Il comportamento irragionevole e antieconomico del contribuente giustifica la pretesa erariale

Analisi del concetto di antieconomicità con i casi in cui il Fisco può sindacare il comportamento del contribuente. Includiamo una rassegna delle più significative sentenze in tema di disconoscimento dei comportamenti antieconomici. A cura di Antonio Terlizzi.

 

Antieconomicità e sospetto di elusione fiscale

Si configura ipotesi di operazione antieconomica quando il contribuente assume un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia e non spieghi in alcun modo le ragioni sottostanti a tale comportamento.

Per valutare la congruenza sostanziale delle scritture contabili ci si deve rifare alla regola che ispira chiunque svolga un’attività economica che è quella della massimizzazione del profitto.

Pertanto alla presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che l’incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si nasconda una diversa realtà.

Il principio che il contribuente che abbia adottato un comportamento antieconomico deve fornire una giustificazione razionale della sua scelta trova conferma nel tenore dell’art. 37 bis del DPR 600/73, introdotto dal d.lgs. 358/97, tendente alla repressione di comportamenti elusivi secondo il quale sono, tra l’altro, in opponibili all’amministrazione finanziaria

“gli atti, i fatti ed i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario”.

Inoltre, l’onere imposto al contribuente di motivare le scelte che non sono in linea con i criteri di gestione e economica della propria attività e che quindi appaiono incomprensibili in base ai normali criteri di valutazione è reciproco e simmetrico all’obbligo di motivazione degli atti che grava sull’amministrazione finanziaria (oggi previsto dall’art. 7 legge 212/2000 Statuto del contribuente).

Addirittura nello stesso Statuto viene sancito (art. 10) per il futuro il principio della collaborazione e della buona fede nei rapporti tra contribuente ed amministrazione, per cui ancora di più, le eventuali reticenze potranno assumere valore indiziante.

Inoltre , in mancanza di documentate spiegazioni, è sicuramente irragionevole da un punto di vista economico il comportamento, di un operatore economico che per più anni dichiari perdite nella propria attività in presenza di costi sicuramente sproporzionati rispetto ai ricavi ottenuti.

Rilevanza

comportamento entieconomico dell'imprenditore e accertamento fiscalePerciò, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia che il contribuente non spieghi in alcun modo, o che non giustifichi in maniera non convincente, è legittimo l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39, c. 1 lett. d del DPR 600/73.

Sebbene, il comportamento antieconomico sia, di per sé, del tutto legittimo e non necessariamente “patologico” in quanto può essere una diretta conseguenza della libera autonomia dell’attività di impresa, se esso sottende un’evidente anomalia nell’azione del contribuente in grado di celare una grave irregolarità nelle operazioni svolte e quindi nell’imponibile indicato nella dichiarazione dei redditi, allora tale comportamento è da ritenersi contrario alla legge.

Difatti, in tal caso risulta legittimo il ricorso all’accertamento induttivo (v. Cass n. 11645 e n. 6337 cit. e Cass 9 febbraio 2001, n. 1821).

In presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’art. 39 e 40 del DPR n.6oo/73.

Qualora in presenza di contabilità inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza e dall’andamento generale dell’azienda desunto dalla contabilità, l’onere della prova si sposta sul contribuente.

L’Ufficio può dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi (C.t.r. Lazio sentenza n. 402 del 30 maggio 2011 sez. 1).

Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, c. 1, lett. d, consente l’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza – ad esempio in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico (Cass. n. 7487 del 2002 e n. 24532 del 2007).

L’accertamento induttivo (art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600 del 1973) si giustifica anche nel caso in cui le scritture contabili siano formalmente corrette, se nel complesso rileva un comportamento irragionevole e antieconomico (Corte di Cassazione Sent. n. 11154 del 7 maggio 2010).

Sindacato del fisco sui comportamenti antieconomici del contribuente

Il sindacato dell’Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella disposizione relativa alla libertà di iniziativa privata (art. 41 Cost.).

