Accertamenti bancari nei confronti di parenti e/o collaboratori

è necessario che l’Amministrazione finanziaria dimostri la fittizietà dei conti intestati ai soggetti estranei all’accertamento (legati al soggetto accertato da vincoli familiari e/o commerciali) per la loro rilevanza nell’accertamento del reddito (o dell’IVA) nei confronti del contribuente accertato

Recentemente la Corte di Cassazione, Ordinanza del 14 novembre 2008 27186, ha ribadito, in maniera espressa, un principio, comunque già consolidato1, della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità.

La Suprema Corte, analizzando la questione della  utilizzabilità  dei dati bancari emergenti dai conti dei soci nell’accertamento nei confronti della società ha affermato che:

la lettera e la ratio (art. 51, comma 2, nn. 2 e 7, D.P.R. 633/72 e art. 32, comma 1, nn. 2 e7, D.P.R. 600/73 n.d.r.) della disposizione in esame non ne autorizzano l’applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, solo perché legate da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e provi poi in sede giudiziale, eventualmente avvalendosi degli indizi ricavabili da  tali  vincoli, che l’intestazione a terzi sia  fittizia,  cioè  esprima  un’apparenza voluta per far risultare come altrui operazioni in realtà compiute dal contribuente, o comunque sia superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti”.

 

La Corte prosegue affermando che la prova concreta (della riferibilità alla società dei conti intestati ai soci) deve essere data dall’Amministrazione finanziaria anche nel caso in cui si tratti di conti intestati ai soci di una società di persone.

Proseguendo, afferma:

“… anche se deve ritenersi che nelle società di persone il vincolo societario che lega i soci alla società è sicuramente più forte rispetto a quello presente in altri tipi di società, resta pur sempre il fatto che la società di persone ha una sua autonomia patrimoniale, per cui l’utilizzazione dei conti intestati ai soci non può essere ammessa sempre e comunque, ma è possibile a condizione che si superi il dato formale della intestazione e si raggiunga la prova che quei conti sono riconducibili alla società, totalmente o parzialmente”.

Solo dopo avere assolto tale onere probatorio: dimostrazione della fittizia intestazione del conto bancario in capo al socio e la sua riferibilità alla società, l’Amministrazione finanziaria potrà avvalersi delle presunzioni stabilite dagli artt. 51, co. 2, n. 2, D.P.R. 633/72 e art. 32, co. 1, n. 2, D.P.R. 600/73, secondo le quali i prelevamenti e i versamenti sono considerati ricavi se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito.

I prelevamenti sono fiscalmente irrilevanti anche solo se il contribuente  ne indica il beneficiario, indipendentemente dalla sua annotazione in contabilità.

D’altra parte ritenere che il solo rapporto società-soci sia sufficiente a dimostrare che i conti intestati ai soci sono in realtà riferibili alla società, senza la presenza di altri elementi estranei al predetto rapporto, è in palese violazione sia con i principi generali in tema di soggettività giuridica sia con le norme poste dal legislatore.

Si pensi, infatti, all’art. 37, co. 3, D.P.R. 600/732, che anche se si riferisce alla imputazione soggettiva dei redditi, si può certamente ritenere applicabile ai componenti positivi (ricavi e compensi) e negativi (costi) del reddito d’impresa o professionale.

In definitiva è necessario che si dimostri, anche per presunzioni, che i prelevamenti e i versamenti effettuati sul conto dei soci si riferiscono in realtà ad operazioni economiche sottratte all’imposizione ed effettuate nell’attività d’impresa della società.

Altresì, si deve apertamente dissentire dall’orientamento secondo  il quale il conto bancario del socio può essere riferito alla società qualora non sia “coerente” con la dichiarazione reddituale del socio stesso.

Infatti, l’eventuale incongruenza del conto bancario del socio potrebbe essere frutto di altra evasione fiscale riferibile all’attività personale del socio stesso e non già alla evasione fiscale della società.

Potrebbe essere “giustificata” dal socio in relazione alla sua capacità economica, indipendentemente dalla violazione di obblighi tributari (il florido conto bancario potrebbe essere frutto di dismissioni patrimoniali, donazioni, ecc.)

Così facendo: attribuzione alla società del  conto  “incongruente”  del socio, si onorerebbe la società della dimostrazione della irrilevanza dei prelevamenti e dei versamenti, e ora anche delle operazioni fuori conto3, effettuati da altro soggetto.

Non solo, tale onere dovrebbe essere assolto, per  di  più,  dovendo vincere le presunzioni legali sopra viste. Evidentemente una prova diabolica.

È necessario quindi, per dimostrare l’intestazione fittizia, che l’Amministrazione finanziaria “leghi” i valori contabili degli accertamenti bancari in capo ai soci all’attività stessa della società con elementi necessariamente esterni ai conti medesimi (della società e dei soci). Solo così operando si potrà riconoscere rilevanza fiscale al dato bancario e potranno valere le presunzioni sopra viste.

In questa sede non si vuole, né si può sostenere, che l’incongruenza del conto bancario del socio è irrilevante fiscalmente (eventualmente ne risponderà quale persona fisica il socio stesso, potendo A. f. ricorrere anche all’accertamento sintetico ex art 38, co. 4 D.P.R. 600/73). Si vuole solo affermare che non potrà avere rilevanza in seno al procedimento di accertamento del reddito della società.

