Nessun costo forfettario nei casi di indagini finanziarie?

Nel caso di accertamento fondato su verifiche dei conti correnti bancari, è onere del contribuente dimostrare che gli elementi su cui si fondano le movimentazioni bancarie non si riferiscono ad una operazione imponibile, mentre l’onere a carico dell’ufficio è soddisfatto attraverso i dati risultanti dagli stessi conti. A cura di Antonio Terlizzi.

Nel giudizio tributario, in caso di verifiche sul conto corrente bancario, è onere del contribuente dimostrare che l’operazione bancaria non è riferibile ad operazioni imponibili (sentenza n. 6906 del 25 marzo 2011 della Corte di Cassazione).

Nel caso di accertamento fondato su verifiche dei conti correnti bancari, è onere del contribuente dimostrare che gli elementi su cui si fondano le movimentazioni bancarie non si riferiscono ad una operazione imponibile, mentre l’onere a carico dell’ufficio è soddisfatto attraverso i dati risultanti dagli stessi conti.

In virtù della presunzione legale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività di impresa, salvo che lo stesso non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione di reddito.

Gli elementi consistenti in prelevamenti e versamenti, risultanti dall’analisi dei conti bancari, sono posti a base dell’accertamento qualora il contribuente non dimostra – anche attraverso il contraddittorio, che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta.

E’ a carico del contribuente, quindi, l’onere della prova contraria, determinandosi nel processo tributario una inversione dell’onere della prova ovvero dimostrare che gli elementi desumibili dalle operazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’ufficio è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti.

La prova liberatoria che deve fornire il contribuente, per superare la presunzione legale non può avere carattere generico ovvero riferita all’attività svolta, ma deve essere specifica in rapporto ad ogni singola operazione. Nel processo tributario, ove l’accertamento eseguito dall’ufficio si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano collegati ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, per legge, mediante i dati e gli elementi contenuti nei predetti conto.

A giustificazione di detto assunto rileva che il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio, salvo che sia impossibile o difficile esercitarlo in quanto, diversamente, risulterebbe violato il principio dispositivo che è alla base del processo tributario.

Pertanto in virtù della presunzione di cui all’art. 32 sia i prelevamenti che i versamenti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente, salvo che questi non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito.

La prova liberatoria deve essere analitica e non generica ovvero il contribuente è tenuto a giustificare le singole operazioni attraverso prove . Non è sufficiente, quindi, affermare che i versamenti emergenti dai conti non siano rapportabili alle fatture emesse ma è necessario giustificarle singolarmente. Ai fini dell’utilizzazione dei dati ed elementi emersi dai conti correnti non è rilevante dimostrare che il contribuente eserciti attività di impresa o che il saldo del rapporto sia negativo; l’ambito dell’efficacia probatoria presuntiva è quello delle operazioni fiscalmente rilevanti per le quali il contribuente, anche in contraddittorio, può dimostrare la sua estraneità.

Sotto il profilo motivazionale la pronuncia in tema di deducibilità forfetaria dei costi occulti, deve evidenziare le argomentazioni, in fatto e in diritto, che giustificano la decurtazione dal totale dei versamenti e dei prelevamenti dai conto correnti dei costi occulti.

La determinazione reddituale da parte della commissione tributaria deve essere congruamente motivata, non potendosi, il giudice, servire di motivazioni meramente di stile che di fatto astraggono dal caso concreto. Il giudice tributario non può adottare una motivazione generica che può essere riferita a qualsiasi controversia e ,pertanto, deve valutare l’entità dei costi in modo ragionevole in relazione al tipo di attività svolta dal contribuente (i.e. la maggiorazione dei costi relativi ai maggiori ricavi deve essere congruamente motivata).

Grava sul contribuente l’onere di superare la contraria presunzione di legge (relativa), attestando la ricorrenza di specifici costi deducibili(1) con concreti elementi di prova e non mediante affermazioni di carattere generale, semplici presunzioni o il richiamo all’equità (Cass. civ. Sez. V, Ord., 21-03-2011, n. 6425 cfr. Cass. 7813/10, 26312/09, 24055/09, 2821/08, 25365/07, 14 675/06).

