Il concordato per le piccole imprese

Procedura concorsuale ad hoc per le piccole imprese che sono, oggi, escluse dalle ordinarie procedure concorsuali.

La Commissione Giustizia del Senato ha approvato il testo del disegno di legge che concede anche alle “piccole imprese” che si trovano in una situazione di “sovraindebitamento” la possibilità di accedere alla procedura di concordato per la ristrutturazione dei propri debiti.

La procedura è, in particolare, rivolta alle imprese in crisi che non posseggono i requisiti di “fallibilità” previsti dall’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni.

 

I presupposti e il contenuto della domanda

crisi da sovraindebitamento di piccole impreseIl 17 gennaio 2012 è stato approvato dalla Commissione Giustizia del Senato il DDL che reca “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di soluzione delle crisi da sovraindebitamento”.

Il disegno di legge si rivolge in particolare alle persone fisiche e alle piccole imprese “sovra indebitate” che vertono in stato di grave difficoltà finanziaria e alle quali non sono applicabili le disposizioni vigenti in materia di procedure concorsuali.

Per sovraindebitamento precisa il DDL si intende una situazione di “perdurante squilibrio” tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile dal debitore per farvi fronte.

In pratica il nuovo decreto ammette alle procedure concorsuali quali il concordato e gli accordi di ristrutturazione, le imprese prima escluse perché al di sotto delle soglie di “fattibilità” di cui all’art. 1 della legge fallimentare per ricavi, attivo patrimoniale e/o volume dei debiti.

 

Soggetti ammessi alla procedura:

La nuova procedura riguarderà le imprese che:

  • hanno avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro;

  • hanno realizzato nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro;

  • hanno un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 150mila euro;

  • non ne hanno fatto già ricorso nei tre esercizi precedenti.

 

L’accordo di ristrutturazione

Nei casi ammessi dal disegno di legge il debitore in difficoltà può proporre ai suoi creditori un accordo di ristrutturazione del debito sulla base di un Piano che assicuri l’integrale pagamento dei creditori dissenzienti, ossia dei creditori che non hanno sottoscritto l’accordo, nonché dei creditori privilegiati che non hanno rinunciato al privilegio. Il Piano dovrà contenere il dettaglio delle scadenze e delle modalità di pagamento dei creditori, che possono anche essere suddivisi per classi.

Tali tempi e modalità di pagamento devono essere opportunamente ponderate in modo che siano compatibili con la capacità dell’impresa di generare cash flow. Inoltre il Piano dovrà contenere le eventuali garanzie e le modalità per la soddisfazione dei creditori in qualsiasi forma.

Come modalità di liquidazione è ammessa anche la cessione dei redditi futuri.

Il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori estranei quando ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni:

  • il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine;

  • l’esecuzione del piano sia affidata ad un liquidatore nominato dal giudice su proposta dell’organismo di composizione della crisi;

  • la moratoria non riguardi il pagamento dei titolari di crediti impignorabili.

 

Le modalità di ammissione alla procedura

Gli articoli 9 e10 del ddl disciplinano il procedimento dinanzi al Tribunale competente individuato quale Tribunale in cui ha sede o residenza il debitore.

Il procedimento ha inizio con il deposito della proposta di accordo corredata dall’elenco di tutti i creditori, delle somme dovute, dei beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, dalla dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni nel caso di persona fisica oppure dalle scritture contabili degli ultimi tre esercizi nel caso di imprenditore, dall’attestazione di fattibilità del piano, nonché dall’elenco di tutte le spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia.

Il giudice del tribunale competente valuta l’ammissibilità e la fattibilità del piano. Se giudica la proposta rispondente ai requisiti, fissa immediatamente, tramite decreto, l’udienza; nel contempo da comunicazione ai creditori, presso la residenza o la sede legale, attraverso adeguate forme di pubblicità quali telegramma, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o posta elettronica certificata. Nel caso in cui il debitore eserciti attività d’impresa la pubblicazione avviene anche in un’apposita sezione del Registro delle Imprese.

Se non ci sono atti in frode ai creditori, all’udienza il giudice dispone che per un massimo di centoventi giorni successivi non possano essere effettuate azioni esecutive sul patrimonio del debitore; ciò al fine di garantire l’effettivo svolgersi della fase delle trattative con i creditori. Tale sospensione non opera nei confronti di coloro i quali vantano un credito impignorabile. Inoltre tale sospensione può applicarsi una sola volta anche in caso di successive proposte di accordo.

