Accertamenti immobiliari: eliminazione del criterio del valore normale – valori OMI

Il valore normale si pone, nell’ambito delle attività di accertamento tributario, come un criterio utile a superare il dato formale delle somme dichiarate in atto, ai fini della contestazione di un maggior valore della transazione immobiliare…

In tema di accertamenti immobiliari, affrontiamo i seguenti aspetti:

  • Aspetti generali,
  • L’accertamento in base al valore normale,
  • Il parallelismo con l’imposta di registro,
  • Mutui e finanziamenti,
  • Il valore normale: nozione e individuazione ai fini dei redditi ed ai fini dell’IVA
  • I valori OMI, La Direttiva 2006/69/CE,
  • Le «denunce» dell’ADC, Considerazioni,
  • La norma comunitaria prevalente, Inapplicabilità di deroghe comunitarie,
  • Gli orientamenti della Corte di Giustizia,
  • La modifica normativa del 2009,
  • Ultimi orientamenti (Fabio Carrirolo, docente presso la Scuola Superiore di Economia e Finanza)

 

Cosa si intende per valore normale degli immobili

valore normale di un immobileIl valore normale si pone, nell’ambito delle attività di accertamento tributario, come un criterio utile a superare il dato formale delle somme dichiarate in atto, ai fini della contestazione di un maggior valore della transazione immobiliare.

Si tratta, nella sostanza, del valore di mercato del bene, il che comporta tutte le difficoltà connesse alla sua individuazione, laddove – come nel caso del mercato immobiliare – non esistono «tariffe» certe e fisse, e anche il mero gradimento del potenziale acquirente può condurre a negoziazioni differenti e «personalizzate».

La possibilità di utilizzare tale criterio in sede di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA ha rappresentato una delle novità del D.L. 4.7.2006, n. 223, convertito dalla legge 4.8.2006, n. 248. A seguito di una presa di posizione della Commissione europea, ma certamente anche venendo incontro alle problematiche di un settore immobiliare in affanno, la legge Comunitaria 2008 nuovamente modificato i testi normativi di riferimento.

 

L’accertamento in base al valore normale

accertamento fiscale in base al valore normale dell'immobileIl criterio del valore normale è divenuto utilizzabile ai fini delle rettifiche dei redditi e della base imponibile IVA con decorrenza dal 4.7.2006, per effetto delle seguenti integrazioni normative apportate dal D.L. 223/2006:

– art. 35, secondo comma, D.L. 223/2006, modificativo dell’art. 54, D.P.R. 633/1972: relativamente alle cessioni di beni immobili e relative pertinenze – la prova che legittima gli uffici a procedere alla rettifica può essere integrata anche quando l’esistenza delle operazioni imponibili, o l’inesattezza delle indicazioni riportate nelle dichiarazioni annuali, sono desumibili sulla base del valore normale dei beni immobili e relative pertinenze oggetto delle operazioni di transazione;

– art. 35, terzo comma, del decreto, modificativo dell’art. 39, primo comma, D.P.R. 600/1973: al fine di agevolare l’Amministrazione in sede di accertamento; per effetto dell’integrazione normativa, limitatamente alle cessioni aventi ad oggetto beni immobili (ovvero alla costituzione o al trasferimento di diritti reali di godimento su tali beni), gli uffici possono ritenere provata l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, oltre che in presenza di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, anche nei casi in cui l’infedeltà dei relativi ricavi sia desumibile dal valore normale dei beni immobili oggetto di transazione;

– art. 35, quarto comma, che ha abrogato l’art. 15, D.L. 23.2.1995, n. 41, convertito con modificazioni dalla L. 22.3.1995, n. 85.
La norma abrogata inibiva le rettifiche IVA se il corrispettivo della cessione immobiliare era indicato in misura non inferiore al valore catastale, salvo che da un atto o un documento risultasse un corrispettivo di valore superiore a quello dichiarato dal contribuente.

 

Il parallelismo con l’imposta di registro

Nel biennio 2006/2007, la normativa tributaria si è orientata verso il settore immobiliare «a tutto campo», in quanto in tale ambito si erano registrati notevoli incrementi di valore dei cespiti e operazioni speculative non sempre manifestate al Fisco in modo veritiero; si è anzi trattato di uno «spiegamento di forze» che ha coinvolto sia la normativa (con nuovi adempimenti e nuovi poteri attribuiti agli uffici, sia per i comparti IVA e imposte sui redditi, sia relativamente alle imposte indirette non-IVA), sia le linee-guida dell’attività di controllo.

