La contabilità in nero porta automaticamente all'accertamento induttivo

Analisi di un caso di reperimento di contabilità in nero, fatto che comporta l’utilizzo di modalità di accertamento induttivo da parte del Fisco per ricostruire il reddito del contribuente.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 24055 del 16 novembre 2011 (ud 5 ottobre 2011) dà ancora una volta conferma della legittimità dell’utilizzo dell’accertamento induttivo tutte le volte in cui si è in presenza di una contabilità nera.

 

Contabilità in nero e accertamento del Fisco – Il fatto

La Guardia di Finanza di Bari, nel corso di una verifica fiscale presso la società MG s.r.l., rinveniva della documentazione extracontabile, costituita – in sostanza – da “brogliacci delle entrate”, dai quali era possibile dedurre la sussistenza di una contabilità “in nero”, riconducibile alla stessa società.

Da tale contabilità ufficiosa, dapprima la Guardia di Finanza (nel pvc redatto), poi l’Ufficio finanziario, traevano il convincimento che gli incassi annotati su detti brogliacci – e contraddistinti con la lettera “N” (verosimilmente equivalente ad imponibili “in nero”) – corrispondessero ad entrate procurate da collaboratori della società mediante noleggiodi beni (video giochi, biliardi, flipper…), costituenti oggetto dell’attività d’impresa della MG s.r.l..

In particolare, tra i vari nominativi riportati nella documentazione extracontabile summenzionata, T.A. risultava uno dei principali collaboratori della società, dalla quale aveva ricevuto notevoli compensi, negli anni dal 1994 al 1998 (risultavano altresì emessi in favore di T.A. assegni da parte dell’amministratore di detta società).

T.A, tuttavia, non risultava titolare di attività commerciale alcuna, e pertanto la Guardia di Finanza di Bari iniziava nei suoi confronti una verifica fiscale, che si concludeva con un pvc, “nel quale veniva ipotizzata la sussistenza di un rapporto di collaborazione coordinato e continuativo, tra il T. A. e la MG s.r.l., dal quale derivava, a favore del primo, un reddito di impresa ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 2, lett. a)”.

Da qui l’emissione, da parte dell’Agenzia delle Entrate di Melfi, dell’atto impositivo, oggi deciso dalla Corte di Cassazione, frutto della lettura dei brogliacci reperiti presso la sede della società MG s.r.l., nonché presso l’abitazione dell’amministratore e dei soci della società, attestanti la sussistenza di una attività non dichiarata da parte di T.A..

 

La sentenza

Innanzitutto, per la Suprema Corte,

sentenza corte di cassazione“non può revocarsi in dubbio che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenti un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. Nella nozione di “scrittura contabile”, che – a norma dell’art. 2709 c.c. – fa prova contro l’imprenditore, devono ritenersi, per vero, ricompresi – ad avviso della Corte – tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa, o che comunque siano suscettibili di rappresentare adeguatamente la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”.

Da ciò ne consegue che la predetta “contabilità in nero”, per il

“suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, incombendo al contribuendo, a fronte degli elementi fortemente presuntivi desumibili da detta contabilità informale ed ufficiosa, l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. 25610/06, 19598/03, 11459/01)”.

Nel caso di specie, osserva la Corte,

“la CTR ha, perciò, tratto del tutto legittimamente, per le ragioni suesposte, elementi di convincimento dai brogliacci e dai quaderni della società, nonchè dall’altro documentazione extracontabile reperita dalla Guardia di Finanza, dalla quale poteva desumersi – come, del resto, riconosciuto dallo stesso ricorrente (v. p. 4 del ricorso) – che il T. negli anni 1994-1998 era stato uno dei principali collaboratori della MG s.r.l., e che al medesimo era stata corrisposta una rilevante parte degli incassi della società.

A fronte di tali elementi – di innegabile rilevanza sul piano probatorio – l’odierno ricorrente non era, per contro, in grado di fornire, come si rileva dall’impugnata sentenza, alcun elemento di prova convincente, idoneo a giustificare la consistente situazione patrimoniale riscontrata in capo ai vari componenti della sua famiglia”.

 

 

Contabilità in nero e accertamento induttivo
Le nostre riflessioni

La sentenza che si annota, in pratica, pone in risalto due aspetti:

  • la legittimità dell’accertamento induttivo in presenza di contabilità nera;

  • l’onere della prova – per una lettura diversa – in capo al contribuente.

 

In ordine al primo aspetto, di recente, con sentenza n. 14770 del 5 luglio 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione aveva avuto modo di ribadire che il rinvenimento di documenti, elementi, dati e notizie non altrimenti riconducibili alle scritture contabili formalmente tenute costituisce indizio suscettibile di fondare la presunzione di maggiori redditi non dichiarati, autorizzando l’Amministrazione finanziaria alla rettifica induttiva:

“il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” (Cass. n. 6949/2006).

Sempre di recente, la stessa Corte di Cassazione aveva avuto modo di confermare la sua posizione con l’ordinanza n. 12944 del 14 giugno 2011 (ud. del 19 maggio 2011), secondo cui la c.d. contabilità in nero rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa o rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

In ordine al secondo aspetto, con la sentenza n. 13061 del 15 giugno 2011 (ud. del 23 marzo 2011), per la Corte di Cassazione, la presenza di contabilità parallela in nero, sposta l’onere della prova sulla contribuente.

Peraltro, la stessa Corte Suprema, nella sentenza n. 25101/2008 aveva già ritenuto che – in tali ipotesi – costituisse jus receptum nella giurisprudenza il principio di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

Infatti,

“in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la cd. contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 25610/2006; conf. Cass., nn. 19598/2003, 11459/2001, 7045/1999)”.

 

Leggi anche:

La contabilità in nero è un valido indizio per l’accertamento induttivo

La contabilità in nero aiuta le presunzioni del Fisco

I rischi derivanti dalla contabilità in nero

 

13 gennaio 2012

Gianfranco Antico