Frodi carosello: le cattive frequentazioni sono un'indizio

L’intrattenere rapporti commerciali formali con soggetti che con costanza e sistematicità hanno evaso il pagamento dell’IVA è indizio inequivoco circa l’intenzione del contribuente di ottenere possibili vantaggi fiscali attraverso la fattispecie della “frode carosello”.

frode caroselloCon sent. n. 36 del 3 giugno 2009 (ud. del 6 maggio 2009) la Comm. trib. reg. di Venezia-Mestre, Sez. XIV – ha affermato che l’intrattenere rapporti commerciali formali con soggetti che con costanza e sistematicità hanno evaso il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto costituisce indizio inequivoco circa l’intenzione del contribuente di ottenere possibili vantaggi fiscali attraverso la fattispecie della frode carosello.

 

 

Le “cattive frequentazioni” come indizio di frode carosello

La ricostruzione del fatto

Il (…) presentava in data 14/11/2006 due ricorsi avverso due avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate di Venezia che rettificavano le dichiarazioni IRPEG, IRAP ed IVA relative alle annualità 2002 e 2003 sulla base delle risultanze di una verifica fiscale effettuata dall’Agenzia stessa e descritte nel processo di constatazione redatto in data 31/5/2005.

In entrambi i ricorsi la contribuente lamentava che l’Agenzia avesse considerato operazioni inesistenti gli acquisti effettuati dalla stessa nell’esercizio della sua attività di commercio di autoveicoli in forza della

“presunzione che coloro che nelle fatture apparivano come fornitori fossero soggetti interposti fittiziamente nell’importazione di autoveicoli di provenienza intracomunitaria”.

La ricorrente sosteneva che l’assunto illustrato nel verbale di constatazione, e ripreso nei due avvisi di accertamento, non era sorretto da alcun serio indizio

“benché in molti casi l’Agenzia avesse accertato che i fornitori della sua ditta avevano effettivamente evaso l’IVA, poiché la stessa Agenzia non forniva la dimostrazione che la ricorrente fosse a conoscenza dell’evasione effettuata dagli stessi e ne avesse tratto vantaggio”.

Infatti, sosteneva la ricorrente, per fornire tale dimostrazione i redattori del verbale di constatazione avrebbero dovuto rintracciare nelle operazioni effettuate dall’acquirente due fatti tipici ricorrenti nelle operazioni fittizie,

“ossia che la sua ditta era stata in grado di rivendere le autovetture acquistate a prezzo inferiore a quello di mercato e che esistevano elementi che dimostrassero l’esistenza di un accordo dell’acquirente con i fornitori diretto a frodare il fisco”.

Poiché i verbalizzanti non erano stati in grado di dare queste prove, l’assunto dagli stessi sostenuto si basava – per il ricorrente – soltanto su presunzioni prive di gravità, precisione e concordanza.

Uguali considerazioni la ricorrente traeva per il travisamento dei fatti in ordine all’organizzazione aziendale della ditta, che essi avevano considerato insufficiente all’attività commerciale per la mancanza di spazi per l’esposizione al pubblico delle autovetture in vendita e di mezzi pubblicitari per farsi conoscere dai clienti: a ciò la ricorrente opponeva che la sua ditta aveva ottenuto dal Comune la licenza per il commercio di autoveicoli usati con il riconoscimento della disponibilità di locali indipendenti a ciò adibiti e di un ampio parcheggio pertinente all’officina meccanica di proprietà del marito.

Altra smentita della concordanza nelle presunzioni indicate dai verbalizzanti veniva rilevata dalla ricorrente nel fatto che da un lato tutti gli acquisti di vetture venivano considerati fittizi salvo quelli, aventi i medesimi fornitori, che avevano assunto le modalità delle operazioni “sul margine”.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate che, nel chiedere il rigetto del ricorso, sosteneva che i rilievi mossi alla contribuente descritti nel verbale di constatazione erano sorretti da un complesso di prove ed indizi del tutto soddisfacenti, in particolare che il ricorso da parte della titolare della ditta all’evasione dell’IVA,

“attraverso l’espediente dell’interposizione fittizia di un soggetto estraneo, risultava documentato dalle indagini effettuate nei confronti della società (…), emittente della maggioranza delle fatture registrate dalla ditta individuale, da cui emergeva che tali fatture recavano un importo inferiore a quello portato nella fattura dell’esportatore straniero”.

Prima della discussione della causa la difesa della contribuente proponeva, con una memoria, il raffronto fra i prezzi di mercato delle autovetture secondo le rilevazioni di una autorevole rivista di settore e quelli risultanti dalle fatture emesse dalla ditta individuale nella vendita degli autoveicoli corrispondenti per marca e tipo per ricavarne la dimostrazione “che i prezzi di acquisto della (…) non sono inferiori a quelli di mercato”.

 

La sentenza di primo grado

Con sentenza del 25/172008 la Commissione tributaria provinciale di Venezia, dopo avere riunito i due ricorsi, li accoglieva integralmente, in quanto

“l’Agenzia delle Entrate non era stata in grado di fornire una tranquillante dimostrazione dell’assunto sostenuto, ossia che la contribuente aveva evaso l’IVA in concorso doloso con i suoi fornitori”, e che tale assunto era stato efficacemente contrastato dalla “puntuale e coerente esposizione da parte della difesa della ricorrente in ordine ai prezzi praticati per gli autoveicoli oggetto delle contestate fatturazioni”.

