Rettifica IVA in caso di frode carosello ed intercettazioni telefoniche negli accertamenti tributari

di Sonia Cascarano

Pubblicato il 5 marzo 2010

due argomenti caldissimi: le frodi carosello per l'evasione IVA a livello internazionale e la validità delle intercettazioni telefoniche nel procedimento tributario

 

Le frodi carosello legittimano la rettifica Iva

Con la sentenza n. 4306/2010, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del fisco, sottolineando il principio per il quale,

“la sola consapevolezza di un'impresa di intrattenere rapporti commerciali con aziende coinvolte in una "frode carosello" legittima la rettifica Iva, a prescindere dalla regolarità della contabilità e dei conti bancari”.

"L'avviso di rettifica della dichiarazione IVA, conseguente all'accertamento che il dichiarante avrebbe esposto detrazioni d'imposta indebite, giustificate formalmente dalla documentazione contabile e finanziaria, ma corrispondenti ad acquisti effettuati partecipando direttamente ad un'organizzazione d'imprese creata allo scopo di evadere il tributo col sistema comunemente noto della frode carosello, o, quanto meno, avvantaggiandosi consapevolmente dei risultati di tale organizzazione fraudolenta, è sufficientemente motivato mediante il richiamo dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio direttamente o per mezzo della polizia tributaria, nei modi indicati dagli articoli 51 e ss., D.P.R. n. 633/1972, o trasmessi, ai sensi del successivo articolo 63, dalla guardia di finanza che abbia agito in veste di polizia giudiziaria.

Il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l'atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degl'indizi motivanti l'atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l'esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza.

Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all'esistenza dell'organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell'erario, la domanda dell'amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dagli articoli 2727 e ss. e 2697, 2° co., c.c., l'onere di provare eventuali fatti a suo favore; fermo restando che la spettanza della detrazione può essere provata solo documentalmente, nei modi indicati dalla legge.

La mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall'atto introduttivo del giudizio, o l'insuccesso di essa, comportano l'accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni.

Le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall'attività di polizia giudiziaria, senza esclusione dei verbali redatti a seguito d'intercettazioni telefoniche disposte in sede penale, se contenuti negli atti allegati all'avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza".

 

La rettifica dell'imposta è prevista per l’impresa ultima beneficiaria di una filiera di cartiere creata per ripulire una serie di operazioni in nero: il beneficiario finale della frode "carosello" non può detrarre l'Iva anche se le fatture e l'altra documentazione contabile relativa alle operazioni commerciali effettivamente compiute sembrano del tutto regolari (sezione tributaria della Cassazione, sentenza 867/10).

Il giudice d'appello sostiene che il Fisco potrebbe far valere l'indetraibilità dell'Iva soltanto nei confronti delle società filtro poichè essa compie operazioni effettive e non inesistenti, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, anche se, la giurisprudenza afferma che chi si giova di un meccanismo creato con l'obiettivo di eludere o evadere il Fisco non può essere esente da responsabilità.

La chiave sta nell'interpretazione corretta dell'articolo 19 del Dpr 633/72: l'acquisto effettuato dal beneficiario finale è apparentemente effettivo ma l'operazione realizza l’intenzione fraudolenta dell'intero meccanismo e presuppone la piena partecipazione all'accordo simulatorio, così che l'utilizzatore finale detraendo l’Iva avrebbe un vantaggio indebito da uno strumento utilizzato senza una ragione economicamente apprezzabile.

 

 

Intercettazioni telefoniche valide per l'accertamento fiscale.

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte di cassazione fissa principi in tema di utilizzo da parte dei giudici tributari dei risultati delle intercettazioni telefoniche provenienti da procedimenti penali.

“Nell’ambito dell’esame di una controversia relativa a frodi carosello, anche di fronte ad una contabilità formalmente corretta e a conti bancari in ordine il giudice tributario può procedere in via induttiva se gli elementi che provengono dalla verifica della Guardia di Finanza, correttamente raccolti, indicano l’esistenza di una organizzazione fraudolenta.

Non è possibile estendere l’efficacia dei limiti posti dalle norme penali circa le intercettazioni telefoniche al campo tributario; infatti tali regole valgono solo in sede penale perchè la norma tributaria, invece, permette di acquisire dati ottenuti legittimamente dalle forze di polizia che quindi il giudice deve valutarli a titolo di prova”.

 

Dunque i verbali della Guardia di Finanza recanti intercettazioni telefoniche in sede penale, se contenuti in atti allegati all'avviso di accertamento o nelle motivazioni dello stesso, integrante del materiale indiziario e probatorio che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare.

Il divieto posto dall'art. 270 del c.p.c. di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui sono state disposte, non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, poiché non ci può essere estensione dell'efficacia di una norma processuale penale in altri ambiti come quello tributario.

Si sottolinea che in ambito tributario, la regola è quella dell'art. 63 del dpr n. 633/1972 per cui la Guardia di Finanza trasmette dati acquisiti direttamente e riferiti, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, la cui mancanza non rende peraltro inutilizzabili in campo tributario i dati trasmessi: un atto legittimamente acquisito in sede penale entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio valutabile dal giudice tributario.



Si evidenzia comunque che il giudice tributario non può invocare :

  • l'inviolabilità del diritto di libertà e di segretezza delle comunicazioni, tranne nel caso di autorizzazione dell'autorità giudiziaria;

  • l’inviolabilità del diritto di difesa, in quanto la norma applicabile in campo tributario non prevede limiti all'efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto che il difensore non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell'atto trasmesso.



Cassazione civile Sentenza n. 857/2010

sentenza nel processo tributarioSussiste una completa autonomia tra il procedimento penale ed il processo tributario per i quali vanno seguite le norme dei corrispondenti codici di rito e, mentre il principio di inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita è norma peculiare del procedimento penale non costituisce, invece, principio generale dell’ordinamento giuridico.

La mancanza dell'autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione di atti documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o un processo penali non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario.

La seconda censura relativa all’intutilizzabilità dei dati acquisiti durante istruttoria fiscale senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, essendo emersi anche elementi di rilevanza penale, é anch’essa infondata.

Per il procedimento tributario non sussiste la previsione di inutilizzabilità degli elementi acquisiti in sede di verifica, in assenza di autorizzazione dell'autorità giudiziaria in quanto in tema di IVA, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, per l'utilizzazione a fini tributari e per la trasmissione uffici finanziari di dati, documenti e notizie bancari, acquisiti nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria è riferita ad indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto ad accertamento, ma anche di terzi indagati.

Tale autorizzazione non è diretta a permettere l'accesso della Guardia di finanza ai dati bancari a fini fiscali, ma soltanto a consentire la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per fini esclusivamente penali, essendo stata introdotta la detta autorizzazione per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio, piuttosto che per filtrare ulteriormente l'acquisizione di elementi significativi a fini fiscali.

 

5 marzo 2010

Sonia Cascarano