Soppresso l’accertamento basato sul valore normale nelle compravendite immobiliari

E stata abrogata la possibilità di accertamento in base al valore normale degli immobili: alcune prospettive…

La normativa che disciplina le imposte dirette delle compravendite immobiliari è stata oggetto di modifiche da parte della Legge Comunitaria 2008 (Legge 88/2009)

Secondo la regolamentazione vigente prima delle modifica, nelle compravendite immobiliari il criterio del valore normale poteva essere adottato come presunzione legale relativa nell’ambito degli accertamenti e delle rettifiche di tipo analitico-induttivo ex art. 39, D.P.R. 29.9.1973, n. 600 e art. 54, c. 3, D.P.R. 26.10.1972, n. 633.

Con l’approvazione della Legge Comunitaria 2008 tale principio è stato eliminato e quindi l’accertamento potrà essere effettuato solo sulla base di elementi certi e non induttivamente con riferimento ai prezzi di mercato ed ai parametri che vengono fissati dall’Osservatorio del mercato immobiliare.

 

Il criterio del valore normale – Premessa

valore normale di un immobileLa legge Comunitaria 2008 approvata definitivamente dal Parlamento il 24 giugno 2009 introduce alcune misure fiscali, molte delle quali volte a riformare il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 introduttivo dell’imposta sul valore aggiunto in Italia.

Particolare importanza presentano le modifiche alla disciplina in tema di accertamenti, agli effetti dell’IVA e delle imposte sul reddito, introdotte dall’art. 24 della legge Comunitaria 2008 con riferimento agli accertamenti conseguenti a controlli effettuati dall’Amministrazione finanziaria sulle cessioni aventi a oggetto beni immobili.

L’art. 24 della legge Comunitaria elimina la disposizione contenuta nell’art. 54, terzo comma, del d.p.r. n. 633, secondo cui, per le cessioni di immobili, la prova della infedeltà della dichiarazione 

annuale si intende raggiunta da parte dell’ufficio anche se l’esistenza delle operazioni imponibili per un ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione “sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’art. 14 del presente decreto”.

Correlativamente, l’art. 24 elimina anche la disposizione contenuta nell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.p.r. n. 600 del 1973, secondo cui, in presenza di tali cessioni, la prova dell’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate s’intende integrata “se l’infedeltà dei relativi ricavi viene desunta sulla base del valore normale dei predetti beni”; valore questo che, trattandosi di imposte sul reddito, è determinato ai sensi dell’art. 9, comma 3, del TUIR.

Tali disposizioni furono introdotte nell’ambito di interventi tesi a contrastare l’evasione tributaria nel settore immobiliare e, in particolare, nel quadro delle misure dirette ad ampliare le possibilità per gli uffici di contestare le indicazioni riportate negli atti di trasferimento di beni immobili relative ai loro valori.

Al fine di comprendere meglio le novità introdotte vediamo cosa prevedeva la disciplina vigente prima delle modifiche.

 

La disciplina ante Legge Comunitaria 2008

Con decorrenza dal 4.7.2006, il D.L. 223/2006 aveva consentito l’impiego in sede di accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva del criterio del valore normale.

 

Imposte dirette

Per quanto riguarda le imposte dirette l’art. 35, c. 3, del decreto 223/2006 aveva modificato l’art. 39, c. 1, D.P.R. 29.9.1973, n. 600 prevedendo nell’ultimo periodo che:

“Per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’infedeltà dei relativi ricavi viene desunta sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”

 

Per effetto dell’integrazione normativa, limitatamente alle cessioni aventi ad oggetto beni immobili (ovvero alla costituzione o al trasferimento di diritti reali di godimento su tali beni), gli Uffici potevano ritenere provata l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, oltre che in presenza di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, anche nei casi in cui l’infedeltà dei relativi ricavi sia desumibile dal valore normale dei beni immobili oggetto di transazione.

