Impugnazioni pendenti davanti a Cassazione e Corti di Appello: possibile estinzione d'ufficio delle cause

Per lo smaltimento del contenzioso civile pregresso, la legge di stabilità di 2012 ha stabilito che per proseguire le cause pendenti in Corte d’Appello o in Cassazione da più di 3 anni è necessario produrre un’istanza di trattazione; vediamo le implicazioni sul processo tributario.

Il 1 gennaio 2012 è entrata in vigore la modifica all’art. 26 della legge 12 novembre 2011 n. 183, ad opera della cd. legge di stabilità 2012 (DL 22 dicembre 2011, n. 212 art. 14).

Il testo dell’art. 26 della legge 12 novembre 2011, n. 183 così come integrato dalla legge di stabilità 2012 recita così:

“1. Nei procedimenti civili pendenti davanti alla Corte di cassazione, aventi ad oggetto ricorsi avverso le pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009 n. 69, e in quelli pendenti davanti alle corti di appello da oltre tre anni prima della data di entrata in vigore della presente legge, le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la procura alle liti e autenticata dal difensore, dichiara la persistenza dell’interesse alla loro trattazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. Il periodo di sei mesi di cui al comma 1 non si computa ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.3. Nei casi di cui al comma 1 il presidente del collegio dichiara l’estinzione con decreto”.

 

All’articolo 26 della legge 12 novembre 2011, n. 183 sono state apportate (DL 22 dicembre 2011, n. 212 art. 14) le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 le parole: “da oltre due anni” sono sostituite dalle seguenti: “da oltre tre anni” e le parole: “la cancelleria avvisa le parti costituite dell’onere di presentare istanza di trattazione del procedimento, con l’avvertimento delle conseguenze di cui al comma 2” sono sostituite dalle seguenti: “le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la procura alle liti e autenticata dal difensore, dichiara la persistenza dell’interesse alla loro trattazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”;

b) il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. Il periodo di sei mesi di cui al comma 1 non si computa ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”;

c) al comma 3, le parole: “Nei casi di cui al comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «Nei casi di cui al comma 1”. Tale norma, quindi, individua due differenti tipologie di impugnazioni, per le quali si dovrà depositare l’istanza:

– Corte di Cassazione :pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n.69 (4 luglio 2009);

– Corti di appello :pronunzie pubblicate da oltre tre anni prima del 1 gennaio 2012. Entro sei mesi dal 01.01.2012 e senza alcun avviso da parte della cancelleria agli avvocati costituiti, almeno una delle parti in causa dovrà depositare apposita istanza autenticata dal proprio difensore, con la quale deve dichiarare se ha interesse alla trattazione della causa pendente davanti alla Corte di Cassazione e/o alla Corte di Appello.

La parte che ha sottoscritto il mandato dovrà sottoscrivere specifica istanza di trattazione del procedimento al fine di confermare l’interesse alla prosecuzione della lite nel termine perentorio di sei mesi dalla entrata in vigore della legge (1 gennaio 2012), senza alcun avviso da parte della cancelleria.

L’omesso deposito dell’istanza determina l’estinzione della causa pendente con decreto;il periodo di sei mesi non va computato nelle cause per l’equa riparazione. Si prevede in detto articolo 26 che se nessuna delle parti dichiara la persistenza dell’interesse alla trattazione della causa entro 6 mesi dallo 01.01.2012 le impugnazioni si intenderanno rinunciate, e il Presidente del collegio dichiarerà l’estinzione con decreto.

Il comma 3 dispone che l’estinzione venga pronunciata con decreto a differenza di quanto avviene tanto nel processo di cognizione (art. 308 c.p.c.) che in quello di esecuzione (art. 630 c.p.c.) ove è prevista la forma dell’ordinanza reclamabile. L’aver optato per il decreto pone, pertanto, il problema del controllo del provvedimento.

Tale norma non è arbitraria e non lede, altresì valori o principi costituzionali quali la solidarietà, l’eguaglianza, il diritto alla difesa, l’autonomia della funzione giurisdizionale, l’affidamento o certezza dei rapporti tributari, l’effettività della tutela giurisdizionale, la capacità contributiva.

I limiti al legislatore ordinario sono stati individuati dalla Consulta (vd. sentenza n. 525 del 2000) nella salvaguardia di norme costituzionali (sentenze n. 311/95 e n. 397/94); tra questi, i principi generali di ragionevolezza, razionalità e di uguaglianza, nella tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico e nel rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

Non è’stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali.

La scelta operata appare, inoltre ,coerente con l’esigenza della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).

La scelta operata dalla citata norma risponde ad esigenze di razionalità ed economia processuale, poiché la durata del processo non si deve risolvere in un sacrificio sostanziale della parte vittoriosa. Il presente contributo analizza alcune problematiche processuali connesse all’apposita dichiarazione di trattazione del procedimento, di cui all’articolo 26 della legge 12 novembre 2011, n. 183.

L’utilizzo della locuzione «procedimenti civili» potrebbe essere inteso come riferito anche alle ipotesi di competenza funzionale in primo grado della Corte d’appello atteso che, a differenza di quanto stabilito in relazione alla Corte di cassazione manca qualsiasi riferimento al contenuto impugnatorio del giudizio; tuttavia la dizione onnicomprensiva del comma 2 che riferisce tout court di «impugnazioni» rendere preferibile propendere per l’interpretazione inversa.

