Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: la prossimità temporale fra gli atti di alienazione e la consapevolezza dei debiti fiscali

la norma penale mira a sanzionare il compimento di attività fraudolente, finalizzate a far venire meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, non essendo più necessaria l’esistenza di una procedura esecutiva in corso

Con sentenza n. 35310 del 29 settembre 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la prossimità temporale tra la consapevolezza dei debiti fiscali e la stipula di atti di cessione volti a sottrarre i beni del contribuente alle pretese dell’erario nonché il permanere nella materiale disponibilità degli immobili tramite lo strumento della locazione finanziaria.

 

Il fatto

Il contribuente è stato sottoposto alle indagini per il reato di cui all’art. 11 del DLgs. n. 74 del 2000, poichè, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero degli interessi o sanzioni amministrative, quale amministratore di fatto, in concorso con altri, simulatamente alienava, allo scopo di rendere impossibile l’aggressione dello stesso da parte dell’Amministrazione Finanziaria, e dunque di impedire il proficuo soddisfacimento delle pretese Erariali, un capannone artigianale e 3 laboratori.

La Corte rileva che “come affermato dal tribunale, ad un iniziale orientamento contrario è seguita una serie di pronunce conformi nel ritenere che non è necessario che sussista una procedura di riscossione in atto, considerato che nella previsione vigente il riferimento a tale procedura appartiene al momento intenzionale e non alla struttura del fatto e non vi è alcun riferimento alle condizioni previste precedentemente dal D.P.R n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4, (ovvero alla avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche, o alla preventiva notificazione, all’autore della condotta fraudolenta, di inviti, richieste o atti di accertamento). Pertanto, ai fini del perfezionamento del reato in questione è richiesto soltanto che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del fisco (Sez. 3, n. cass. n. 17071/2006 Rv. 234322; Sez. 5, cass. n. 7916/2007 Rv. 236053; Sez. 3, cass. n. 14720/2008 Rv. 239970). Nè vale citare, come fa il ricorrente, la sentenza n. 36838 del 2009 di questa Sezione non ponendosi affatto ritenere la stessa in difformità rispetto all’indirizzo più recente non affrontando la questione specifica ma limitandosi, rispetto al caso sottoposto all’esame, ad individuare la parte onerata a provare la legittimità dell’attività posta in essere a fronte dell’accertamento che aveva portato ad ipotizzare il reato de quo”.

Né può riconoscersi, pertanto, alcuna decisività alla circostanza che entrambi gli atti di cessione (30 aprile 2009 l’atto di CCA Sas e 7 agosto 2009 l’atto di MS srl) sono precedenti alla conoscenza degli avvisi di accertamento notificati alle due società nell’ottobre del 2009.

Inoltre, appare correttamente valutata la sussistenza del fumus della condotta di sottrazione fraudolenta da parte del tribunale. “Quest’ultimo ha correttamente e logicamente motivato facendo riferimento in particolare alla assoluta prossimità temporale tra la consapevolezza, da parte delle società alienanti, dei debiti fiscali su di esse gravanti e la stipula dell’atto di cessione, diretto evidentemente a sottrarre i beni alle pretese dell’erario; alla permanenza, in capo al M.M., della materiale disponibilità degli immobili, ottenuta grazie allo strumento della locazione finanziaria in favore della “Nuova Immobiliare Adriatica s.r.l.”, amministrata dall’indagato impugnante; all’incasso, da parte del M. stesso, della gran parte degli assegni versati alla “Marche Serramenti” S.r.l. quale corrispettivo della prima delle due vendite. In tal modo sono stati evidentemente implicitamente disattesi i rilievi difensivi sulla effettività dei due negozi ed è evidentemente alla fase di merito che sono stati rimandati più approfonditi accertamenti dovendosi in questa sede valutare semplicemente la sussistenza del fumus”.

 

Brevi considerazioni

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, inteso come stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, può assumere le più diversificate forme, potendo estrinsecarsi attraverso l’abuso di strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologia della vita aziendale o societaria (operazioni straordinarie, scissioni simulate, alienazioni).

Nella sentenza che si annota, la prossimità temporale fra gli atti di alienazione e la consapevolezza dei debiti fiscali, unita alla attuale ancora disponibilità dei beni, hanno portato i giudici a ritenere sussistente il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

La norma, infatti, mira a sanzionare il compimento di attività fraudolente, finalizzate a far venire meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, non essendo più necessaria l’esistenza di una procedura esecutiva in atto o la previa effettuazione di accessi della polizia tributaria o la notificazione di atti di accertamento da parte degli uffici finanziari, né la verifica dell’inefficacia dell’esecuzione esattoriale.

