Spese alberghiere e di ristorazione: detrazione totale dell’IVA e deducibilità limitata delle imposte dirette

Imprese e professionisti possono detrarre interamente l’IVA sulle spese sostenute in relazione a servizi alberghieri e di ristorazione.

Detrazione totale dell’IVA per spese alberghiere e di ristorazione

detraibilità dell'iva per spese di alberghi e ristoranti per imprese e professionistiDal 1º settembre 2008 imprese e professionisti (se in possesso di regolare fattura) possono detrarre interamente l’Iva sulle spese sostenute in relazione a servizi alberghieri e di ristorazione.

Ovviamente, l’integrale detrazione dell’Iva può essere esercitata a condizione che la spesa relativa al pernottamento e/o alla somministrazione di alimenti e bevande sia inerente all’attività svolta dall’impresa o dal professionista (valutazione non facile data la natura, spesso privata, di tali spese); la detrazione dell’Iva è però ammessa solo se non sussistono specifici limiti alla detrazione stessa, quali, ad esempio, la totale indetraibilità nel caso queste spese siano da considerarsi di rappresentanza ai fini delle imposte dirette e superino l’importo di € 25,82 (vedi dispensa n. 3), o l’indetraibilità determinata dal rapporto di pro rata per l’effettuazione di operazioni esenti art. 10 o da quello di promiscuità tipico dell’attività degli enti con commerciali.

Questo, sinteticamente, il contenuto della modifica apportata al decreto Iva da parte del comma 28-bis dell’art. 83 del D.L. 112 del 25.06.2008 aggiunto in sede di conversione dalla Legge 133 del 06.08.2008.

E’ bene ricordare che la nuova disciplina in vigore dal 1° settembre 2008 supera tutte le questioni interpretative che erano emerse dopo la modifica introdotta dalla Legge finanziaria 2007, che aveva ammesso la piena detraibilità Iva delle spese di vitto e alloggio solo se sostenute in occasione di convegni e congressi.

Ora, la nuova disposizione assegna piena detraibilità Iva a tali spese a prescindere dalla tipologia del fruitore e dal contesto nel quale tali spese vengono sostenute (come ricordato l’unico requisito fondamentale deve individuarsi nell’inerenza delle stesse all’attività d’impresa, arte o professione), e quindi si pone come una disposizione di carattere generale che potrà essere beneficiata anche dalle imprese di minori dimensioni poco interessate a fenomeni di “turismo congressuale”, ma che, al contrario, sostengono ingenti quantitativi di spesa per alberghi e ristoranti durante gli spostamenti necessari allo svolgimento della propria attività lavorativa (come ad esempio agenti e rappresentanti).

Per le prestazioni effettuate fino alla data del 31.08.2008 valgono ancora le vecchie regole che prevedevano per tali spese un’esplicita indetraibilità oggettiva dell’Iva in base alla disposizione, ora soppressa, contenuta nella lettera e) dell’art. 19-bis1 del decreto Iva.

La Circolare 53/E – 05/09/2008 dell’Agenzia Entrate precisa, come detto all’inizio, che la detraibilità non è comunque ammessa per quelle spese di vitto e alloggio qualificabili come spese di rappresentanza (se superiori ad € 25,82) che, infatti, in quanto tali rientrano tuttora sotto la invariata lettera h) del medesimo articolo 19-bis1 del decreto Iva e non erano contemplate nella precedente lettera e) (confronta anche Assonime Circolare 55/2008 del 21/10/2008).

Ad analoga conclusione si deve giungere per quanto riguarda l’indetraibilità dell’Iva (che continua a sussistere) relativa a servizi di terzi per prestazioni alberghiere e di ristorazione, acquisiti da agenzie di viaggio e tour operator nell’organizzazione di pacchetti turistici soggetti allo speciale regime dell’art. 74-ter del DPR 633/72, che prevede il calcolo dell’imposta dovuta mediante scorporo della stessa dalla differenza tra il corrispettivo, Iva inclusa, riscosso e i costi, anch’essi comprensivi di Iva, sostenuti (cosiddetto sistema base da base).

L’Agenzia Entrate nella già citata circolare 53/E-2008 afferma che nel caso in cui il fruitore del servizio non coincida con il soggetto passivo che sostiene la spesa (ad esempio per i dipendenti in trasferta o per i professionisti qualora il costo sia sostenuto dal committente quale anticipo compensi-vedi anche il punto 38 della Circolare 28/E del 14.08.2006) al fine di permettere la detrazione dell’Iva è necessario che la fattura sia intestata contemporaneamente all’azienda e al soggetto che ha goduto del servizio.

