analisi di un’interessantissima sentenza di Cassazione che illustra come il principio dell’overruling tipico della common law possa influire anche sulla giurisprudenza italiana in tema di studi di settore (Valeria Fusconi e Eleonora Bartolotta)
La Suprema Corte, con l’ord. n. 23017 del 4 novembre 2011 (ud. del 29 settembre 2011) chiarisce i caratteri principali dell’overruling, attraverso una riflessione sull’applicabilità dell’effetto scusante tipico dell’istituto nel campo degli studi di settore.
La pronuncia trova duplice giustificazione (sostanziale e formale) rispettivamente:
1) nella natura meramente presuntiva del parametro dello studio di settore;
2) nella struttura del procedimento logico abrogativo del precedente vincolante (c.d. overruling), alla luce delle caratterizzazioni sue proprie ed in ragione delle motivazioni – di fatto e di diritto – che costituiscono il presupposto di legittimità del mutamento di interpretazione giurisprudenziale determinatosi.
Infatti, la funzione generale dell’istituto dell’overruling è quella di “espellere” dalle fonti del diritto – con efficacia retroattiva – il precedente orientamento interpretativo vincolante, introducendo una nuova e diversa regola iuris, principalmente, allo scopo di adeguare l’interpretazione giuridica ai mutamenti, di fatto e di diritto, nel frattempo intervenuti.
Ora, benché l’overruling sia un istituto tipico del common law, di recente, anche la giurisprudenza nazionale ne ha riconosciuto l’importanza1, distinguendo nell’ordinamento nazionale le varie ipotesi di mutamenti: a) conseguenti a giurisprudenza cd. “evolutiva”, volta ad accertare il significato assunto dalla norma nel momento in cui il giudice è tenuto a farne applicazione; b) relative alla interpretazione c.d. “correttiva”, con la quale il giudice torna sul testo della disposizione normativa al fine di desumerne un significato ulteriore e diverso rispetto a quello consacrato nel precedente orientamento interpretativo, indipendentemente dalla considerazione delle vicende evolutive che hanno interessato la norma2.
Ciò che emerge è il carattere (comune ad entrambe le fattispecie) dell’imprevedibilità del mutamento interpretativo giurisprudenziale rispetto all’orientamento consolidatosi nel tempo.
Proprio su questo tema si concentra l’attenzione dei giudici nella decisione in commento, sul presupposto fattuale della sentenza di secondo grado che aveva dichiarato l’illegittimità dell’atto di accertamento effettuato, per l’anno 1996, a carico di un S.n.c., in ragione dei corrispettivi certificati dal registratore di cassa della società contribuente, dedotti nel giudizio di merito in opposizione alla presunzione di cui all’art. 3, cc. 186 – 189, L. 549/1995. Il chiarimento della Corta arriva dalla necessità di disconoscere la richiesta dell’Erario di attribuire efficacia scusante all’overruling, disapplicando la regola per cui la normativa che disciplina la fattispecie degli studi di settore cade qualora il contribuente riesca a provare un reddito inferiore a quello desunto dall’ufficio, sulla scorta dei suddetti parametri3.
Il piano “formale” della regola dell’imprevedibilità, quale criterio di legittimità dell’overruling e quello “sostanziale” di validità giuridica – da parte dell’ufficio – del ricorso allo strumento presuntivo dello studio di settore, quindi, si intersecano nel più generale quadro della coerenza giuridica. Ragione per cui, per risolvere la questione posta, diventa necessario richiamare i principi generali che definiscono i confini entro i quali si articola l’accertamento attraverso il sistema degli studi di settore, in considerazione – soprattutto – della funzione dello studio quale parametro presuntivo di riferimento nella rideterminazione (dell’eventuale) maggior reddito, fungendo esso da indice rilevatore di una soltanto potenziale anomalia del comportamento del contribuente.
La scriminante dell’overruling non può applicarsi proprio alla luce del fatto che, la prevalente giurisprudenza risulta pacificamente orientata verso il riconoscimento della natura meramente indiziaria degli studi di settore, definiti quali presunzioni semplici4 per le quali gravità, precisione e concordanza5 non posso ritenersi ex lege determinate dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in se considerati.