 

L’appello

La sentenza veniva appellata dall’Agenzia delle Entrate che lamentava che la sentenza impugnata avesse accolto i ricorsi “ignorando gli elementi probatori acquisiti in causa dai quali emergeva in maniera inequivocabile che i presunti fornitori della contribuente erano totalmente privi di mezzi finanziari e di risorse materiali che consentisse loro di essere riconosciuti come i reali acquirenti degli automezzi importati”.

In pratica, dal momento che essi non erano in grado di svolgere autonomamente un’attività di importazione dei veicoli, “se ne doveva ricavare che essi erano al servizio di altri soggetti definibili come gli effettivi acquirenti della merce dei fornitori stranieri”.

 

La sentenza

La Commissione tributaria regionale ricorda, innanzitutto, che l’art. 54, terzo comma, del D.P.R. 633/1972 dispone che l’Ufficio può procedere alla rettifica della dichiarazione IVA quando l’esistenza di operazioni imponibili risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti.

“Ebbene nel verbale di constatazione si legge che la Guardia di Finanza aveva eseguito ispezioni nei confronti dei presunti fornitori della contribuente, dalle quali era emerso ed attestato in verbali non solo che molti di essi, pur svolgendo apparentemente attività commerciale, erano abituali evasoli dell’IVA, ma anche che la società (…), la maggiore di esse per operazioni effettuate, aveva costantemente emesso fatture dirette alla ditta inquisita recanti importi inferiori a quelli delle fatture d’acquisto (vedere foglio 18 del verbale e gli allegati n. 2 e 3)”.

E’ noto che la fatturazione in perdita è l’abituale espediente con il quale si realizza la cosiddetta “frode carosello” nell’importazione degli autoveicoli, cosicché nel caso in esame è da dire che l’utilizzo di quell’espediente emerge in modo certo e diretto dall’esame – raffronto tra le fatture emesse dal fornitore intracomunitario e quelle emesse dalla società (…) verso la ditta inquisita.

“La ditta inquisita ha acquistato negli anni 2002 e 2003 altre autovetture dai seguenti soggetti, pur apparentemente impegnati in attività commerciali, ma che hanno costantemente evaso il pagamento dell’IVA, ossia la ditta individuale (…) di (…), ditta individuale (…) ditta individuale (…), società (…) S.r.l., ditta individuale (…) di (…) società (…).

La frequenza con cui la ditta inquisita ha intessuto rapporti con soggetti che abitualmente si astenevano dai versamenti IVA va valutata come un indizio di una deliberata scelta diretta ad ottenere i vantaggi derivanti dalla possibilità utilizzare i medesimi nelle frodi carosello”.

Gli accertamenti effettuati nei confronti degli stessi soggetti, inoltre, hanno permesso di appurare

“che essi erano privi di mezzi finanziari ed organizzativi che ne escludevano l’autonomia commerciale: indizio questo su cui ha insistito l’appellante e che viene preso in considerazione nella valutazione complessiva degli elementi emersi nell’indagine, che, come è stato detto, può legittimamente trarre argomenti anche da accertamenti effettuati nei confronti di terzi”.

Da queste considerazioni la Commissione tributaria trae il convincimento

“che effettivamente gli acquisti effettuati dall’appellata e documentati dalle fatture emesse dai soggetti elencati più sopra siano inesistenti, in quanto effettuati ai fini di celare una frode all’IVA”.

In ordine al raffronto dei prezzi operato dal contribuente,

“questa Commissione ritiene che l’argomento non possa smentire il complesso di elementi di prova esaminati più sopra e ciò per due considerazioni: 1) perché non è detto che il vantaggio economico derivante dall’evasione IVA venga trasferito a favore dei clienti dell’evasore piuttosto che rimanere ad arricchire l’evasore medesimo; 2) perché i valori indicati nella rivista (…) non sono termini di paragone attendibili, essendo ottenuti effettuando una media fra i prezzi fortemente divergenti di autoveicoli, che nel caso in esame sono usati, su cui incide decisamente lo stato di conservazione del singolo esemplare”.

 

“Cattive” frequentazioni come indizio di frode carosello – Brevi considerazioni

La sentenza che si segnala merita di essere citata poiché pone come indizio le cd. frequentazioni.

In pratica, la frequenza con cui la ditta verificata ha intessuto rapporti con soggetti evasori, che non versavano l’Iva, viene valutata come un indizio di una deliberata scelta diretta ad ottenere determinati vantaggi.

In pratica, dice il giudice: se frequenti determinati soggetti tu li frequenti perché ne ottieni vantaggi.

Ma la sentenza va oltre, offrendo pure tutta una serie di argomentazioni volte a smentire la ricostruzione operata dall’azienda. Se l’azienda fornitrice non ha i mezzi per acquistare le autovetture è probabile che sia solo un’interfaccia.

 

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Francesco Buetto

20 Luglio 2009

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