In altre parole in sede di accertamento di una cessione immobiliare la circostanza di un valore normale dell’immobile superiore al corrispettivo dichiarato dalle parti (nel rogito) costituiva per l’Ufficio una presunzione legale di emersione di imponibile non dichiarato.

 

La suddetta presunzione legale (relativa) comportava:

  1. la possibilità per l’Ufficio di effettuare automaticamente la rettifica del reddito dichiarato senza ulteriori oneri probatori;
  2. il passaggio dell’onere della prova dall’Ufficio al contribuente accertato (il cedente).

Il contribuente/cedente soggetto ad accertamento sulla base del valore normale poteva “tentare” di vincere l’onere della prova:

 dimostrando una errata applicazione, da parte dell’Ufficio, della procedura di calcolo del valore normale;

 producendo elementi oggettivi di prova (ad esempio, stato di conservazione, ubicazione in zona economicamente depressa) atti a dimostrare che il valore effettivo dell’immobile era di fatto inferiore al valore normale calcolato.

 

Iva

Relativamente all’Iva il D.L. 223/2006 all’art. 35

  • comma 2 aveva inserito, dopo l’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 54, D.P.R. 633/1972, il seguente: “Per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al secondo comma sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’articolo 14 del presente decreto”;
  • comma 4 aveva espressamente abrogato l’art. 15, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41. La norma abrogata inibiva le rettifiche Iva se il corrispettivo della cessione immobiliare era indicato in misura non inferiore al valore catastale, salvo che da un atto o un documento risultasse un corrispettivo di valore superiore a quello dichiarato dal contribuente;
  • comma 23 – bis aveva introdotto una presunzione nella determinazione del valore normale ai fini di cui all’art. 54 c. 3, D.P.R. 633/1972. Secondo la norma introdotta, nella particolare ipotesi di trasferimenti immobiliari soggetti ad Iva finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, il “valore normale” che veniva a rappresentare il parametro di riferimento per l’eventuale rettifica della dichiarazione non poteva comunque essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato.

 

La suddetta (previgente) disciplina dell’accertamento comportava:

  • per l’Ufficio la possibilità di rettificare la dichiarazione IVA annuale, nel momento in cui l’operazione evidenziava un valore normale superiore al corrispettivo e/o l’importo del mutuo erogato all’acquirente superiore al corrispettivo dell’immobile oggetto della compravendita;
  • per il contribuente, l’impossibilità di invocare come difesa, nei confronti della rettifica dell’Ufficio, la circostanza di un corrispettivo dichiarato superiore al valore catastale dell’immobile.

 

La determinazione del valore normale

Secondo la normativa introdotta dal D.L. 223/2006 per valore normale dei beni si intendeva l prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o in quelli più prossimi.

Al riguardo va evidenziato che l’art. 1, c. 307, L. 27.12.2006 (Finanziaria 2007), n. 296 aveva previsto la periodica emanazione di Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate recanti criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati.

In attuazione di tale norma, è stato emanato, per l’individuazione del valore normale ai fini dei controlli riferiti alle imposte sui redditi, all’Iva e all’imposta di registro, il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 27.7.2007.

Come era nelle premesse, esso aveva attribuito fondamentale importanza alle quotazioni effettuate dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) presso l’Agenzia del Territorio.

In sostanza, tali disposizioni consentivano agli uffici di effettuare accertamenti in rettifica delle dichiarazioni annuali quando rilevassero che i corrispettivi fatturati per cessioni di beni immobili erano inferiori ai valori degli immobili oggetto dell’operazione; valori da determinare – a norma dell’art. 14 del d.p.r. n. 633 e dell’art. 9 del TUIR (norme dal contenuto coincidente) – con riferimento al

“prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi”.

 

Critiche mosse nei confronti della nuova disciplina sul valore normale

Le norme introdotte dal decreto-legge n. 223 presentavano ambiguità che rendevano incerto il loro effettivo ambito di applicazione: infatti, a una disciplina sostanziale dei tributi considerati che disponeva – e dispone tuttora – determinati criteri di determinazione degli imponibile fondati sui corrispettivi delle cessioni, si contrapponeva una disciplina sugli accertamenti che consentiva all’Amministrazione finanziaria di fondare un accertamento su un elemento, il valore normale, estraneo alla disciplina sostanziale.