A confortare ulteriormente tale  assunto  si  pensi  alle conseguenze che ne discenderebbero alla luce dell’applicazione del principio consolidatosi, non senza critiche, nella giurisprudenza, secondo il quale, nelle società di persone e in quelle di capitale a ristretta  base  azionaria, il maggiore utile accertato in capo alla società si ha per distribuito, pro quota, ai soci.

In forza di tale principio il conto bancario del socio (magari frutto di evasione fiscale personale o altrimenti giustificabile) verrebbe “spalmato” in capo ai soci, così che tutti i soci si troverebbero gravati da una imposta su un reddito prodotto da altri.

In definitiva l’eventuale socio evasore potrebbe non subire così gravi danni dall’accertamento, anzi avrebbe addirittura interesse a sostenere che il conto a lui intestato è in realtà riferibile alla  società. Infatti, delle somme  risultanti  dal  conto  risponderebbe pro quota se riferite alla società e per intero se solo al lui riferibili.

Giova evidenziare che secondo parte della dottrina la presunzione in tema di accertamenti bancari, (qualificate come “legali relative” o iuris tantum4), opera solo nel caso in cui l’Agenzia fiscale abbia instaurato il contraddittorio col contribuente prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

L’orientamento opposto, confortato dalla giurisprudenza maggioritaria, sostiene che l’Amministrazione finanziaria potrà avvalersi delle presunzioni in tema di accertamento bancario anche se         il contribuente non   viene convocato  per   l’instaurazione  del contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

In detta ipotesi il contribuente potrà comunque fornire, in sede giudiziale, la prova della irrilevanza fiscale dei dati bancari5.

Concludendo è necessario dare atto che molti Uffici fiscali locali hanno correttamente interpretato la normativa in tema di accertamenti bancari, non confondendo due piani assolutamente differenti: quello della loro esperibilità anche nei confronti di soggetti diversi dal contribuente accertato, ma legati a questi da vincoli di parentela e/o commerciali, da quello della imputazione soggettiva e del correlato onere probatorio delle risultanze emerse.

Se infatti non vi è dubbio che l’Agenzia delle Entrate possa procedere all’accertamento bancario anche nei confronti di soggetti terzi ma collegati al contribuente accertato, il thema disputandum diventa quello della riferibilità delle risultanze emerse che alcuni Uffici fiscali vorrebbero, de plano, riferibili al contribuente accertato.

Tutto sta nel significato, che si spera sia nel senso sopra visto, che gli Uffici locali vorranno dare alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate, n. 32 del 19/06/2006, allorché afferma:

Ciò premesso, per quanto riguarda l’operatività delle anzidette disposizioni, con riguardo all’attività istruttoria in  questione, resta inteso che, in via di principio6, le potestà di cui ai numeri 2) e 7) trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo.

E ’indubbio, però, che le stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che la titolarità deirapporti come delle operazioni è “fittizia o comunque è superata”, in relazionealle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità alcontribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione “bancaria” acquisita7  (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003).

L’intestazione fittizia, in sostanza, si manifesta tutte le volte in cui gli uffici rilevino nel corso dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risultano averne la titolarità, in realtà sono da imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento all’attività svolta”.

A giudizio dello scrivente la stessa Circolare pare  non lasciare dubbi in merito all’onere probatorio che l’Amministrazione finanziaria deve assolvere circa la riferibilità degli accertamenti bancari al soggetto accertato allorché afferma:

”… a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni e’ “fittizia o comunque è superata”, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione “bancaria” acquisita”.

Per concludere, si deve ritenere che la dimostrazione della fittizietà soggettiva dei conti bancari debba necessariamente passare per elementi esterni, sia al conto stesso (ammontare incongruente rispetto al reddito dichiarato dal soggetto intestatario) sia al rapporto che lega il titolare del conto col soggetto accertato (familiare, amicale e/o commerciale)

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Avv.  Maria  Leo

19 Febbraio 2009

NOTE

1 Si ritiene che tale orientamento sia consolidato giacché anche nelle sentenze in cui tale principio non è affermato espressamente comunque se ne afferma la valenza (Cass. 02/03/1999, n. 1728, Cass. 01/03/2002, n. 2980, Cass. 07/11/2005, n.21580, Cass., 15/07/2008, n. 19362).

In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

3 Art. 32, co. 1, n. 7, D.P.R. 600/73 e art. 51, co. 2, n. 7, D.P.R 633/72, così come modificati dalla L. 311/2004 (Fin 2005).

4 Presunzioni che riconoscono al contribuente la possibilità di dimostrare il contrario rispetto a quanto posto dal legislatore.

5 Circ Agenzia Entrate del 19/10/2006, n. 32: “A tal proposito, allo specifico fine dell’utilizzo delle speciali presunzioni legali delineate dai citati numeri 2) si ricorda che la vigente prassi non prevede l’obbligo di interpellare preventivamente il soggetto che abbia la titolarità formale dei “conti” oggetto di indagine, essendo prevista soltanto la possibilità di interpello preventivo nei confronti del contribuente sottoposto a controllo. Ovviamente, anche se l’ufficio è tenuto a fornire la prova che i movimenti “bancari” risultanti da detti “conti”, formalmente intestati al terzo, siano in realtà attribuibili al contribuente stesso, ove il particolare tipo di accertamento richieda il coinvolgimento dello soggetto interposto, nulla impedisce al predetto ufficio di rivolgersi anche a quest’ultimo mediante apposita procedura autorizzatoria, e, al limite, ai sensi dei numeri 4 e 8-bis dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973”.

6  Sottolineatura dello scrivente.

7 Sottolineatura dello scrivente.

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