I creditori che sono stati avvisati della proposta, possono dare il proprio consenso secondo le diverse modalità previste dal provvedimento (telegramma, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax). L’accordo è raggiunto con il consenso di almeno il 70% del valore dei crediti (in teoria, dunque, l’accordo potrebbe concludersi anche con il consenso di un unico creditore qualora questi abbia un credito almeno pari a tale percentuale).

 

Le fasi del procedimento di ammissione

Il procedimento di definizione e conclusione dell’accordo si svolge attraverso una serie di fasi:

  1. deposito della domanda;

  2. fissazione dell’udienza;

  1. raggiungimento dell’accordo;

  2. omologazione dell’accordo;

  3. esecuzione dell’accordo;

  4. impugnazione e risoluzione.

 

Il deposito della domanda

La proposta di accordo deve essere presentata dal debitore (piccolo imprenditore) al tribunale del luogo dove ha la propria residenza o la sede legale.

Insieme alla domanda di ristrutturazione, il debitore deve depositare:

  • l’elenco di tutti i creditori, con indicazione delle somme dovute;

  • le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni;

  • un’attestazione di fattibilità del piano;

  • un elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento personale e dei propri familiari;

  • un certificato, rilasciato da apposito ufficio, attestante il proprio nucleo familiare;

  • la copia conforme agli originali delle scritture contabili degli ultimi 3 esercizi (nel caso di soggetto che esercita attività di impresa).

La domanda deve, dunque, essere corredata da una “attestazione di fattibilità” del piano di ristrutturazione. La norma nulla dice in merito al soggetto tenuto a rilasciare tale attestazione di fattibilità. Tuttavia, come già avviene con gli accordi di ristrutturazione previsti dalla legge fallimentare, si ritiene che questa debba essere rilasciata da un professionista/consulente che abbia preventivamente ricevuto tale incarico dal debitore stesso.

Ovviamente, nell’attestare che il piano è “fattibile” il professionista dovrà tenere conto dell’effettiva possibilità del debitore di soddisfare i propri creditori secondo il piano stabilito.

Pertanto, si ritiene che il suo non debba essere un mero lavoro di “forma” ma debba, piuttosto, andare a verificare ciascuna voce dei bilanci dell’impresa o delle sue dichiarazioni dei redditi, anche apportando modifiche dove necessario. Basti pensare, ad esempio, alla voce “crediti” iscritta nei bilanci, o ancora alla voce “rimanenze”.

Nell’attestare la fattibilità del piano e, dunque, la reale capacità della piccola impresa di far fronte ai propri creditori, il professionista deve avere cura di andare a verificare se i dati indicati sono “veritieri” e “corretti” e, nell’esempio, verificare se non ci sono crediti iscritti in bilancio ma che non saranno mai incassati (a causa, ad esempio, del fallimento di soggetto obbligato) o se il valore attribuito alle rimanenze di magazzino sia corretto (se, ad esempio, non sussistono prodotti che si sono deteriorati e che non saranno mai immessi sul mercato).

Pertanto, il professionista che è chiamato ad attestare la fattibilità del piano svolge un ruolo di primo piano ma è anche professionalmente responsabile di ciò che va ad attestare.

 

La fissazione dell’udienza

Secondo quanto indicato dall’art. 10, se la proposta di ristrutturazione soddisfa i requisiti di ammissibilità e quelli relativi alla documentazione presentata di cui all’art. 9, fissa immediatamente con decreto l’udienza.

In tale prima fase, dunque, il giudice svolge principalmente un controllo formale di legittimità, andando a sindacare solo in merito alla sussistenza delle condizioni per richiedere l’ammissione alla procedura di concordato/ristrutturazione dei debiti, nonché un controllo di legittimità sulla documentazione depositata insieme alla proposta (sussistenza dei requisiti soggettivi e documentali).

Con lo stesso decreto di fissazione dell’udienza, il giudice dispone che ne venga data comunicazione anche ai creditori, prevedendo, al fine di soddisfare i requisiti di celerità e di economicità della procedura, la possibilità di poter effettuare tali comunicazioni non solo mediante telegramma o raccomandata a/r ma anche tramite telefax o mediante utilizzo della PEC (posta elettronica certificata).

La norma si preoccupa, inoltre, di garantire idonea pubblicità al decreto di omologa, prevedendo, in caso di soggetto iscritto nel registro delle imprese, che lo stesso sia pubblicato in apposita sezione dello stesso. In merito, anche se la norma non lo specifica, analogamente a quanto avviene per gli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis l. fall., la pubblicazione deve avvenire mediante compilazione del modello I2 (ovvero S2 nel caso di società).

La garanzia di idonea pubblicità nei confronti dei terzi è funzionale anche al divieto disposto dal giudice in sede di udienza, che per non oltre 120 giorni impedisce che possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali nei confronti del debitore, né possano essere disposti sequestri conservativi o acquisiti diritti di prelazione sul patrimonio del debitore.