Il problema più grave derivante da tale normativa riguardava il settore dell’IVA, dubitandosi, fondatamente, della sua compatibilità con la normativa comunitaria di riferimento (direttiva n. 2006/112/CE del 2006), che impone di assumere come imponibile, come più volte ricordato, i corrispettivi dovuti e non, quindi, il valore dei beni ceduti.

Dalla sua collocazione fra le disposizioni in materia di accertamento doveva escludersi che la nuova formulazione dell’art. 54 del d.p.r. n. 633 del 1972 comportasse una modifica della disciplina sostanziale del tributo, con riferimento, in particolare, ai criteri di determinazione dell’imponibile.

L’inserimento della disposizione sui valori degli immobili oggetto di cessione fra le norme di natura procedimentale portava, piuttosto, a ritenere che essa introducesse una presunzione legale tesa a stabilire l’ammontare effettivo dei corrispettivi dovuti per le cessioni in questione, ma non comportasse una diversa disciplina sostanziale del tributo, con riferimento ai criteri di determinazione dell’imponibile. Tale conclusione era avvalorata dalla disposizione transitoria, contenuta nell’art. 1, comma 265, della legge n. 244 del 2007, che definiva espressamente la norma in esame come “presunzione”, precisando che per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 la presunzione posta dalla norma in esame valeva come presunzione semplice.

Si trattava, comunque, di una presunzione alquanto anomala: secondo l’art. 2727 del codice civile, infatti, le presunzioni sono le conseguenze che la legge trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto. Nella specie, invece, si consentiva agli uffici di provare che i corrispettivi fatturati erano 

inferiori a quelli effettivamente pattuiti attraverso un processo logico deduttivo basato sull’assunto, invero opinabile, che il venditore non sarebbe disposto a cedere il bene ad un prezzo inferiore a quello definito come “normale”; valore che però difficilmente può considerarsi come un “fatto noto”, trattandosi di un dato suscettibile di valutazione.

Proprio l’assunzione come parametro per l’accertamento di un dato non oggettivo, svincolato dal corrispettivo dovuto, portava a ritenere che la norma – anche se appariva formalmente come norma procedimentale, che in quanto tale non modificava i criteri di determinazione dell’IVA fondati sul corrispettivo – finiva per avere una valenza sostanziale introducendo un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente; prova che difficilmente poteva essere fornita trattandosi di dimostrare un fatto “in negativo”.

Tale situazione, nella maggior parte dei casi, avrebbe avuto, quindi, come risultato concreto, quello di ancorare il corrispettivo dovuto dall’acquirente al valore normale del bene accertato dall’ufficio.

Tali effetti erano estranei al sistema comune dell’IVA e in proposito erano state avviate iniziative volte a far rilevare tale contrasto in sede comunitaria. Ciò era avvalorato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia che è stata sempre costante nel sostenere che “la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto a tale titolo”. Corrispettivo che deve essere quello “realmente percepito in ogni caso concreto, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi”.

 

Osservazioni dell’Adc

In particolare l’Associazione dei Dottori commercialisti di Milano aveva esaminato la normativa nazionale in relazione all’utilizzo del criterio del valore normale nelle cessioni immobiliari, comparandola con le disposizioni comunitarie e con i principi promananti dalla Sesta direttiva del Consiglio 17.5.1977, 77/388/CEE (nonché dalla recente direttiva di “rifusione” del Consiglio 28.11.2006, 2006/112/CE), dal Trattato Ue e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue.