La definizione dei parametri cui all’art. 62-bis del D.L. n. 331/1993 quali semplici indici rilevatori di una potenziale anomalia del comportamento del contribuente, insieme alla necessità di garantire il rispetto dei principi del contraddittorio e dell’affidamento, vincolano l’Erario, obbligando l’ufficio che ha emesso l’atto ad attivarsi al fine di consentire al contribuente – sia in sede procedimentale che in sede processuale – l’esercizio del proprio diritto alla difesa.
Con la conseguenza che l’efficacia vincolante dello studio potrà essere ricondotta esclusivamente alla rilevazione (indiziaria) dello scostamento tra la presunta situazione in cui versa il contribuente e quella in cui quest’ultimo – statisticamente – dovrebbe venirsi a trovare6, soltanto nel caso in cui la parte non aderisca all’invito al contraddittorio formulato dall’ufficio7 (fatto sempre salvo il diritto del contribuente di agire direttamente in sede processuale dinnanzi al giudice tributario competente, rivendicando l’illegittimità dell’atto alla luce dalla sua inapplicabilità al caso concreto).
Al contrario, l’amministrazione sarà costretta a tener conto di tutte le rilevazioni proposte dal contribuente, dovendo dimostrare, attraverso una congrua motivazione:
1) la correttezza dell’applicabilità del parametro individuato nel caso di specie;
2) le ragioni per le quali devono disattendersi – in tutto o in parte – le argomentazioni proposte dall’interessato8, trovando giustificazione sia la necessità del contradditorio, che la completezza della motivazione nell’esigenza di garantire il rispetto del dettato costituzionale, nella parte in cui collega la (ri)determinazione del reddito all’effettività della capacità contributiva9.
Alla luce di questi presupposti, il ragionamento della Corte si manifesta in tutta la sua linearità, venendo ad affermare:
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che costituisce un principio consolidato di diritto la conclusione che, per contrapporsi al contribuente che decida di contestare compiutamente lo studio di settore, l’amministrazione dovrà provare l’infondatezza delle allegazioni dell’interessato, partendo proprio dalla situazione fattuale concreta in cui egli versa – al di là del modello statistico di riferimento per la categoria di appartenenza;
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che risulta chiara l’inoperatività dell’efficacia scusante dell’overruling, non ricorrendo – in alcun modo – il presupposto dell’imprevedibilità della svolta giurisprudenziale interpretativa in relazione al problema della validità degli studi di settore.
14 gennaio 2011
Valeria Fusconi ed Eleonora Bartolotta
2Benché non riguardi la problematica trattata in questa sede, è bene accennare alle criticità sollevate dai giudici qualora l’interpretazione correttiva riguardi regole di carattere esclusivamente processuale, in considerazione del principio dell’affidamento. Giungendo alla conclusione secondo cui tale ultimo principio deve applicarsi nel senso di estendere la tutela del singolo fino al momento della oggettiva conoscibilità – da verificarsi in concreto – dell’arresto nomofilattico dell’interpretazione correttiva (cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 15144/2011, cit.).
5 I giudici di legittimità hanno ormai chiarito la portata di tali concetti specificando che:“(…) l’esistenza di una presunzione sulla quale sia possibile fondare la decisione di una causa può desumersi in presenza di una pluralità di elementi di valutazione gravi, precisi e concordanti, nei quali il requisito della gravità è ravvisabile per il grado di convincimento che ciascuno di essi è idoneo a produrre a fronte di un fatto ignoto, la cui esistenza deve poter essere dimostrata in termini di ragionevole certezza; il requisito della precisione impone che i fatti noti e l’iter logico del ragionamento probabilistico ben determinati nella loro realtà storica, ed il requisito unificante della concordanza richiede che il fatto sia di regola desunto da una pluralità di fatti noti gravi e precisi; univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza (…)” (tra tutte, Corte di Cassazione, sentenze n. 3646 del 24 febbraio 2004; n. 4168 del 22 marzo 2001).
6 Il L’input al contraddittorio endoprocedimentale, in questo caso, funge da clausola di legittimità successiva dell’accertamento, nella misura in cui convalida il contenuto sostanziale dell’atto impositivo.