Sotto il profilo probatorio la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18016 del 9 settembre 2005, ha stabilito che spetta al contribuente provare la sussistenza di costi non contabilizzati riconducibili alle operazioni di prelevamento risultanti dai conti bancari, in quanto non è lecito presumere che se un soggetto ha occultato componenti positivi di redditi debba anche aver dichiarato parzialmente i costi sostenuti nell’esercizio.

Partendo dal presupposto che il contribuente logicamente tenda ad occultare i ricavi, non i costi, al fine di realizzare un risparmio d’imposta, per la Suprema Corte, ricade sul contribuente stesso l’onere di documentare l’esistenza di maggiori costi deducibili dal reddito poiché non si può presumere che a ricavi occulti debbano corrispondere necessariamente costi occulti. Il legislatore, in sostanza, considera fino a prova contraria ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, in quanto non ritiene che il contribuente evasore occulti in pari misura i ricavi ed i costi; anzi, la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi.

Ne appare lecito presumere che in ogni caso a ricavi occulti necessariamente corrispondano costi occulti. In merito ai costi, diventa pertanto regola generale il principio secondo cui, se un contribuente invoca la deducibilità di un costo, ha di conseguenza anche l’onere di provarne l’esistenza e l’inerenza.

A tal proposito, occorre ricordare come l’articolo 109, comma 4, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce che costi ed oneri afferenti ai ricavi sono deducibili “… se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi…”.

In assenza di validi elementi giustificativi oppure di una idonea documentazione contabile o extracontabile, la rivendicazione di costi occulti collegati a ricavi non dichiarati appare — secondo i giudici della Cassazione — “una mera congettura” o addirittura un’ipotesi contrastante in linea teorica con le motivazioni stesse che spingono un contribuente all’evasione. Chi ha interesse a rappresentare al fisco , in relazione alla propria azienda, una situazione economica diversa dalla realtà lo fa con l’obiettivo di realizzare un risparmio d’imposta; pertanto sembra logico che lo stesso contribuente sia più verosimilmente interessato a occultare(2) i componenti positivi di reddito piuttosto che i costi sostenuti nel periodo d’imposta

 

Note

1) La sentenza n. 88 della sezione terza della C.T.R. di Roma , depositata il 28 ottobre 2005, sulla vexata deducibilità dei costi occulti ha statuito, alla luce del predetto intervento della Consulta ed in base ai principi della collaborazione e della buona fede di cui alla legge n. 212/2000, che nella determinazione induttiva del reddito imponibile dalla somma pari al totale dei versamenti prelevati e versati sul conto corrente del contribuente occorre sottrarre ,le somme prelevate sullo stesso conto. Nel caso di specie, per tale decisum “si ritiene più rispondente alla realtà dei fatti determinare il reddito imponibile del contribuente decurtando dall’importo accertato, pari alla somma dei prelevamenti e dei versamenti bancari, le somme in uscita ossia gli stessi prelevamenti:le somme prelevate nel contempo dagli stessi conto correnti devono essere decurtate) dall’ammontare dell’’imponibile’ accertato“ (con incidenza del 100% dei maggiori costi rispetto ai relativi ricavi da prelevamenti). La sentenza n. 270 del 11/10/2004 della C.T.P. di Latina sez. 7 così recita: “è fondata la censura riguardante la mancata detrazione dei costi da porre in relazione ai ricavi accertati…;l’ufficio avrebbe dovuto procedere alla stima anche dei costi relativi ai ricavi a salvaguardia del principio generale della capacità contributiva .

Pertanto la Commissione ritiene di dovere accogliere parzialmente il ricorso riducendo del 50% il maggior imponibile ai fini iva mediante applicazione prudenziale dei comuni criteri contabili aziendali”.

2) Giova rammentare che la circolare n. 32/2006 dell’Agenzia delle Entrate ha avvertito che l’analisi deve riguardare ogni singolo elemento della movimentazione finanziaria, anche se sia inclusa in un’operazione unica e, particolarmente, quando si tratti di operazioni autonome. Ciò ricorre, ad esempio, qualora il contribuente versi con un’unica distinta più assegni bancari, assegni circolari, assegni postali, vaglia ed eventualmente contanti, ecc…, annotati sul conto corrente bancario con un’unica e complessiva rappresentazione numeraria.

 

28 aprile 2011

Antonio Terlizzi