L’Adc sosteneva che:

 la possibilità di commisurazione al valore normale della base imponibile è prevista dall’art. 80, Direttiva Iva ma solo nei casi indicati nella norma e riguardanti soggetti legati fra loro da particolari vincoli individuati dalla norma comunitaria e connotati da situazioni di pro-rata, strumentalmente alterabili da una delle parti;

 la teorica possibilità, di taluna delle parti contraenti, di produrre prova contraria si traduce, sul piano concreto, in una pratica impossibilità di far valere il corrispettivo effettivamente pattuito e ciò “in totale spregio del principio di proporzionalità il quale vieta di porre a carico del contribuente oneri (prova contraria) il cui assolvimento si rivela particolarmente difficoltoso”.

L’Adc sulla base di tali elementi aveva chiesto alla Commissione Ue, qualora reputasse fondate le segnalazioni inoltrate, di avviare il procedimento previsto dall’art. 226 del Trattato Ce per ottenere che lo Stato italiano si conformi al diritto comunitario.

Con una lettera di messa in mora inviata al Governo italiano nel mese di giugno 2008, la Commissione europea ha sollevato alcune critiche sui metodi italiani di calcolo dell’Iva sugli immobili, in relazione alla possibile illegittimità della norma inserita nel D.L. 223/2006 sulla rilevanza ai fini Iva del valore normale anziché del corrispettivo pattuito tra le parti.

 

 

Legge Comunitaria 2008 e accertamento a valore normale

Come si è detto, il Legislatore con la Legge Comunitaria 2008 ritenendo, evidentemente, più che fondati i dubbi di compatibilità della normativa interna con quella comunitaria in materia di Iva, ha operato un radicale intervento, rimuovendo dall’ordinamento le disposizioni in materia di accertamento a valore normale.

In particolare:

  • con la riformulazione dell’art. 54, co. 3, D.P.R. 633/1972, il legislatore ha abrogato, ai fini Iva, le disposizioni di accertamento presuntivo basato sul valore normale nelle transazioni immobiliari;
  •  riscrivendo anche il co. 1, art. 39, D.P.R. 600/1973 è stato abrogato anche per le imposte dirette l’accertamento basato sul valore normale nelle compravendite immobiliari.

 

In altre parole la Legge n. 88/2009 (Legge Comunitaria 2008) ha “cancellato” ciò che era stato “aggiunto” dal citato DL n. 223/2006.

Vengono pertanto eliminati i sopra illustrati ultimi periodi degli artt. 54, comma 3, DPR n. 633/72, e 39, comma 1, lett. d), DPR n. 600/73 che come visto, nelle cessioni immobiliari, “fornivano” all’Ufficio, in sede di accertamento, attraverso il meccanismo del “valore normale” sulla base delle quotazioni OMI, la presunzione legale (relativa) di un imponibile corrispondente al maggior “valore normale”.

 

 

Nuovi criteri negli accertamenti immobiliari

accertamento fiscale in base al valore normale dell'immobileNel nuovo contesto, pertanto, appare corretto sostenere che gli Uffici non potranno più utilizzare il criterio del valore normale (e, quindi, in ultima analisi, i valori determinati sulla base degli Omi) per fondare, con tale unica motivazione, una rettifica della base imponibile Iva.

Dovrebbe, pertanto, essere incontestabile che, per il futuro, l’individuazione del valore normale, in entrambi gli ambiti impositivi, non potrà che servire da mero indizio di un possibile occultamento del corrispettivo e, dunque, non potrà che essere valutata alla stregua di una presunzione semplice, come tale inidonea a sostenere una rettifica, salvo che essa non sia dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, così come da ultimo delineati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 21 dicembre 2005, n. 28327).

Inoltre ora grazie all’intervento normativo di modifica l’onere della prova ritorna in capo all’Agenzia che dovrà pertanto dimostrare che i ricavi dichiarati derivanti dalle compravendite immobiliari siano inferiori a quelli realmente percepiti.

 

Mutuo contratto dall’acquirente

Per quanto riguarda inoltre la presunzione legale (relativa) fondata sul maggior importo rispetto al corrispettivo dell’immobile finanziato, tale presunzione legale dovrebbe venire meno visto che l’art. 35, comma 23-bis, DL n. 223/2006, richiama ora un dettato normativo non più vigente (“… l’ultimo periodo …” del citato art. 54, comma 3).