Ecco quindi che la transazione immobiliare diveniva l’alveo di una possibile situazione «evasiva» riferibile al cedente (imprenditore o persona fisica al di fuori dell’attività d’impresa), ovvero al cessionario, sia ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, sia relativamente all’imposta di registro (e alle imposte ipo-catastali) dovute dalla parte acquirente1.

Con l’art. 35, comma 23-ter, D.L. 223/2006, è stato infatti integrato l’art. 52, D.P.R. 26.4.1986, n. 131, mediante l’inserimento del nuovo comma 5-bis, a norma del quale «le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni».

La preclusione alla potestà accertativa degli uffici non si applica, quindi, alle cessioni diverse da quelle che intervengono fra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze2.

Per effetto della rimozione del predetto limite alla potestà di rettifica, agli atti da ultimo richiamati sono tornate applicabili le disposizioni generali enunciate all’art. 52, primo comma,
D.P.R. n. 131/1986, che consentono all’ufficio di rettificare il valore dichiarato sulla base del «valore venale in comune commercio» dell’immobile.

 

Mutui e finanziamenti

L’art. 35, comma 23-bis, D.L. 223/2006, come inserito dalla legge di conversione, ha introdotto anche una presunzione nella determinazione del valore normale ai fini di cui all’art. 54, terzo comma, D.P.R. 633/1972. Infatti, nella particolare ipotesi di trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, il «valore normale» – che veniva a rappresentare il parametro di riferimento per l’eventuale rettifica della dichiarazione – non può comunque essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato.

 

Il valore normale: nozione e individuazione

Il valore normale si presenta come un sistema per la determinazione dei corrispettivi fondato sulla
«registrazione» dei valori consueti delle transazioni che avvengono in normali condizioni di mercato, tra soggetti indipendenti. Tale concetto non sembra differenziarsi molto, a livello generale, in ragione del settore impositivo (IVA o imposte sui redditi).

 

Valore normale e imposte sui redditi

Nel settore delle imposte sui redditi, la nozione di valore normale si ricava dall’art. 9, terzo comma, D.P.R. n. 917/1986, ove è affermato che si tratta – salvo quanto stabilito nel quarto comma per azioni, obbligazioni e altri titoli – del prezzo o del corrispettivo

«…mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi».

È altresì stabilito che

«per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».

 

Valore normale ed IVA

Relativamente all’IVA, invece, l’art. 14, terzo comma, D.P.R. n. 633/1972, dispone che «per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi».

Il successivo quarto comma stabilisce – in termini del tutto analoghi a quanto previsto per le imposte sui redditi – che «per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della Camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa».

 

I valori OMI

Già prima dell’emanazione del provvedimento direttoriale del 2007, trattandosi di immobili, il miglior mezzo per giungere (anche se in via necessariamente approssimata) all’individuazione del
«valore normale», sembrava quello fondato sui «report» di banche dati ufficiali, come – ad esempio – quella dell’osservatorio immobiliare dell’Agenzia del Territorio3.

A tale riguardo, giova sottolineare che i valori di mercato nell’ambito delle transazioni immobiliari sono spesso volatili, aleatori, legati a circostanze imponderabili (come la maggior o minor «gradevolezza» di un immobile specifico, dalle cui finestre si gode una vista migliore rispetto a quella dell’appartamento adiacente, i problemi di liquidità e di accesso al credito per l’acquirente, la sua età, etc.).

A proposito della determinazione del valore normale, va evidenziato che l’art. 1, comma 307, L. 27.12.2006, n. 296, ha previsto la periodica emanazione di provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle Entrate recanti criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati. In attuazione di tale norma, è stato emanato, per l’individuazione del valore normale ai fini dei controlli riferiti alle imposte sui redditi, all’IVA e all’imposta di registro, il provvedimento direttoriale del 27.7.2007.

Come era nelle premesse, esso ha attribuito fondamentale importanza alle quotazioni effettuate dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) presso l’Agenzia del Territorio.

 

La Direttiva 2006/69/CE

Nel modificare l’allora ancora vigente sesta direttiva, la direttiva comunitaria 2006/69/CE ha ribadito, a livello comunitario, il principio in base al quale l’adozione del valore normale quale criterio per la rettifica della base imponibile IVA, in quanto derogatorio rispetto al metodo ordinario (ossia al principio del corrispettivo fissato dalle parti nelle negoziazioni), deve seguire regole tassative, limitate e proporzionali.