Una condotta non ispirata ai normali criteri di economicità dell’imprenditore (principio del massimo risultato e del minimo mezzo), in contrasto con le scelte del buon senso e prive di razionale motivazione può assumere valenza di indizio fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che legittimano il disconoscimento della deducibilità dei costi, avuto riguardo al parametro del valore normale che costituisce punto di riferimento nella valutazione fiscale delle cessioni di beni e prestazioni di servizi.

Né a tale giudizio i congruità il contribuente si sottrae attraverso la regolare tenuta delle scritture contabili (Cass. civ. Sez. V Sent., 15-09-2008, n. 23635). L’Amministrazione finanziaria è legittimata ad escludere taluni componenti negativi di reddito dal novero dei costi deducibili dal reddito imponibile allorquando, avuto riguardo alle peculiarità dello svolgimento della concreta attività d’impresa del contribuente, detti oneri presentino caratteri di incongruità tali che il relativo sostenimento si palesa manifestamente irrazionale ed antieconomico.(C.T.P. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. I, 05-03-2008, n. 23)

Onere probatorio – Inversione dell’onere della prova

Un comportamento antieconomico dell’imprenditore costituisce, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, elemento indiziario da cui è consentito dedurre l’esistenza di un reddito occultato; di conseguenza, incombe sul contribuente, il quale voglia contestare tale determinazione, documentare il proprio assunto e fornire una giustificazione razionale ed analitica delle proprie scelte dando adeguata ragione delle singole operazioni giudicate antieconomiche (C.T.R. Lazio Roma Sez. XX, 27-07-2007, n. 115).

L’Amministrazione finanziaria può procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi d’impresa del contribuente – facendo ricorso al metodo analitico induttivo – anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, dimostrando l’inesattezza o l’incompletezza di una o più poste.

La rettifica è legittimata dall’esistenza di un comportamento manifestatamente antieconomico che determina l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente (Cass. civ. Sez. V, 20-01-2004, n. 793).

L’accertamento è legittimo in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (v., ex plurimis, Casa., nn. 1821 e 11645 del 2001; nn. 6337, 7487, 7680, 10802 e 13995 del 2002).

L’Amministrazione finanziaria può rettificare la dichiarazione dei redditi d’impresa del contribuente anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, dimostrando (secondo il c.d. metodo analitico-induttivo) l’inesattezza o l’incompletezza di una o più poste, mediante i dati forniti dal contribuente o mediante presunzioni semplici, gravi o precise e concordanti, desunte da dati di comune esperienza, anche secondo regole fondamentali di buon senso e ragionevolezza.

In presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico, quindi, l’accertamento è legittimo, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. civ. Sez. V, 20-01-2004, n. 793).

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico è legittimo l’accertamento del reddito d’impresa ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il quale consente di desumere l’esistenza di ricavi non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass. civ. Sez. V, 22-05-2002, n. 7487).

La regola alla quale si ispira chiunque svolga una attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni, e pertanto in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà, con il conseguente onere di colui che ha posto in essere un comportamento antieconomico di fornire una giustificazione razionale della propria scelta, che d’altra parte appare essere il simmetrico od il reciproco all’obbligo di motivazione degli atti che grava sull’amministrazione finanziaria (Cass. civ. Sez. V, 09-02-2001, n. 1821).

In punto di prova, la presunzione che assiste l’operato degli accertatori è legale, nel senso che null’altro l’Ufficio è tenuto a provare se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse (Cass. 18 maggio 2007 n. 11599, Cass. civ. Sez. V, Ord., 02-02-2011, n. 2484).

Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea (Cass. 23 marzo 2007 n. 7144).

Fattispecie di antieconomicità

L’orientamento giurisprudenziale del giudice di legittimità e del giudice di merito tributario ha puntualizzato o configurato le seguenti fattispecie di antieconomicità od economicità.