Sul punto si veda – da ultimo – la sentenza n. 19595 del 18 maggio 2011 (ud. del 9 febbraio 2011) della Corte di Cassazione, Sez. III, Penale, ove la Corte prende atto che le operazioni societarie, sia in riferimento alla cessione dei rami di azienda, che in riferimento alla scissione delle società ed il conferimento degli immobili alle società beneficiane, sono state simulate o comunque fraudolente. “Inoltre dal punto di vista oggettivo, il Collegio del riesame ha ritenuto che tali operazioni, delle quali è stata fornita una chiara descrizione, erano pienamente idonee a rendere in tutto o in parte inefficace la successiva procedura di riscossione coattiva dei crediti tributari vantati dallo Stato nei confronti delle “originarie” società: in sintesi, a fronte dell’uscita dal patrimonio di beni immobili, altri cespiti mobiliari (con conseguente privazione di ogni capacità operativa e produttiva), nessun corrispettivo od incremento patrimoniale risultava conferito, in sinallagma, alle società cedenti, sia perchè le scissioni societarie erano avvenute senza corrispettivo, sia perchè i corrispettivi contrattualmente pattuiti per le cessioni dei rami di azienda, al settembre 2010, o non erano stati corrisposti o lo erano stati con “compensazioni volontarie” e quindi con movimenti di denaro formali, se non fittizi”. Del pari viene ritenuta corretta la risposta del Tribunale del riesame alla deduzione della non configurabilità del reato per la mancanza di una procedura esecutiva in atto da parte dell’amministrazione finanziaria, essendo la stessa un elemento non necessario ad integrare la fattispecie, come da consolidata interpretazione giurisprudenziale (sin da Sez. 3, Cass. n. 17071/2006, De Nicolo, Rv. 234322).

A tale quadro indiziario di indubbia consistenza sotto il profilo oggettivo, il Tribunale del riesame ha condiviso il giudizio di gravità indiziaria anche in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di sottrarsi attraverso tale complesso sistema al pagamento delle imposte, delle sanzioni e degli interessi dovuti. Con ulteriore passaggio motivazionale sono stati del pari esaminati gli elementi delle indagini preliminari (ivi comprese le dichiarazioni testimoniali) dai quali emerge la riferibilità delle operazioni all’indagato, al fratello, beneficiari ultimi delle operazioni fraudolente, ed al padre, il quale il quale in virtù della carica di amministratore unico ebbe ad operare in concerto coi medesimi, gestendo insieme ad essi le scelte per tutte le società del gruppo. “Risultano pertanto sussistenti gli elementi per configurare, a livello di gravità indiziaria necessario alla fase cautelare il reato di cui si tratta: la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, inteso come stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, stratagemma che può assumere le più diversificate forme, potendo estrinsecarsi attraverso l’abuso di strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologia della vita aziendale o societaria. La giurisprudenza ne ha già analizzate alcune, quali la simulazione contrattuale oggettiva (simulazione di alienazione, vendita per un prezzo inferiore al reale) ed anche quella soggettiva (c.d. interposizione fittizia di persona ed il contratto di sale and lease back), come pure l’istituzione di un fondo patrimoniale (Sez. 3, n. 5824/2008, Soldera.) Nel caso di specie si tratterebbe di cessioni aziendali e di scissioni societarie simulate, operazioni multiple poste in essere, in apparenza, allo scopo di effettuare una ristrutturazione aziendale”.

 

La fattispecie di reato

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, attraverso il quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce (con la reclusione da 6 mesi a 4 anni ) colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645 alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.

Detta norma è stata rivisitata dalla cd. Manovra correttiva (D.L.n.78 del 31 maggio 2010), che ha inasprito la formulazione e aumentato le pene, prevedendo soglie di punibilità diverse, e nuove fattispecie delittuose.

La norma adesso risulta così formulata: “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Inoltre, l’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, viene arricchito di un secondo comma, che punisce, “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente e superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

La condotta consiste nell’indicazione nella transazione fiscale di elementi attivi inferiori a quelli effettivi ovvero di elementi passivi fittizi superiore a 50.000 €. Anche in questo caso, qualora gli elementi passivi fittizi sono superiori a 200.000 € il carcere si fa più duro.

Per l’Amministrazione finanziaria – circolare n. 154/E del 4 agosto 2000 – punto 3.4 – il reato si perfeziona con “la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione, e non anche l’effettiva verificazione dell’evento

Il delitto contempla una condotta esclusivamente commissiva, consistente nell’alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il compimento di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui preordinati al fine di pregiudicare l’efficacia della riscossione coattiva.

 

21 ottobre 2011

Francesco Buetto