 

Raggiungimento dell’accordo

In tale fase, assume rilevanza il ruolo dell’Organismo di composizione della crisi.

I creditori fanno pervenire a mezzo telefax, posta certificata o raccomandata a/r il loro assenso o diniego alla proposta di ristrutturazione. L’accordo è raggiunto con il consenso di almeno il 70% del valore nominale dei crediti (con la conseguenza che, come già accade per gli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis l. fall., esso possa essere sottoscritto anche da un unico creditore il cui credito sia pari almeno al 70% dell’intero ammontare dei crediti).

L’art. 11 stabilisce, inoltre, che, nel caso di debiti nei confronti delle Agenzie fiscali o di Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie (es. INPS), l’accordo è revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente i pagamenti dovuti entro novanta giorni dalle scadenze previste.

 

Omologazione dell’accordo

Una volta che l’accordo è stato raggiunto, l’organismo di composizione della crisi trasmette a tutti i creditori una relazione con indicazione dei consensi espressi e delle percentuali di pagamento fissate, allegando il testo dell’accordo stesso.

Entro i successivi 10 giorni i creditori possono sollevare contestazioni. Trascorsi 10 giorni, l’organismo di composizione della crisi trasmette l’accordo insieme a tutta la documentazione e alle eventuali contestazioni pervenute al giudice. In tale occasione, è tenuto a trasmettere anche una attestazione sulla fattibilità dell’accordo.

Verificato il raggiungimento dell’accordo, verificata l’idoneità ad assicurare il pagamento dei creditori estranei e risolta ogni altra contestazione, il giudice omologa l’accordo e ne dispone l’immediata pubblicazione.

In tale fase, dunque, il giudice non esercita solo un controllo di legittimità ma, piuttosto, entra nel merito dell’accordo. Egli, infatti, deve verificare l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento integrale dei creditori dissenzienti, oltre che il pagamento dei creditori che hanno dato il loro consenso secondo le percentuali indicate. Non si esclude che, in tale fase, il giudice possa ricorrere all’ausilio di Consulenti Tecnici in grado di verificare l’attuabilità dell’accordo, specie per una maggiore garanzia dei creditori stessi.

 

Esecuzione dell’accordo

Nella fase di esecuzione dell’accordo un ruolo centrale è ancora svolto dall’organismo di composizione della crisi. Questi è tenuto a vigilare sull’effettivo realizzo dell’accordo e su eventuali difficoltà che possono insorgere in tale fase.

 

Impugnazione e risoluzione dell’accordo

La norma prevede che se il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore possa chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso.

L’accordo può essere ancora annullato quando il debitore ha dissimulato attivo o passivo al fine di ottenere il consenso dei creditori.

 

L’Organismo di composizione della crisi

Un ruolo da protagonisti è assegnato agli “organismi di composizione della crisi”. Questi devono favorire il raggiungimento dell’accordo e la buona riuscita del piano, collaborando con il debitore e con i creditori anche modificando, laddove necessario, il piano oggetto della proposta di accordo. Lo stesso organismo deve verificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, attestando, altresì, la fattibilità del piano stesso.

In particolare, nella prima fase, questi deve raccogliere le dichiarazioni sottoscritte dai creditori e trasmettere a tutti una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale per l’accordo. Ma l’organismo ha anche il compito di adottare tutte le iniziative necessarie per la predisposizione del piano di ristrutturazione e, pertanto, deve verificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta. Per poterlo fare, il decreto legge gli affida la possibilità di accedereai dati contenuti nell’anagrafe tributaria, nei sistemi di informazione creditizia, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche. I dati personali acquisti devono essere poi distrutti al termine della procedura.

Dopo la conclusione dell’accordo, inoltre, l’organismo è chiamato a vigilare sulla corretta esecuzione dello stesso, risolvendo eventuali difficoltà che possono insorgere in tale fase.

Ma chi sono questi organismi? La norma stabilisce che potranno essere istituti anche da Enti pubblici e sono iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. Inoltre, non solo gli ordini professionali degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili nonché dei notai potranno essere iscritti di diritto in tale elenco, ma anche gli organismi di conciliazione di recente istituiti presso le camere di commercio, agricoltura, industria e artigianato.

Nella fase transitoria, fino all’emanazione del provvedimento della Giustizia che dovrà precisare le caratteristiche del Registro, le funzioni degli organismi potranno essere svolte anche dai professionisti abilitati a svolgere le funzioni di curatore fallimentare.

 

9 Febbraio 2012

Antonella Benedetto e Silvia Margarucci