  • Possono essere applicati i coefficienti il cui contenuto sia applicato non in modo automatico ma in coerenza con i dati e le giustificazioni addotte dal contribuente dovendo ritenersi il mantenimento di tre studi professionali in tre luoghi diversi collegato ad aumento di spese quantomeno compensate dall’aumento complessivo della clientela, pena la antieconomicità del sistema adottato. La presenza di più studi professionali, lascia presupporre maggiore reddito e quindi maggiore Irpef, poichè se è vero che i 3 studi professionali procuravano maggiori spese al professionista, altrettanto vero è che il professionista doveva necessariamente guadagnare in proporzione, pena l’antieconomicità dell’attività professionale svolta nei tre luoghi. La presenza di più sedi, infatti, proprio per il fatto che comporta una maggiore spesa, deve essere compensata da un aumento della clientela, pena l’antieconomicità dell’attività svolta (Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ordinanza n. 13558 del 20 giugno 2011).

  • Non è antieconomico un comportamento volto a garantire futuri utili ad una società che – secondo il piano di sviluppo – comporta una serie iniziale di periodi d’imposta in perdita ma che non ha quale scopo essenziale il risparmio fiscale (C.T.P. Lombardia Milano Sez. XVI, 28-01-2011, n. 38).

  • Al fine di una corretta applicazione dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non è sufficiente l’applicazione automatica delle risultanze dello studio di settore ma occorre che gli elementi da esso risultanti siano avallati da altri indizi che rendano giustificata la contestazione al contribuente dello scostamento tra reddito dichiarato e quello presunto ed è, pertanto, necessario che l’Ufficio dimostri che sia stata previamente accertata l’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio dell’attività svolta, non essendo sufficiente il generico riferimento a un comportamento antieconomico del contribuente, né tanto meno la tesi per cui l’accertamento non sarebbe fondato sul risultato degli studi di settore ma induttivamente su una serie di elementi che rilevano un comportamento antieconomico il quale a sua volta costituirebbe la prova presuntiva che lo studio sarebbe stato utilizzato quale strumento per quantificare il reddito accertato in un contesto di normalità economica, in quanto tale tesi appare solo strumentale a giustificare il mancato invito al contraddittorio, obbligatorio allorquando vengono applicati gli studi di settore, al fine di permettere al contribuente di indicare le ragioni che non hanno permesso il raggiungimento dei c.d. “ricavi puntuali” (C.T.P. Puglia Bari Sez. XV, 08-10-2010, n. 197).

  • La rettifica del reddito imponibile fondata su accertamento induttivo e promuovendo la contestazione del comportamento antieconomico del contribuente deve fondarsi sul elementi indiziari concreti e precisi tali da rendere verosimile un siffatto contengo ovvero anomalo lo scostamento fra ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore (C.T.P. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. II, 05-08-2010, n. 166).

  • È antieconomico il comportamento di una società la quale, avendo esposto in bilancio crediti commerciali, non si sia attivata nei confronti del debitore al fine di incassare la somma ad essa spettante. Tale antieconomicità giustifica la presunzione di maturazione di interessi attivi tassabili, indipendentemente dal fatto che le parti abbiano subordinato l’esigibilità del credito al verificarsi di talune condizioni (nel caso specifico, l’ottenimento da parte dell’appaltante di autorizzazioni amministrative indispensabili per l’utilizzo degli immobili costruiti) (C.T.P. Veneto Padova Sez. X Sent., 04-12-2007, n. 92).

  • L’Amministrazione finanziaria è legittimata a riprendere a tassazione gli importi relativi agli interessi attivi da computarsi sulla dilazione di pagamento accordata ai clienti la cui contabilizzazione sia stata omessa anche in rapporto all’imputazione al conto economico di oneri finanziari per interessi passivi. Tale contegno, contrario alle regole del libero mercato ed antieconomico, giustifica l’operato dell’Erario e la determinazione induttiva del reddito imponibile del contribuente (C.T.P. Veneto Padova Sez. X Sent., 04-12-2007, n. 92).