È tuttavia ammesso il ricorso al criterio del valore normale per la determinazione della base imponibile IVA di tutte le transazioni che si realizzano tra soggetti collegati. In tale prospettiva, la previsione comunitaria ha introdotto tra i principi dell’ordinamento europeo e, di riflesso, negli ordinamenti degli Stati membri, una nozione di prezzo di trasferimento IVA applicabile sia nei rapporti internazionali, sia nelle transazioni che hanno luogo all’interno del singolo Stato.

La direttiva ha fornito una nozione di valore normale che, pur ricalcando i principi già fissati a livello nazionale dall’art. 14 del decreto IVA, ha risolto il problema della determinazione del valore di beni o servizi in cui non è possibile, anche relazionandosi a beni similari, ricostruire l’effettivo valore di riferimento: in tale ipotesi, infatti, il valore normale fa riferimento al costo di produzione o al prezzo di acquisto.

 

Le «denunce» dell’Associazione dei Dottori Commercialisti 

Nell’ambito di una «denuncia» inoltrata agli Organismi comunitari, l’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano (ADC) ha esaminato la normativa nazionale in relazione all’impiego del criterio del valore normale nelle cessioni immobiliari, comparandola con le disposizioni comunitarie e con i principi della sesta direttiva (nonché della recente direttiva di «rifusione» 2006/112/CE), dal Trattato UE e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

L’ADC ha chiesto alla Commissione CE, qualora reputasse fondate le segnalazioni inoltrate, di avviare il procedimento previsto dall’art. 226 del Trattato CE per ottenere che lo Stato italiano si conformi al diritto comunitario (cfr.: sito internet www.adcmi.it). In particolare, la «denuncia» evidenziava che, secondo l’interpretazione ufficiale, le disposizioni segnalate erano relative al procedimento di accertamento e pertanto – poiché di natura procedimentale – avevano carattere retroattivo.

Inoltre, relativamente alla questione del valore normale «minimo», che non poteva essere inferiore alla somma ottenuta a titolo di finanziamento bancario, l’ADC richiamava una pronuncia dell’Agenzia delle Entrate – la risoluzione n. 122 del 2007 – nella quale era stato valorizzato anche l’impiego di parte di tale somma a copertura dei costi di ristrutturazione dell’immobile.

 

Considerazioni

Alla luce delle nuove facoltà normativamente introdotte, come era stato esplicitato nella circolare n. 28/E del 4.8.2006 (par. 2), gli uffici finanziari potevano rettificare direttamente il reddito d’impresa tenendo conto del valore normale dei beni immobili ceduti qualora questo fosse risultato superiore al corrispettivo dichiarato, senza dover preventivamente dimostrare, ad esempio, l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione, ovvero l’irregolare tenuta delle scritture contabili ai sensi del secondo comma del medesimo art. 39 (che abilita l’ufficio all’accertamento induttivo).

Sotto il profilo oggettivo, nonostante il dato letterale dell’art. 39, primo comma, lettera d) del D.P.R. n. 600/1973 faccia riferimento ai «ricavi», si era ritenuta applicabile la novella legislativa con riferimento alla cessione degli immobili dell’impresa indipendentemente dalla circostanza che si fosse trattato di «immobili merce» (suscettibili di generare ricavi) o di immobili dalla cui cessione emergessero plusvalenze4.

Per l’IVA, operava altresì a favore del Fisco una «prova» – rappresentata dal valore normale dell’immobile – che abilitava l’Amministrazione a rettificare la dichiarazione annuale anche in assenza delle circostanze indicate dall’art. 54, terzo comma, del D.P.R. n. 633/19725.

La nuova ipotesi di «prova legale», evidentemente, si poneva quale deroga al criterio ordinario che, in campo IVA, individuava la base imponibile nel corrispettivo dovuto, e non nel valore dello stesso.

La norma comunitaria prevalente sul valore normale

Secondo l’ADC, la cessione immobiliare rientrava nell’ambito del normale sistema impositivo IVA, attualmente incardinato sulla direttiva 2006/112/CE (che ha sostituito la sesta direttiva).