La poco felice formulazione del testo della circolare 53/E-2008, ha fatto ritornare sull’argomento l’Agenzia che, con la Circolare n. 6 del 3 marzo 2009, ha precisato che la fattura deve essere intestata a chi opera la detrazione, mentre i dati di chi fruisce del servizio (dipendente o professionista) possono essere indicati nel corpo della fattura o in una nota allegata alla stessa.

Nel silenzio della Circolare 53/E -2008 dell’Agenzia Entrate, l’Assonime ha esposto il proprio parere anche relativamente ai servizi di mensa e quelli ad essi sostitutivi, siano essi resi all’interno dell’impresa in luoghi appositi, all’esterno in mense aziendali e interaziendali, presso esercizi convenzionati ovvero con buoni pasto. Fino al 31 agosto 2008 era detraibile l’Iva solo nei servizi di mensa “interna” o “esterna”, mentre non era detraibile quella relativa alle fatture dei ristoranti convenzionati e dell’acquisto da parte dell’impresa dei buoni pasto (ticket restaurant).

Secondo Assonime dal 01 settembre 2008 l’Iva risulta detraibile in tutte le ipotesi di servizi mensa, compresi quelli forniti all’esterno presso esercizi convenzionati (non quindi solo in mense aziendali e interaziendali esterne) e anche per l’acquisto dei buoni pasto. Anche la più recente Circolare n. 6/E del 3 marzo 2009, come la precedente, non affronta la detraibilità Iva delle spese suddette, ma tratta ampiamente dell’argomento nell’ambito dell’imposizione diretta arrivando alla conclusione che è riconosciuto il requisito dell’inerenza a tutte le seguenti ipotesi:

  1. mense aziendali gestite direttamente dall’impresa;
  2. servizi di mensa appaltati a terzi;
  3. convenzioni con esercizi pubblici per la fornitura di pasti ai dipendenti;
  4. assegnazione di buoni pasto (ticket restaurant)

Alla luce, quindi, dell’asserita inerenza all’attività, trattandosi, a detta della stessa Agenzia Entrate, di acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande, non può più essere negata la detraibilità dell’Iva sulle elencate prestazioni.

Sull’argomento leggi anche: 

L’IVA nei servizi di mensa aziendale fruiti tramite buoni pasto (2021)

Il servizio di mensa e l’IVA (2022)

Deducibilità dell’IVA non detratta, ai fini imposte dirette e IRAP

spese per alberghi e ristoranti di aziende e professionisti: trattamento IVa e imposte diretteUn’importante novità interpretativa (assolutamente “discutibile”) viene espressa dall’Agenzia Entrate con la già citata Circolare n. 6/E del 3 marzo 2009 e con la Risoluzione n. 84/E del 31 marzo 2009, in relazione alla negata deducibilità ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP dell’IVA non detratta sulle spese di vitto e alloggio.

L’Agenzia, dopo aver sottolineato come la detrazione dell’Iva a credito, relativa alle suddette spese, sia subordinata al possesso della fattura, e aver ricordato che albergatori e ristoratori non sono obbligati all’emissione della stessa se non richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, afferma che la mancata richiesta della fattura (per dimenticanza o per scelta di economicità aziendale di contabilizzare la ricevuta fiscale in luogo della fattura) non ha riflessi ai fini della determinazione del reddito e dell’imponibile IRAP, in quanto l’indetraibilità dell’Iva non deriva da cause oggettive che precludono l’esercizio del relativo diritto, bensì da una valutazione discrezionale del contribuente, considerando in questo caso implicitamente non inerente l’Iva non detratta.

Per l’Agenzia, quindi, sia la scelta di non detrarre l’imposta pur in possesso di fattura (Risoluzione 84/E-2009), sia il mancato possesso della fattura, che non permette la detrazione dell’Iva, non possono modificare l’importo deducibile ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP, che si identifica nel solo imponibile dell’operazione, costringendo il contribuente allo scorporo dell’imposta contenuta nella ricevuta fiscale o nello scontrino parlante, rendendola costo fiscalmente indeducibile; l’interpretazione dell’Agenzia (sempre che si sia intenzionati ad accettarla) ha naturalmente effetto per le ricevute fiscali e gli scontrini parlanti emessi dal 01.09.2008.