  • Nell’esercizio del potere di accertamento e rettifica l’Amministrazione finanziaria deve individuare e rilevare le cause dalle quali si originano le perdite fiscali, avuto riguardo alla natura dei componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione della base imponibile del reddito d’impresa. In difetto di una disposizione che esprima un disvalore sul comportamento (ritenuto antieconomico) del contribuente, l’Amministrazione finanziaria non è ammessa al sindacato delle scelte economiche operate (C.T.P. Piemonte Novara Sez. I, 28-06-2010, n. 72).

  • L’accertamento induttivo, fondato sull’applicazione di percentuali di ricarico determinate sulla base di dati provenienti da uno studio dell’Ispettorato compartimentale delle imposte dirette, deve ritenersi illegittimo per l’inidoneità di tali risultati a costituire il fondamento delle presunzioni di cui all’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. La mera divergenza emergente dal raffronto delle percentuali di ricarico risultanti dalla dichiarazione della società con quelle risultanti dallo studio dell’Amministrazione come mediamente applicate dalle imprese del medesimo settore, giammai avrebbe potuto stimarsi sufficiente a giustificare la rettifica, salvo a ritenere trattarsi di divergenza assolutamente abnorme o di risultato dell’attività palesemente antieconomico o in contrasto con il senso comune (Cass. civ. Sez. V, 03-02-2006, n. 2380).

  • L’antieconomicità degli interessi di mora non percepiti, anche se relativi a crediti vantati “intercompany”, deve essere dimostrata dal contribuente e non dal Fisco. L’accertamento per presunzioni può avvenire anche in presenza di una contabilità formalmente corretta se la stessa può essere considerata “complessivamente ed essenzialmente inattendibile” in quanto in conflitto con le normali regole di ragionevolezza gestionale (i.e. nel caso di un comportamento del contribuente manifestamente antieconomico). Non spetta quindi al Fisco l’onere della prova in quanto “esiste una presunzione, salvo prova contraria, del diritto agli interessi al tasso legale se non convenuti ovvero pattuiti in misura inferiore” (Cassazione sentenza del 07-05-2010 n.11154 sez. V).

  • Il comportamento della ricorrente, che espone in bilancio interessi passivi, con la rinuncia agli interessi attivi, è sicuramente antieconomico per cui è legittimo e fondato l’accertamento dell’Ufficio in merito alla mancata contabilizzazione di interessi attivi su crediti verso clienti, in riferimento al principio stabilito dalla Corte di cassazione con sentenze 9 febbraio 2001, n. 1821, 17 settembre 2001, n. 11645, 25 maggio 2002, n. 7680, 24 luglio 2002, n. 10802 sulla legittimità del disconoscimento dei costi derivanti da un comportamento antieconomico del contribuente. Inoltre la Corte di cassazione (sentenza 22 maggio 2005, n. 7847) sottolinea che in un’attività economica tesa al profitto la rinuncia a pretendere gli interessi deve essere considerata inefficace rispetto alla norma fiscale (CTP 04-12-2007 n.92 sez. 10 PADOVA).

  • Non sussistono le ragioni giustificative per valutare in termini di antieconomicità il comportamento sociale della contribuente poiché: i dati risultanti dalle scritture contabili sono tutti moderatamente positivi dal che non è coerente far discendere tout-court un valutazione di antieconomicità della gestione; il costo dell’unico dipendente pesa in modo molto contenuto sui costi totali (poco più del4%) e non supera il 6% dei ricavi; la percentuale di ricarico tenendo conto della crisi del settore edilizio, della necessità di approvvigionarsi di molti beni di diversa natura ma in un settore con forte concorrenza può essere valutata nei termini dichiarati dalla Società;un utile vi è stato sia pure contenuto ed in considerazione del numero dei soci, che come detto, non tutti partecipano alla gestione sociale , non può considerarsi tale elemento decisivo per il riconoscimento della antieconomicità della gestione;il volume di affari complessivo è inferiore a quello indicato dall’Ufficio con il che è più elevato nei fatti l’indice di redditività.(C.t.R. di Roma sez.1 sentenza n. 363 del 17 maggio 2011).

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12 luglio 2011

Antonio Terlizzi