La facoltà, per gli Stati membri, di applicare l’imposta al valore normale dei beni oggetto di cessione – ai sensi dell’art. 80, paragrafo 1, della nuova direttiva del 2006 (che ha recepito l’art. 11, parte A, paragrafo 6, secondo comma, della sesta direttiva), risulta strettamente subordinata alla seguente duplice condizione:

  • esistenza di legami familiari o di altri stretti vincoli personali, gestionali, associativi, di proprietà, finanziari o giuridici, tra i cedenti e i destinatari;
  • uno dei due predetti soggetti deve trovarsi in situazioni di «pro-rata», o in altra situazione limitativa delle detrazioni dell’IVA, alterabile con la fissazione di un corrispettivo artatamente dimensionato a vantaggio di una delle parti.
  • La «deroga» ai principi generali, con tassazione al valore normale, risulta inoltre condizionata dall’obbligo di darne idonea informazione al «comitato IVA».
  • Infine, secondo l’ADC, contrasterebbe con il principio di proporzionalità l’eccessivo onere posto a carico:
    • del venditore, normalmente impossibilitato a fornire una prova contraria, relativamente all’ipotesi del fnanziamento in parte destinato a lavori di ristrutturazione;
    • dell’acquirente, che non potrebbe destinare tutta o parte della maggiore somma erogatagli, a fronte delle già previste ristrutturazioni, in un momento successivo all’acquisto dell’immobile.

 

Inapplicabilità di deroghe comunitarie

Come già rilevato dall’ADC in altre «denunce» riferite a norme italiane (asseritamente) confliggenti con l’ordinamento comunitario, secondo l’art. 29 della sesta direttiva, e l’art. 398 della direttiva  2006/112/CE, la possibilità di deroghe al diritto alla detrazione per beni d’investimento e altri beni, esclusivamente per motivi congiunturali, è ammessa ma subordinata alla previa consultazione del comitato consultivo IVA.

L’ADC rilevava che il Governo italiano non aveva richiesto ed ottenuto l’autorizzazione ad introdurre misure derogatorie, ammesse comunque solamente in situazioni di necessità tese a semplificare la riscossione o ad evitare frodi o evasioni fiscali.

Inoltre, il rispetto del principio di proporzionalità avrebbe imposto la ricerca del minor pregiudizio possibile agli obiettivi ed ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria (in combinazione con gli ulteriori principi di neutralità fiscale e di non discriminazione).

La questione poteva allora risolversi rammentando che, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale espresso dalla sentenza della CGCE del 15.7.1964, in esito alla causa C-6/64 (Costa-Enel), il primato del diritto comunitario impone ai giudici e alle autorità amministrative nazionali di disapplicare le disposizioni dell’ordinamento interno in contrasto con le norme comunitarie.

 

Valore normale: orientamenti della Corte di Giustizia

Per rafforzare la propria tesi, l’Associazione «denunciante» richiamava alcune importanti pronunce della CGCE, di seguito brevemente riassunte:

– sentenza del 5.2.1981, in esito alla causa C-154/80, Soc. Cooperativa AardappelenBWA, ove è stato affermato che la base imponibile dell’IVA va ricondotta al corrispettivo realmente ricevuto, e non a un valore stimato, seppure secondo criteri oggettivi;

– sentenza del 23.11.1988, causa C-230/87, conforme alla precedente;

– sentenza del 27.3.1990, causa C-126/88, secondo la quale l’enunciato principio (base imponibile IVA = corrispettivo effettivamente ricevuto) risponde a una regola stabilita dall’art. 11, A, n. 1, lettera a), della sesta direttiva;

– sentenza del 9.7.1992, causa C-131/91, secondo la quale le disposizioni della sesta direttiva devono essere interpretate nel senso che esse ostano ad una normativa nazionale che istituisca una base imponibile minima dell’IVA diversa da quella in essa prevista;

– sentenza del 16.10.1997, Fillibeck, nella quale la Corte ha precisato che « … la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto a tal fine», e non da un valore stimato;

– sentenza del 29.3.2001, causa C–404/99, coerente con le precedenti sulla riconducibilità della base imponibile IVA al corrispettivo reale;

– sentenza del 20.1.2005, causa C-412/03, analoga alle precedenti, nella quale è stato altresì affermato che la sesta direttiva osta a una normativa nazionale che consideri quale prelievo di un bene o autoconsumo operazioni per le quali venga effettivamente versato un corrispettivo, anche se detto corrispettivo è inferiore al prezzo di costo del bene ceduto o del servizio fornito.