Assolutamente contraria a questa interpretazione è la prevalente dottrina, in primis Assonime, che con la citata Circolare 55/2008 ha affermato che, pur con le limitazioni previste, l’ammontare deducibile debba essere costituito dall’intero importo Iva inclusa, rappresentando quest’ultima un costo inerente in considerazione della convenienza economica generata dai minori costi amministrativi e contabili da sostenere.

A questo punto qualche considerazione è d’obbligo 

La “discutibile” interpretazione dell’Agenzia Entrate, espressa nella Circolare n. 6/E-2009 relativamente alle imposte dirette è ulteriormente confermata con la Risoluzione n. 84/E-2009, dove ne viene estesa la sua applicabilità ai fini IRAP anche per i soggetti IRES, con buona pace del principio di derivazione contabile della base imponibile IRAP dal bilancio, introdotto dalla Finanziaria 2008; tale principio prevede infatti, per la sua applicazione, che siano rispettati i principi contabili in relazione all’esatta qualificazione, all’imputazione temporale e alla classificazione delle poste di bilancio.

E’ proprio la corretta pratica contabile a prevedere che le imposte non detratte, in quanto costo accessorio del bene o servizio cui afferiscono, possano essere incluse nel costo stesso e spesate a conto economico.

Sorvolando, però, sull’estensione dell’indetraibilità ai fini IRAP anche per i soggetti IRES, la conclusione dell’Agenzia delle Entrate è senz’altro condivisibile e corretta se rapportata alla sola normativa tributaria vigente, ma contrasta nettamente con quella proposta da Assonime nella già citata Circolare 55 del 21.10.2008 e con alcune interpretazioni giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione, come la sentenza n. 23863 del 2007, dove si afferma che l’imprenditore, in base a considerazioni di strategia generale, può legittimamente compiere operazioni di per sé stesse antieconomiche in vista ed in funzione di benefici economici su altri fronti, con ciò conferendo ad esse il requisito dell’inerenza.

Secondo quanto previsto dalla normativa Iva, la detrazione dell’imposta è un diritto e non un obbligo per il contribuente e, ai sensi dell’art. 22, c. 3, DPR 633/72, soltanto gli imprenditori che acquistano beni che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa da commercianti al minuto ai quali è consentita l’emissione della fattura, sono obbligati a richiederla, mentre gli esercenti arti e professioni non sono mai obbligati.

L’imprenditore e il professionista non sono, quindi, obbligati a richiedere la fattura per qualsiasi bene che può servire all’attività svolta; ad esempio il materiale di cancelleria è si un bene necessario, ma non rientra nell’attività propria di un azienda di calzature, alla quale, quindi, non serve il “documento” fattura, ma ha comunque l’interesse di documentare la spesa per le imposte dirette nella determinazione del reddito, scopo che può essere raggiunto anche con documentazione diversa dalla fattura (ricevuta fiscale o scontrino parlante) purché correttamente intestata all’imprenditore o al professionista.

Questi comportamenti non permettono, evidentemente, di esercitare il diritto di detrazione dell’Iva, rimanendo il contribuente inciso dell’imposta contenuta nel prezzo.

Una norma che in qualche modo potrebbe far propendere per l’interpretazione dell’Agenzia, la troviamo, nell’art. 99, c. 1 del TUIR, laddove viene negata la deducibilità di qualunque imposta per la quale non si è esercitato il diritto di rivalsa, ancorché facoltativo (si pensi all’Iva non addebitata con gli omaggi).

La rinuncia alla detrazione non può però intendersi come una sorta di rivalsa facoltativa dell’Iva che si è pagata al fornitore (anche perché la rivalsa Iva nei confronti del cliente, tranne poche eccezioni, è obbligatoria) in quanto nel diritto tributario, la rivalsa è definita come il diritto del soggetto passivo del tributo di richiedere ad un altro soggetto una somma di denaro pari al tributo di cui è debitore; in generale, ha diritto di rivalsa, verso colui che realizza il presupposto dell’imposta, ogni terzo che sia tenuto a corrispondere il tributo, ovverosia ogni soggetto che sia obbligato a pagare il tributo per un presupposto realizzato da altri, nella logica del principio civilistico dell’ingiustificato arricchimento.

