Mancata indicazione delle rimanenze finali e accertamento induttivo.
cE’ di questi giorni l’ordinanza n. 20004 del 17 settembre 2009 (ud. del 16 giugno 2009) della Corte di Cassazione, che chiama ad occuparsi della problematica della mancata indicazione delle rimanenze finali e della successiva legittimità o meno dell’accertamento induttivo.
La vicenda trae origine da un ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 91/6/06, depositata il 26-03-07, con la quale, in una controversia concernente l’impugnazione di avvisi di accertamento Irpeg e Ilor 1982 e 1983, la C.T.R. Friuli Venezia Giulia aveva accolto l’appello del contribuente, sulla base del fatto che l’assenza della distinta analitica delle rimanenze iniziali e finali non era idonea ad inficiare una contabilità cd. semplificata.
Per l’Amministrazione finanziaria l’unico motivo di ricorso è proprio quello relativo all’omissione della distinta delle rimanenze finali esposte in dichiarazione, anche in regime di contabilità semplificata, che rende legittimo l’accertamento a norma del citato art. 39).
Il ricorso, per la Corte, è manifestamente fondato, dal momento che in tema di imposte sui redditi d’impresa, deve ritenersi legittimo, anche in caso di impresa minore,
“il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti, per la vendita di merci indicate come rimanenze di magazzino, qualora il contribuente si sia limitato ad enunciare il valore globale di esse, non ottemperando all’onere della loro specificazione distinta per categorie omogenee di beni (v. tra le altre cass. Nn. 9946/2003, 15863/2001)”.
Inoltre,
“in tema di redditi di impresa minore, deve ritenersi legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, qualora il contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e tale omissione incida sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, salva restando la facoltà per il contribuente di documentare adeguatamente l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze
(v. cass. N. 9912/1996; sui presupposti per l’accertamento induttivo con riguardo ad imprese cd. minori, sia pure sotto altro profilo, v. cass. n. 26511/2008)”.
I precedenti giurisprudenziali su accertamento induttivo e rimanenze finali
Più volte la Corte di Cassazione è stata chiamata ad affrontare la questione, giungendo sostanzialmente ad un indirizzo univoco: è necessario capire la formazione delle rimanenze; diversamente è inficiato il bilancio, e di conseguenza l’ufficio può procedere induttivamente.
L’azienda, in contabilità ordinaria, non può limitarsi ad indicare il valore delle rimanenze in maniera sintetica, dovendo invece nel libro inventari indicare la consistenza dei beni in categorie omogenee, per natura e valore, ed il valore attribuito a ciascun gruppo, ex art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, ovvero messe a disposizione le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario.
Di converso, per i soggetti in contabilità semplificata l’obbligo di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse risiede nell’art. 18 del D.P.R. n. 600/1973 e nell’art. 9, del D.L. n. 69/1989, conv. in L. 27.4.89, n. 154.
Fra le altre sentenze, si segnalano:
Sentenza n. 9912 del 12 novembre 1996 (ud. del 2 aprile 1996) della Corte Cassazione
secondo cui in tema di imposte sui redditi di impresa minore deve ritenersi legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggiore reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui all’art. 39, comma secondo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora il contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e tale omissione incida sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, salva restando la facoltà per il contribuente di documentare adeguatamente l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze.
Per i giudici di Cassazione, la Corte di merito, invece, avrebbe dovuto farsi carico dell’omissione, procedendo a verificarne la gravità (con riguardo anche al fatto che trattavasi di accertamento di redditi d’impresa minore, ricollegabile al disposto dell’art. 18 del D.P.R. n. 600/1989) in guisa da stabilire se e quale incidenza essa avesse sull’attendibilità e, quindi, sulla fedeltà complessiva della dichiarazione; indagine che, tra l’altro, non avrebbe potuto prescindere dal ruolo importante che le rimanenze rivestono nel calcolo del reddito d’impresa.