 

Considerazioni dell’ADC

Secondo la «denuncia» in esame, non poteva mettersi in discussione il principio secondo il quale il Fisco nazionale può rettificare la base imponibile della cessione se è acclarato, in modo certo e diretto, che il corrispettivo – pagato o da pagare – convenuto dai contraenti è superiore rispetto a quello reale. Ciò che veniva contestato, infatti, è la possibilità di applicare in sede di rettifica IVA il  criterio del valore normale, «costruito» su base presuntiva: tale facoltà concessa all’Amministrazione era infatti ritenuta « … gravemente illegittima sul piano comunitario», e « … contraddittoria su quello esegetico normativo nazionale».

La contraddizione, secondo l’ADC, sorgeva dal fatto

« … che il legislatore ha introdotto una vera e propria presunzione legale relativa (di maggiore imponibile) nell’ambito di un sistema generalizzato che dichiaratamente la rifiuta».

Inoltre, lo stesso valore normale – ordinariamente determinato in via presuntiva – trovava un vincolo verso il basso, perché non doveva essere inferiore all’ammontare del mutuo, con alcune rilevanti criticità in relazione alle spese per ristrutturazioni, come sopra esposto.

Inoltre, l’ADC rifiutava l’ipotesi della retroattività delle nuove norme e contestava il conflitto tra tutto l’impianto delle medesime e il principio di proporzionalità

« … che costituisce una delle pietre miliari su cui poggia la costruzione del diritto comunitario».

La prospettata lesione al diritto comunitario – oltre che del principio del legittimo affidamento – secondo l’Associazione, avrebbe imposto anche all’Amministrazione di disapplicare le confliggenti norme interne, alla luce degli «ultradecennali insegnamenti della Corte di Giustizia», e in particolare della sentenza del 22.6.1989, causa C-103/88, F.lli Costanzo:

« … gli organi dell’amministrazione pubblica (di uno Stato membro) – in tutta la sua estensione…….- sono tenuti ad applicare la norma comunitaria in caso di incompatibilità delle norme nazionali con disposizioni appartenenti al diritto comunitario».

 

La comunicazione della Commissione UE

Con una lettera di messa in mora inviata al Governo Italiano nel mese di giugno 2008, la Commissione Europea ha sollevato alcune critiche sui metodi italiani di calcolo dell’IVA sugli immobili, in relazione alla possibile illegittimità della norma inserita nel D.L. 223/2006 sulla rilevanza ai fini IVA del valore normale anziché del corrispettivo pattuito tra le parti. In particolare, è stato ravvisato dalla Commissione un possibile contrasto con gli artt. 70 e 73 della direttiva 2006/112/CE. Secondo il Commissario europeo per la Fiscalità, l’imposta dovrebbe infatti calcolarsi sull’ importo effettivamente ottenuto dal venditore e non sul valore stimato. Inoltre, i prezzi determinati dalle parti in un contesto di libera negoziazione sono spesso il frutto di peculiari condizioni oggettive e soggettive, divergenti rispetto agli indicatori statistici.

 

Valore normale: modifica normativa del 2009

L’intervento sulla legge comunitaria (proposta di modifica n. 16.0.2 al DDL n. 1078, allo stato approvata dalla Commissione Bilancio del Senato) comporta l’inserimento nella stessa di un nuovo art. 16-bis – rubricato «adeguamento comunitario di disposizioni tributarie» – , per effetto del quale:

– l’art. 54, terzo comma, del decreto IVA, è sostanzialmente riportato alla formulazione anteriore rispetto all’intervento normativo del 2006;

– analoga modifica è operata per l’art. 39, primo comma, D.P.R. n. 600/1973.

– Nella sostanza, si tratta dell’espunzione dell’ultimo periodo dei commi indicati, sulla base del quale, tra le altre modalità istruttorie, gli uffici tributari potevano adottare quella fondata sull’utilizzo, nell’ambito dell’accertamento / rettifica di tipo analitico-induttivo, del valore normale dei beni immobili.

Secondo la Nota di lettura n. 33 del gennaio 2009, resa disponibile sui siti Internet parlamentari, l’eliminazione delle disposizioni antielusive introdotte nel 2006, che consentono

« … un controllo più stringente dei dati dichiarati dai contribuenti», potrebbe riflettersi negativamente sul gettito tributario « … per effetto della minore capacità accertatrice da parte degli uffici, i cui accertamenti richiederanno un’attività più complessa».

 

Ultimi orientamenti dell’ADC: la Norma n. 174

Con la propria Norma di Comportamento n. 174, la medesima ADC, autrice della «denuncia» sopra menzionata, è nuovamente intervenuta relativamente alla piena legittimità in ambito IVA delle attività immobiliari di mera locazione, effettuate dalle imprese anche nei confronti di «parti correlate».