L’Erario, però, non può considerarsi come colui che ha generato il presupposto impositivo, ma soltanto uno speciale creditore che, riconoscendo la detrazione a chi acquista il bene o il servizio in regime d’impresa, arte o professione, rinuncia al suo potenziale credito perché ne ha già ricevuto o dovrà riceverne soddisfazione da terzi.

La logica che sottende all’interpretazione dell’Agenzia è che il sistema tributario non permette di dedurre quali costi inerenti, importi di cui il contribuente si sia assunto l’onere pur non essendo gli stessi a suo carico, ma n on deve essere sottovalutato il fatto che detta interpretazione è decisamente contraria ai principi di semplificazione amministrativa e impone rilevanti complicazioni contabili, andando in direzione opposta a quanto la stessa Amministrazione Finanziaria aveva già avuto modo di affermare nel 1980 con le note n. 517 e 557, laddove veniva detto che la presenza di motivi di convenienza economica era idonea a legittimare la rinuncia da parte dell’imprenditore all’esercizio di diritti a contenuto economico, senza che da ciò potesse derivare il venir meno dell’inerenza del relativo costo. La nota precisava, inoltre, che il requisito va riconosciuto per il solo fatto che un certo costo od onere si pone in una scelta di convenienza per l’imprenditore, che correttamente deve perseguire la massimizzazione del risultato economico.

Deducibilità limitata ai fini imposte dirette

A fronte del beneficio della piena detrazione dell’Iva, le spese sostenute per le prestazioni di vitto e alloggio subiscono una riduzione pari al 25% della misura ordinariamente deducibile, ma, a differenza della modifica Iva, quella che riguarda le imposte dirette ha decorrenza solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2008 e, quindi, per la maggior parte dei soggetti, dal 1° gennaio 2009.

La Circolare 53/E – 2008 dell’Agenzia Entrate precisa che il nuovo limite non deroga gli ordinari criteri di inerenza, ma rappresenta il limite massimo deducibile, qualora il costo sia considerato inerente. Relativamente al concetto di inerenza, Assonime, con la già citata Circolare 55/2008, afferma che potrebbe esservi difetto di inerenza anche relativamente alle spese sostenute in occasione di trasferte (vedi paragrafo sulle regole comuni per imprese e professionisti) qualora la fattura contenesse anche l’addebito di servizi accessori voluttuari o di livello superiore a quello considerato “normale”, con conseguente obbligo di separare gli importi rendendone indeducibili alcuni con conseguente indetraibilità anche ai fini dell’IVA.

Regole per le imprese

Per quanto riguarda le imprese, la lett. a), c. 28-quater, art. 83 del D.L. n. 112/08, modificando il c. 5 dell’art. 109 del TUIR, prevede che la deduzione delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande sia ridotta al 75%.

La Circolare 53/E – 2008 precisa che la limitazione della deduzione al 75% si applica anche alle spese di vitto e alloggio qualificabili come spese di rappresentanza qualora considerate deducibili (vedi dispensa n. 3).

Con la Circolare 6/E del 3 marzo 2009 l’Agenzia Entrate chiarisce che la limitazione di detrazione al 75% non opera per le spese alberghiere e di ristorazione sostenute dai tour operator e dalle agenzie di viaggio sia in Italia che all’estero (fatta salva la sussistenza dell’effettivo interesse economico per l’acquisto di detti servizi nei paesi a fiscalità privilegiata), ma solo quando sono destinate alla vendita anche nell’ambito dei pacchetti turistici, in quanto si tratta di costi sostenuti per acquistare servizi la cui rivendita costituisce oggetto dell’attività propria dell’impresa che consiste nell’organizzazione e nella commercializzazione di viaggi e soggiorni.

Oltre ai servizi di mensa comunque erogati (vedi riquadro a pagina 2), la detraibilità totale è concessa anche alle aziende distributrici di buoni pasto, relativamente al rimborso agli esercizi convenzionati dell’importo dei ticket, in quanto l’importo che la società emittente corrisponde ai pubblici esercizi convenzionati costituisce un costo per l’acquisizione di servizi (ristorazione) che concorrono direttamente alla produzione dei ricavi della società stessa.

Si ritiene conseguentemente estensibile la regola della intera deducibilità a tutti i casi in cui si possa ritenere che l’acquisto dei servizi di ristorazione e alloggio rientri nell’oggetto dell’attività propria del cessionario (ad esempio l’acquisto di pasti da terzi per la propria clientela da parte di un albergo che non dispone di ristorante proprio).