Soltanto dopo avere effettuato tale verifica la Corte d’Appello – tenendo conto, da un lato, degli elementi posti a base dell’avviso di accertamento e, dall’altro, dei dati forniti dalla contribuente – avrebbe potuto escludere l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 39, secondo comma, del decreto citato, traendone le conseguenze in ordine alla legittimità dell’atto impositivo;
Sentenza n. 9946 del 23 giugno 2003 (ud. del 22 gennaio 2003) della Corte Cassazione
che ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo di cui all’art. 39, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti del titolare di impresa minore, quando all’elemento (di per sé solo non sufficiente) costituito dalla non corrispondenza degli utili dichiarati alla percentuale di ricarico risultante da uno studio di settore, si affianchino altri elementi che inficino l’attendibilità complessiva della dichiarazione (nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittima l’applicazione del metodo induttivo in considerazione del fatto che il contribuente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione, aveva omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e non aveva mai assolto all’incombenza di esibire il relativo prospetto, alla cui tenuta sono obbligate anche le imprese soggette a contabilità semplificata).
È infatti
“legittimo, anche in caso di impresa minore, il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti, per la vendita di merci indicate come rimanenze di magazzino, qualora il contribuente si sia limitato ad enunciare il valore globale di esse, non ottemperando all’onere della produzione, su richiesta dell’Ufficio, di una specifica distinta per categorie omogenee di beni.
Nella specie il contribuente, oltre a non aver fornito alcun elemento ulteriore per provare la veridicità di quanto contestatogli, non ha nemmeno indicato le rimanenze di esercizio ed, invitato ad esibire il relativo prospetto, cui sono tenute anche le imprese soggette a contabilità semplificata, pur riservandosi di esibirlo in sede di risposta al questionario mod. 55, non ha mai assolto tale incombenza”.
Tale comportamento legittima da parte dell’Ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito di impresa, l’adozione del criterio induttivo, incidendo tali omissioni sull’attendibilità complessiva della dichiarazione (Cass. civ. nn. 9912/1996, 11515/1997 e 15863/2001);
Sentenza n. 15863 del 14 dicembre 2001 (ud. dell’11 maggio 2000) della Corte Cassazione
secondo cui la omessa redazione degli inventari (quello iniziale e quello finale) e la genericità del prospetto attività e passività rappresentano indubbiamente violazioni ripetute di tale gravità da rendere legittimo il ricorso al metodo induttivo, attesa l’impossibilità di ricostruire altrimenti il reddito imponibile.
L’ufficio, quindi, legittimamente ha fatto ricorso al metodo di accertamento induttivo.
“Infatti, l’inventario di inizio e fine esercizio è uno strumento essenziale per ricostruire il movimento delle merci nell’arco dell’anno, al pari, se non più, delle altre scritture contabili.
Quando non sia possibile ricostruire tale movimento o perché manchi, come nella specie, l’inventario di inizio e quello di fine anno, o anche in assenza delle scritture ausiliarie sui reali movimenti di beni per la rivendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci, l’ufficio può procedere ad accertamenti induttivo del reddito di impresa, ai sensi del secondo comma dell’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza dell’art. 2729 del codice civile e a fatti noti all’ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell’anno, restando escluso che possa ritenersi sufficiente, al fine di ritenere osservato il dovere di tenuta di scritture ausiliarie, la registrazione di sintesi del libro degli inventari”
(Cass. civ., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1511);
Sentenza n. 1511 dell’11 febbraio 2000 (ud. del 29 settembre 1999) della Corte Cassazione
in assenza delle scritture ausiliarie sui reali movimenti di beni per la rivendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci, è legittimo per l’amministrazione ricorrere a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza dell’art. 2729 del codice civile e a fatti noti all’ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell’anno, in quanto non è sufficiente la registrazione di sintesi nel libro degli inventari per ritenere osservato il dovere di tenuta delle scritture analitiche.
“Infatti, quando difetta una delle scritture contabili prescritte dall’art. 14, tra le quali vi sono quelle ausiliarie nelle quali devono registrarsi elementi patrimoniali e reddituali, raggruppati in categorie omogenee, in modo da desumerne… i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del reddito [lettera c) del comma 1 dell’art. 14], in deroga alle disposizioni del comma 1 dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, l’ufficio accerterà il reddito d’impresa in base a dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze di bilancio e dalle scritture contabili esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma (comma 2 dell’art. 39 citato)”.
La mancanza dei libri ausiliari sul movimento delle merci giustifica l’accertamento induttivo
[Cass. 4 febbraio 1998, n. 1107, non essendo sufficiente la registrazione di sintesi del libro degli inventari per ritenere osservato il dovere di tenuta di scritture analitiche ausiliarie (così, analogamente, per il libro giornale, cfr. Cass. 19 dicembre 1991, n. 13672).]
A cura di Roberta De Marchi
17 Ottobre 2009