Tale problematica non è lontana da quella del possibile utilizzo del criterio del valore normale per le rettifiche dei valori imponibili, che come si è visto viene consentito agli Stati membri dell’UE, in particolare, in presenza di negoziazioni tra soggetti con legami familiari, associativi, gestionali, finanziari, giuridici, etc.

È stato a tale riguardo richiamato il concetto comunitario di «abuso», anche alla luce della clausola generale che è ritenuta operante in ambito comunitario e, di riflesso, nei singoli ordinamenti nazionali degli Stati membri, a proposito della quale viene spesso citata la sentenza «Halifax» (sentenza del 21.2.2006, nella causa C-255/02), insieme ad altre pronunce giurisprudenziali della CGCE.

Per quanto sopra evidenziato, l’ADC ha potuto affermare che, in assenza di comportamenti riconoscibili come «abusivi» sulla base delle indicazioni della Corte di Giustizia, una società che svolga l’attività di gestione di uno o più immobili dalla quale percepisca abitualmente affitti attivi anche se da parti ad essa correlate (altre società del gruppo di appartenenza, o soci delle stesse) si pone in ogni caso come soggetto passivo di imposta, svolgendo un’attività economica soggetta ad IVA e conservando il diritto alla detrazione. Al riguardo appare utile precisare che la sussistenza di pratiche abusive può essere individuabile solo nell’ambito delle operazioni compiute dal soggetto passivo e non anche con riferimento alla sua qualificazione giuridica soggettiva, sia essa individuale o societaria.

Sulla base della ricostruzione effettuata e delle considerazioni espresse, l’ADC afferma quindi che

«… deve (…) essere respinto qualsiasi tentativo di configurare, quale pratica abusiva, la costituzione di una forma societaria per lo svolgimento di attività commerciali, così come qualificate ai fini IVA. e, dunque, anche per lo svolgimento della mera attività di locazione di uno o più immobili».

In buona sostanza, ciò che viene sottolineato nella Norma n. 174 è che il sistema – di matrice comunitaria – di funzionamento dell’IVA richiede che la detrazione dell’imposta a monte sia riconosciuta in ogni caso, per tutti i soggetti passivi, purché non sussistano gli elementi (di preordinazione allo scopo illecito) caratteristici della frode.

A parere di chi scrive, sia l’eventuale divieto di detrazione, sia l’utilizzo in sede di accertamento del criterio del valore normale, si configurano come disposizioni anti-abuso: per esse devono quindi operare i principi comunitari, che relativamente alle problematiche elusive hanno ormai stabilito dei «paletti» dei quali non si può non tener conto. In tale prospettiva, ciò che rileva è soprattutto la conclamata finalizzazione dell’operazione posta in essere all’«abuso».

L’espunzione dall’ordinamento delle norme che consentivano la rettifica secondo il criterio del valore normale intende altresì, con tutta probabilità, ridurre gli elementi di «pericolo» fiscale insiti per i contribuenti nell’effettuazione di transazioni immobiliari del tutto chiare e con l’intero corrispettivo dichiarato, in un periodo in cui lo «sgonfiamento» della c.d. «bolla» speculativa rende quantomai insidiose le problematiche relative alla fissazione di prezzi medi standard (anche a causa della riduzione del numero delle compravendite), anche a fronte dell’attuale crisi economico- finanziaria internazionale6.

 

Leggi anche Soppresso l’accertamento basato sul valore normale nelle compravendite immobiliari

 

A cura di Fabio Carrirolo

 

NOTE

1 Inoltre, per l’acquirente, veniva a porsi la possibilità di considerare l’investimento immobiliare quale indice utilizzabile nell’ambito dell’accertamento sinteti

2 Per un commento sulla disposizione normativa in commento cfr. Fondazione Luca Pacioli, Documento n. 16 dell’8.9.2006 (par.5).

3 In senso conforme, cfr. la circolare dell’Agenzia delle Entrate 6.2.2007, n. 6/E.

4 Cfr, L. Miele, «Vendite immobiliari sorvegliate», Il Sole 24 Ore del 24.8.2006, pag. 24.

5 L’ufficio può rettificare la dichiarazione annuale, ai sensi dell’art. 54, D.P.R. 633/1972, se ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante. A tale scopo, può ordinariamente procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente, qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risultino in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, dalla documentazione specificatamente individuata dall’art. 54, terzo comma, del D.P.R. da ultimo citato (verbali, questionari e fatture, elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti).

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