Regole per i professionisti

Anche i professionisti sono interessati dalla nuova disposizione che limita la deducibilità: la regola vigente sino al periodo d’imposta 2008 prevede la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande nel limite del 2% dei compensi (considerando un professionista che ha percepito compensi pari ad € 100.000, la deduzione massima di dette spese è pari ad 2.000).

Dal 1° gennaio 2009 la deduzione sconterà la limitazione al 75% da calcolarsi prima di valutare l’eventuale superamento del plafond del 2% dei compensi, pertanto, nel caso di cui sopra, se le spese di vitto e alloggio ridotte al 75% sono superiori ad € 2.000, la detrazione totale non cambia; una effettiva penalizzazione, quindi, si avrà solo qualora le spese totali (Iva ESCLUSA) sono inferiori al 2,67% dei compensi.

La Circolare 53/E – 2008, con un’interpretazione logico-sistematica afferma che lo stesso discorso deve essere fatto per le spese di rappresentanza, che rimangono deducibili nel limite del 1% dei compensi percepiti, ma dopo aver ridotto le spese stesse al 75% del loro ammontare Iva compresa. Una effettiva penalizzazione, in questo caso, si avrà solo qualora le spese totali (Iva INCLUSA) sono inferiori, al 1,33% dei compensi.

Si segnala, inoltre, che le citate modifiche non riguardano la procedura che interessa le spese sostenute dal committente e addebitate in fattura dal professionista in occasione di seminari e convegni: tali spese non sconteranno né la limitazione del 2% dei compensi né quella preventiva del 75%, in vigore dal 2009.

Al contrario, saranno soggette alla limitazione al 75% le spese di vitto e alloggio che, qualora sostenute direttamente dal professionista in relazione a convegni e seminari, rientrano nella già prevista limitazione di deducibilità del 50%, da calcolarsi dopo averle preventivamente ridotte al 75% del loro ammontare.

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Regole comuni per imprese e professionisti

Per effetto di un’esplicita deroga contenuta nel decreto 112/08, tuttavia, nessuna limitazione è prevista per le spese di vitto e alloggio sostenute per trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti e dai co.co.pro. e co.co.co.; per tali spese (c. 3 dell’art. 95 del TUIR) rimane ferma la totale deducibilità entro i limiti previsti (in proposito si segnala l’effetto positivo della intervenuta detraibilità dell’Iva a partire dal 01 settembre 2008: i limiti contemplati dall’art. 95 del TUIR – €180,76 Italia ed € 258,23 Estero –, in quanto rappresentano un costo deducibile per l’azienda, devono intendersi al netto dell’Iva risultando di fatto incrementati).

Non è d’accordo Assonime che, con la Circolare 55/2008 del 21/10/2008, sostiene che, per motivi di ordine sistematico, la limitazione alla detrazione non dovrebbe trovare applicazione nemmeno con riferimento ai costi relativi alle missioni all’interno del territorio comunale; occorre, infatti, considerare che le indennità forfetarie e i rimborsi corrisposti per vitto e alloggio all’interno del comune, concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente e di collaborazione e sono, pertanto, tassati in capo ai soggetti percettori.

Con la modifica introdotta dal comma 28 quater dell’art. 83 del D.L. 112 del 25.06.2008 aggiunto in sede di conversione dalla Legge 133 del 06.08.2008, in caso di missioni all’interno del comune, a fronte della totale imponibilità per il dipendente o il collaboratore, l’azienda può dedurre l’intero costo solo se riconosce l’indennità forfetaria e non anche se rimborsa i costi di ristorazione e alloggio a piè di lista, con una evidente violazione del principio di simmetria previsto dal TUIR.

Con la Circolare 6/E del 3 marzo 2009 l’Agenzia Entrate chiarisce che la limitazione di detrazione al 75% non opera anche per le spese alberghiere e di ristorazione sostenute dagli amministratori di società (non professionisti), qualora in trasferta fuori del territorio comunale, in quanto si considerano titolari, se non sono dipendenti, di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (la circolare non lo specifica, ma si presume che la regola si applichi anche se l’amministratore è privo di compenso).

Nessuna agevolazione, invece, per le trasferte di soci di società di persone (che non siano amministratori con compenso) per i quali le spese di vitto e alloggio sostenute, purché inerenti, scontano la deducibilità limitata al 75%.

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ZAMBON Dott. Rag. GIUSEPPE

28 Aprile 2009