Rettifica IVA anche senza attività istruttoria

La dichiarazione IVA può essere rettificata dal Fisco quando la sua infedeltà sia desumibile direttamente dal contenuto della stessa, senza la necessità di porre in essere ulteriori attività istruttorie. A cura di Alessandro Borgoglio.

rettifica iva senza istruttoriaL’Agenzia delle Entrate può rettificare la dichiarazione Iva presentata dal contribuente quando la sua infedeltà sia desumibile direttamente dal contenuto della stessa, senza la necessità di porre in essere ulteriori attività istruttorie propedeutiche alla rettifica.

È questa l’interessante decisione assunta dalla Cassazione, con la sentenza n. 4627 del 25 febbraio 2011.

La pronuncia trae origine da un atto impositivo ai fini Iva, con cui l’Ufficio competente aveva accertato a carico di una S.r.l. una maggiore imposta dovuta, basandosi soltanto sui dati dichiarati dalla contribuente, atteso che, dall’esame della dichiarazione annuale, emergeva chiaramente l’errore in cui – secondo il Fisco – la società era occorsa: essa aveva applicato, infatti, la percentuale di indetraibilità del 90% soltanto su una parte degli acquisti e non sul loro intero ammontare, come previsto dall’articolo 19 del DPR 633/1972. Pertanto, l’Ufficio aveva rettificato la dichiarazione della società, procedendo direttamente sulla scorta dei dati dalla stessa dichiarati, senza compiere alcuna ulteriore attività istruttoria.

La contribuente impugnava l’avviso di accertamento, e la Commissione tributaria provinciale accoglieva parzialmente il suo ricorso, rideterminando, quindi, l’Iva detraibile. Appellava la società ma i giudici del riesame confermavano la sentenza di primo grado.

Ricorreva, così, per Cassazione la contribuente, eccependo, tra l’altro, la violazione dell’articolo 54 del DPR 633/1972 e dell’articolo 6 della legge 241/1990, atteso che l’Amministrazione Finanziaria avrebbe illegittimamente proceduto alla rettifica della dichiarazione Iva senza porre in essere alcuna attività istruttoria, che – secondo la contribuente – sarebbe invece richiesta a pena di nullità, poiché il succitato articolo 54 del Testo Iva, che autorizza l’accertamento senza istruttoria, sarebbe stato implicitamente abrogato dal summenzionato articolo 6 della legge 241/1990.

sentenza corte di cassazioneLa Suprema Corte, investita della questione, ha preliminarmente osservato che il già citato articolo 54 del DPR 633/1972 – per cui

“L’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente quando … l’infedeltà … emerga … direttamente dal contenuto di essa” – consente la rettifica della dichiarazione Iva da parte dell’Ufficio quando, appunto, l’infedeltà della stessa si desume direttamente dai dati in essa indicati, senza necessità di porre in essere alcuna altra attività istruttoria.

Inoltre, secondo la Cassazione, l’articolo 6 della legge 241/1990 – in base al quale

“Il responsabile del procedimento … accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria”

– non si pone in contrasto con la prima norma pocanzi indicata ma anzi è ad essa del tutto sovrapponibile, atteso che impone l’accertamento dei fatti mediante le attività istruttorie necessarie, per cui, qualora tali adempimenti istruttori non siano necessari, giacché l’accertamento è possibile direttamente dall’esame dei dati dichiarati dal contribuente, sarebbe del tutto inutile porre in essere attività istruttorie superflue e, quindi, non previste dalla disposizione in oggetto.

I Giudici del Palazzaccio, poi, hanno osservato che la ricorrente, al di là dell’eccezione, meramente formale, della necessità di un’attività istruttoria ai fini della rettifica della dichiarazione Iva, non ha allegato alcun altro elemento che avrebbe potuto evidenziare una lesione al suo diritto di difesa, né, peraltro, ha indicato quali avrebbero potuto essere gli atti istruttori omessi che, invece, sarebbero stati necessari ai fini dell’accertamento.

In conclusione, la Suprema Corte – dopo aver rigettato anche gli altri motivi di ricorso, con cui la società aveva censurato la motivazione dell’avviso di accertamento, ritenuta soltanto apparente, ed aveva denunciato vizio di motivazione in relazione alla sentenza impugnata – ha respinto il ricorso della contribuente, che è anche stata condannata al pagamento delle spese di giudizio.

20 aprile 2011

Alessandro Borgoglio