Diritti sul marchio: il luogo di utilizzazione delle prestazioni

Una società italiana concede a una società statunitense i diritti di utilizzazione di un marchio: l’Agenzia delle Entrate si pronuncia sulla rilevanza ai fini dell’IVA della prestazione di servizi dedotta in contratto, alla luce del principio della territorialità.

Diritti di utilizzazione del marchio: premesse

La risoluzione n. 339/E del 1° agosto 2008 involge una serie di problematiche fiscali ed extrafiscali, rivolgendosi alla disamina di una fattispecie nella quale una società italiana concedeva a una società statunitense i diritti di utilizzazione di un marchio.

La questione principale sulla quale l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata riguardava, in particolare, la rilevanza ai fini dell’IVA della prestazione di servizi dedotta in contratto, alla luce del principio della territorialità.

La questione è di seguito esaminata premettendo qualche considerazione in ordine alle caratteristiche del marchio come cespite aziendale, nonché alle operazioni permutative in ambito IVA (problematica che è peraltro già stata esaminata in un recente intervento su questo Sito).

La circolazione del marchio

La circolazione del marchio registrato di interesse nazionale trova la propria disciplina puntuale di riferimento nell’art. 2573, c.c., oltre che nell’art. 15, R.D. 21.6.1942, n. 929 (c.d. «legge sul marchio»), e s.m.i.

Secondo le norme civilistiche, il marchio può essere liberamente trasferito, purché dal trasferimento non derivi un inganno in quei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico.

A norma del secondo comma dell’art. 2573, c.c., opera inoltre una presunzione, in base alla quale il diritto all’utilizzo esclusivo del marchio si considera trasferito insieme al complesso aziendale.

L’art. 15 del R.D. n. 929/1942, specifica le prescrizioni del c.c., prevedendo, tra l’altro, che il trasferimento del marchio può essere totale o parziale.

Le regole riguardanti la circolazione del marchio a livello comunitario si rinvengono invece negli artt. 17 e 22 del Regolamento del Consiglio n. 40/1994. Secondo tali disposizioni, il marchio comunitario può essere trasferito per la totalità o solo per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, mentre il trasferimento dell’azienda ne comporta il trasferimento, salvo che, conformemente alla normativa vigente, sia intercorsa tra le parti una pattuizione contraria, oppure le circostanze impongano il contrario.

Le previsioni del Codice della proprietà industriale

Il Codice della proprietà industriale, emanato con D.Lgs. 10.2.2005, n. 30, ha abrogato e sostituito la previgente disciplina introdotta dal D.Lgs. 4.12.1992, n. 480.

In particolare, secondo tale normativa:

–         i diritti di proprietà industriale si acquistano mediante brevettazione, mediante registrazione o negli altri modi previsti dal codice. La brevettazione e la registrazione danno luogo ai titoli di proprietà industriale (art. 2, primo comma);

–         in particolare, sono oggetto di registrazione i marchi, i disegni e modelli, le topografie dei prodotti a seminconduttori (art. 2, terzo comma);

–         ricevono protezione, ricorrendone i presupposti di legge, i segni distintivi diversi dal marchio registrato, le informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine (art. 2, quarto comma);

–         le facoltà esclusive attribuite al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della CE o dello Spazio economico europeo (art. 3, primo comma), ma detta limitazione dei poteri del titolare non si applica, con riferimento al marchio, se sussistono motivi legittimi perché il titolare medesimo si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare se lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio (art. 3, secondo comma);

–         possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese (art. 7, primo comma);

–         pur con determinate limitazioni, possono essere registrati come marchi anche i ritratti di persone, i nomi di persona, e i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi (art. 8, commi primo, secondo e terzo);

–         non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni esclusivamente costituiti dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto (art. 9);

–         gli stemmi e gli altri segni considerati nelle convenzioni internazionali o che rivestano un interesse pubblico non possono costituire oggetto di registrazione come marchio, a meno che l’autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione (art. 10, primo comma);

–         i soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi ed hanno la facoltà di concedere l’uso dei marchi stessi a produttori o commercianti (art. 11, primo comma).

L’Assonime si è pronunciata sul Codice della proprietà industriale con le circolari 8, 9 e 10 del 27 febbraio 2007 (1), richiamando il lavoro della Commissione UE – e della giurisprudenza comunitaria – sulle seguenti problematiche interpretative:

–         individuazione dei segni suscettibili di registrazione: per il Codice sono infatti registrabili i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, ma si profila anche la possibilità di ammettere marchi «non convenzionali» (sonori, olfattivi, etc.), purché idonei a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese

–         capacità distintiva del marchio;

–         secondary meaning (ossia acquisizione successiva da parte del marchio del carattere distintivo, originariamente non posseduto);

–         rischio di confusione e affinità, con attenzione particolare alla funzione del marchio di garantire al consumatore o all’utilizzatore l’identità di origine del prodotto o del servizio.