Le impugnazioni (ricorso principale e ricorso incidentale) si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte, dichiara entro sei mesi la persistenza dell’interesse alla loro trattazione.

La rinuncia al ricorso principale, accompagnata altresì dalla rinuncia al ricorso incidentale,comporta l’estinzione del processo Si configura in mancanza di un manifestato interesse delle parti alla prosecuzione del procedimento – l’estinzione dei procedimenti civili.

La mancata presentazione della dichiarazione di trattazione per i procedimenti civili pendenti davanti alla Corte di cassazione è in sostanza una rinuncia al ricorso proposto e comporta l’accettazione della decisione impugnata in cassazione.

Le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti si attiva in tal senso; ne deriva l’estinzione del giudizio, dichiarata con decreto del presidente del collegio.

L’effetto principale dell’estinzione di diritto, che è dichiarata dal giudice di legittimità con un atto (decreto del Presidente del collegio),avente valenza meramente processuale, è che la sentenza impugnata resta efficace poiché l’estinzione ai sensi dell’art. 338 del codice di procedura civile fa sopravvivere e fa passare in giudicato la sentenza di secondo grado. L’art. 338 del codice di procedura civile precisa che

“L’estinzione del procedimento … fa passare in giudicato la sentenza impugnata”, aggiungendo, peraltro, che questo effetto si produce “salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto”.

La disposizione è dettata propriamente per il giudizio di appello (e per alcune ipotesi di revocazione), ma esprime un principio di carattere generale, da estendere alle impugnazioni in genere, nel senso del consolidamento e del passaggio in giudicato delle pronunzie non riformate o annullate nei gradi successivi del giudizio (sent. n. 2534 del 20 febbraio 2003 della Corte Cass., Sez. trib.). Altro effetto è che il rinunciante non deve sopportare le spese del giudizio del contribuente (i.e. carta bollata, diritti di segreteria); le spese del giudizio vanno poste a carico della parte che le ha sopportate.

Se permane l’interesse a proseguire nell’impugnazione, la parte che ha sottoscritto il mandato, entro il termine perentorio di 6 mesi, lo dichiara con istanza sottoscritta personalmente. Per le controversie così individuate viene prevista la necessità di presentare istanza di trattazione del procedimento entro sei mesi.

Nel caso in cui nessuna delle parti presenti tale dichiarazione di “persistenza dell’interesse alla loro trattazione”, l’impugnazione si intende rinunciata con conseguente estinzione del giudizio. L’istanza di trattazione deve essere sottoscritta personalmente dalla parte.

L’istanza in quanto atto personalissimo si ritiene non possa essere avanzata dal difensore, a meno che non sia stato investito di una procura ad hoc (che per alcuni deve addirittura avere la veste di atto notarile).

La stessa norma infatti richiede la sottoscrizione personale della parte che ha conferito mandato, unica legittimata ad esprimere la permanenza dell’interesse alla decisione.

La formulazione letterale appare finanche più angusta di quanto previsto in generale per l’estinzione per rinuncia agli atti del giudizio dall’art. 306, c. 2, che consente che la dichiarazione di rinuncia possa provenire altresì dal procuratore speciale.

Non vi è ragione plausibile per un tale rigore atteso che, a differenza di quanto avviene per la dichiarazione di rinuncia all’impugnazione che è atto di disposizione del diritto (comportando l’estinzione del giudizio e il conseguente passaggio in giudicato del provvedimento impugnato) in questo caso la dichiarazione non ha altro effetto che quello di consentire al giudizio di proseguire lungo il suo normale corso, senza alcuna spendita di poteri dispositivi.

La forma dell’apposita dichiarazione di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio è quella scritta.

La dichiarazione de qua non può essere sottoposta a condizioni o riserve; essa non è efficace se contiene riserve o condizioni. Presupposto logico della dichiarazione de qua è che il processo non sia ancora cessato.

Oggetto della apposita dichiarazione di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio è l’intero ricorso (principale o incidentale) mentre la rinuncia ad uno o più motivi di gravame implica solo il mutamento di quest’ultimo e non l’estinzione del processo.

La mancata dichiarazione di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio impedisce che il processo tributario innanzi alla giudice di legittimità pervenga alla sua conclusione naturale che è la sentenza di merito finale. Soggetti legittimato alla presentazione della citata dichiarazione sono le parti che hanno presentato ricorso principale o incidentale.

Non è superfluo sottolineare che il giudice di legittimità, per il rispetto della parità di trattamento tra le parti, non può stimolare le parti a porre in essere l’atto di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio. Occorrerà, peraltro, di volta in volta, per ogni singola fattispecie, valutare l’opportunità e l’interesse alla presentazione dell’apposita dichiarazione di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio (si pensi a quei filoni di controversie in cui sussiste una sfavorevole e consolidata giurisprudenza).

Peraltro, occorre tener conto che per i procedimenti civili pendenti dinanzi alla Cassazione, che riguardano provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in vigore (4/7/2009) della legge n. 69/2009, non opera la disposizione dettata dall’art. 360 bis c.p.c..

La disposizione dettata dall’art. 360-bis recita: “Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della cassazione e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo”. L’articolo 360-bis si applica alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero depositato successivamente al 4 luglio 2009.

 

10 gennaio 2011

Antonio Terlizzi