Anche in questo caso comunque la circostanza dell’importo del mutuo che finanzia l’acquisto dell’immobile, superiore al corrispettivo dichiarato potrà essere utilizzato dall’Ufficio in sede di accertamento soprattutto se rilevata con carattere sistematico e con importi significativi quale elemento per “comporre”, una “presunzione grave, precisa e concordante”.

 

Irrilevanza del valore catastale ai fini Iva

Va evidenziato che, anche dopo l’intervento della Legge n. 88/2009, permane l’impossibilità per il contribuente di invocare, ai fini IVA, come difesa nei confronti dell’accertamento dell’Ufficio la circostanza di un corrispettivo superiore al valore catastale dell’immobile.

Infatti, non è stata ripristinata la disposizione contenuta nel citato art. 15, DL n. 41/95.

 

Decorrenza ed effetti retroattivi

Le nuove disposizioni sono entrate in vigore dal 15.7.2009 e pertanto applicabili alle cessioni poste in essere da tale data.

Si tratta, però, di considerare gli effetti anche per gli atti emessi in passato.

Dovrà essere confermato, quindi, se le stesse, in base alla asserita natura procedimentale, possono trovare applicazione anche alle cessioni effettuate prima del 15.7.2009.

 

OSSERVA

Quando è entrata in vigore la norma sui valori Omi, l’Agenzia (circolare 11/E/2007) ha sostenuto che si trattava di disposizioni procedimentali e, quindi, retroattive. Ovviamente, lo stesso principio deve valere ora, per cui gli atti emanati, che considerano i valori Omi come presunzione legale e con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, dovranno essere annullati.
In caso di pendenza di giudizio, quindi, il giudice dovrebbe riconoscere la valenza retroattiva della norma.

 

Al riguardo si fa presente che la disposizione contenuta nell’art. 54 del d.p.r. n. 633 del 1972, è diretta ad eliminare dall’ordinamento nazionale una disposizione incompatibile con il sistema comune dell’IVA. Pertanto, essa dovrebbe essere applicata retroattivamente considerando la norma soppressa come non più operante nemmeno per gli accertamenti effettuati prima della soppressione.

In sostanza, la disposizione contenuta nella legge comunitaria non avrebbe fatto altro che eliminare dall’ordinamento una norma che, in assenza di tale intervento, avrebbe dovuto essere, comunque, disapplicata in quanto incompatibile con la normativa comunitaria.

Ne deriva che gli accertamenti già effettuati sulla base della rilevazione di un valore normale superiore al corrispettivo dovuto per la cessione di un immobile dovrebbero considerarsi illegittimamente emessi e, quindi, nulli, con il solo limite della definitività dell’accertamento derivante dalla sua mancata impugnazione nel termine di 60 giorni dalla notifica del relativo avviso, oppure per effetto di una sentenza che si sia pronunciata sulla legittimità dell’accertamento non più soggetta ad appello, né a ricorso per Cassazione.

Più delicato è il problema dell’efficacia nel tempo della soppressione della norma sul valore normale contenuta nell’art. 39 del d.p.r. n. 600 del 1973. L’argomento in base al quale si può sostenere la retroattività della soppressione dell’art. 54, a rigore, non potrebbe essere invocato a sostegno della retroattività della soppressione della corrispondente norma in materia di imposte sul reddito.

Non potrebbe escludersi, quindi, anche se le due disposizioni sono chiaramente coordinate, che accertamenti effettuati ai fini delle imposte sul reddito fondati sulla norma soppressa possano essere considerati legittimi.

In tale ottica, poiché si tratta di norma procedimentale, dovrebbe ritenersi che essa possa ancora essere posta a fondamento degli atti di accertamento notificati nel periodo della vigenza della norma stessa, e cioè dal 4 luglio 2006 al 29 luglio 2009.

 

30 novembre 2009

Antonio Gigliotti

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