Il marchio nel contesto delle imposte sui redditi

Nell’ambito del patrimonio dell’impresa, il marchio costituisce un bene strumentale immateriale che, se iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale, va indicato alla voce B.I.4 (immobilizzazioni immateriali).

La cessione «autonoma» di tale cespite può produrre per il cedente una plusvalenza patrimoniale, a norma dell’art. 86 del TUIR.

Se invece tratta di una cessione del marchio inserita all’interno della complessiva cessione dell’azienda o del ramo d’azienda, il plusvalore concorre a formare un’unitaria plusvalenza da cessione d’azienda.

Per quanto attiene all’ammortamento del marchio in capo all’impresa cessionaria, occorre considerare che l’art. 37, comma 45, lettera b), del D.L. 4.7.2006, n. 223 (c.d. «Visco-Bersani»), convertito nella L. 4.8.2006, n. 248, ha ha aumentato da 10 a 18 gli esercizi entro i quali esso può avvenire: ai fini tributari, insomma, l’ammortamento non può essere annualmente superiore a 1/18 del costo (corrispondente al 5,56%) (2).

Il marchio: IVA e registro

A norma dell’art. 3, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633 del 1972, sia che la cessione avvenga a titolo definitivo, sia che si tratti di una concessione di licenza d’uso, essa configura un’operazione rilevante ai fini IVA.

L’eventuale registrazione degli atti medesimi presso gli uffici fiscali prevede quindi l’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 168,00 euro (3) (principio di alternatività IVA – registro).

Le operazioni permutative nell’IVA

Nel contesto dell’IVA, la nozione di «operazione permutativa», che differisce da quella civilistica di «permuta» (di cui all’art. 1552, c.c.) – contraddistinta dalla presenza di due cessioni di beni o diritti intesa l’una come il corrispettivo dell’altra – è incardinata nell’art. 11 del D.P.R. n. 633/1972, ove è stabilito che

«le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all’imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono effettuate (…)».

La nozione di operazione permutativa risulta così, in campo fiscale IVA, molto più ampia rispetto a quella valevole in ambito civilistico; infatti, l’operazione realizza un contratto di permuta vera e propria se in corrispettivo è prevista la cessione di un bene o di un servizio anziché di danaro; se il corrispettivo è invece costituito da una prestazione di fare o non fare si ha un contratto innominato del genere «do ut facies» (operazione di tipo permutativo).

In ogni caso, le operazioni sono distintamente soggette a imposta se entrambi i contraenti sono soggetti IVA. Anche se il contratto è unico, le operazioni permutative devono infatti essere considerate autonomamente. Per quanto attiene alla definizione della base imponibile, essa è individuata – dalla lettera d) del secondo comma dell’art. 13 – nel «valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse».

Il valore normale nell’IVA

Relativamente all’IVA, l’art. 14, co. 3, del D.P.R. 633/1972, dispone che «per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi».

Il successivo co. 4 stabilisce – in termini del tutto analoghi a quanto previsto per le imposte sui redditi – che «per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della Camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa».

Nella R.M. 21.12.1979, n. 363705, è stato precisato che «il valore normale, ai sensi dell’ art. 14 del medesimo D.P.R. n. 633, è costituito dal prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie al medesimo stadio di commercializzazione, prezzo che si individua in quello praticato nella fase di produzione, qualora i beni ceduti a titolo di sconto siano prodotti dallo stesso soggetto e in quello praticato nella fase all’ingrosso qualora i cennati beni siano stati acquistati presso altri operatori».

In epoca anteriore alle recenti modificazioni normative, l’eventuale azione accertativa degli uffici che rettificavano l’imponibile IVA sulla base del maggior valore di mercato del bene compravenduto rispetto al prezzo fatturato, trovava l’opposizione della giurisprudenza tributaria (4), secondo la quale la base imponibile era sempre quella risultante dalle fatture, anche in presenza di valori espressi inferiori a quelli di mercato; un’eventuale perizia disposta dall’ufficio che avesse accertato un valore venale dell’immobile compravenduto in misura superiore rispetto al corrispettivo pattuito dalle parti ed indicato in fattura, poteva quindi costituire solamente un indizio di parziale sottofatturazione, che però doveva essere provato dall’Amministrazione per fondarvi una rettifica della base imponibile dell’operazione (5).

Territorialità: le norme IVA di riferimento

Secondo l’art. 7, quarto comma, lett. d), del decreto IVA, si considerano effettuate nel territorio dello Stato – in presenza di alcune condizioni – determinate prestazioni di servizi, tra le quali figurano quelle indicate al numero 2) del secondo comma dell’art. 3 (cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore, nonché prestazioni relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, oltre alle cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti).

