emissione di nota di variazione non è però ammessa con riferimento a operazioni inesistenti per le quali sia stata emessa fattura (articolo 21, comma 7, Dpr 633/1972).
 
A fronte delle operazioni inesistente la CTR non doveva ammettere la S.r.l. alla regolarizzazione dell’Iva

In conclusione, ad avviso dei Supremi Giudici, ha sbagliato la CTR laddove, pur avendo riconosciuto la partecipazione della società a un meccanismo fraudolento e il conseguente rischio di perdite fiscali, l’ha comunque ammessa alla rettifica dell’operazione senza che neanche la stessa avesse dimostrato la propria buona fede.

E, tanto, in contrasto con il principio dell’abuso di diritto che vieta al contribuente di conseguire vantaggi fiscali, mediante l’uso distorto di strumenti giuridici atti a procurare indebitamente un’agevolazione o, comunque, un risparmio d’imposta.

Inoltre, la pretesa di sottrarsi al pagamento dell’Iva dovuta su fatture fittizie va riconosciuta nel solo caso in cui:

  •  il soggetto che le ha emesse ha completamente eliminato in tempo
    utile il rischio di perdite di entrate fiscali, riuscendo a farsi restituire e a distruggere i documenti prima del loro uso da parte del destinatario (Cassazione, 21110/2011).

Dello stesso avviso la disciplina Comunitaria, in tema di tributi armonizzati, laddove sostiene che la regolarizzazione deve ritenersi consentita solo ed esclusivamente nel caso in cui:

  •  il rischio di perdite di entrate fiscali sia stato eliminato in tempo utile, ovvero
    il contribuente che ha emesso la fattura dimostri la sua buona fede.

Ebbene, la suddette condizioni non state ravvisate nel caso di specie:

  •  posto che il contribuente non ha assunto alcuna tempestiva iniziativa per l’eliminazione del rischio e, d’altra parte, pur gravato del relativo onere (n.20398/2005 ), non ha nemmeno tentato di allegare e provare la propria buona fede.

 

Leggi anche: Rettifica IVA anche senza attività istruttoria

 

23 febbraio 2012

Antonio Gigliotti

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