Dette prestazioni si ritengono, appunto, effettuate nel territorio dello Stato (e quindi in possesso del requisito della territorialità, che le rende imponibili ai fini dell’IVA) se sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero, nonché a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea.

La successiva lettera e) del comma in esame stabilisce che le medesime prestazioni di servizi, se rese a «non soggetti IVA» domiciliati o residenti in altri Stati membri della Comunità economica europea, si considerano effettuate nel territorio dello Stato.

Inoltre, la lettera f) aggiunge – con la previsione di alcune ipotesi di esclusione – che dette operazioni, se rese a soggetti domiciliati e residenti al di fuori della Comunità economica europea, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono ivi utilizzate.

Il caso esaminato dall’AdE

La risoluzione in commento discende dal quesito relativo alla situazione del CONI, il quale aveva affidato a una società (Coni Servizi S.p.a.) l’incarico di valorizzare e gestire i propri marchi attraverso lo sviluppo di un piano di marketing internazionale, anche avvalendosi di consulenti esterni.

La società aveva a tal fine stipulato, in nome e per conto del CONI, un contratto triennale con una società di diritto americano, («Alfa Inc.»), con il quale:

–        la «Coni Servizi» aveva concesso in esclusiva il diritto all’utilizzo dei marchi commerciali CONI denominativi e figurativi;

–        la «Alfa Inc.», licenziataria, si era impegnata a svolgere una serie di servizi finalizzati a potenziare la visibilità mondiale dei marchi CONI anche in concomitanza con eventi sportivi a carattere agonistico.

I servizi riguardavano, in dettaglio:

–        progetti integrati, relativi alla « … predisposizione e gestione del piano analitico marketing del Coni volto ad incrementare la notorietà del CONI anche attraverso una serie di attività di comunicazione integrata, ivi inclusa, a titolo esemplificativo, la realizzazione di prodotti video e progetti editoriali»;

–        progetto Casa Italia: tale attività comportava l’ideazione di una struttura da utilizzarsi in occasione di alcuni eventi sportivi quali le Olimpiadi di Pechino, i Giochi di Pescara e di Vancouver, comprendente al proprio interno cinque aree ideali, ognuna con una funzione specifica, e finalità promozionale dell’immagine del CONI e del made in Italy;

–        progetto Partner, relativo all’individuazione di soggetti idonei a svolgere funzioni di sponsorizzazione, con particolare riguardo all’abbigliamento sportivo;

–        progetto marchi CONI, relativo alla valorizzazione dei marchi CONI resa attraverso attività di merchandising e licensing (prevedendo, in particolare, la realizzazione di un catalogo dei prodotti recanti i marchi CONI, oltre all’effettuazione di studi di mercato e di monitoraggio dei risultati ottenuti).

A fronte della concessione della licenza d’uso dei marchi, le parti (CONI e Coni Servizi) hanno pattuito il riconoscimento in favore della società di un corrispettivo minimo garantito, oltre ad una quota aggiuntiva in caso di superamento di una soglia di ricavi prestabilita. A tale riguardo, l’istante chiedeva di conoscere se la prestazione consistente nella concessione dei diritti di utilizzazione dei propri marchi commerciali costituisse un’operazione rilevante ai fini dell’IVA.

Le indicazioni fornite dall’Agenzia Entate

Secondo quanto è stato osservato nella risoluzione, il contratto concedeva alla società americana l’uso esclusivo dei diritti sui marchi commerciali CONI, a fronte di un corrispettivo costituito in parte da denaro e in parte da beni e servizi. Detto contratto aveva quindi a oggetto delle operazioni permutative, le quali ai sensi dell’articolo 11 del D.P.R. n. 633 del 1972, sono operazioni autonome e indipendenti agli effetti dell’IVA; pertanto, ciascuna prestazione di servizi va considerata separatamente, verificando per ognuna di esse il requisito di territorialità.

A tale riguardo era precisato che, sotto il profilo tributario, le concessioni dei diritti di sfruttamento dei marchi aziendali costituiscono prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 3, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633 del 1972.

In quanto tali prestazioni sono rese nei confronti di un soggetto extracomunitario, esse erano fatte rientrare nella previsione dell’art. 7, quarto comma, lett. f), del decreto IVA, a norma del quale le prestazioni in parola si ritengono effettuate nel territorio dello Stato quando sono ivi utilizzate.

I criteri di individuazione della territorialità

Al fine di individuare la territorialità delle prestazioni di servizi in parola, secondo la risoluzione, occorreva verificare quale fosse il luogo di effettiva utilizzazione delle stesse (ossia dei diritti acquisiti dalla «Alfa»).

A tale riguardo, è stato affermato che lo sfruttamento economico effettuato dalla società americana «… si concretizza in sub-concessioni di licenza ad operatori di tutto il mondo interessati alla sponsorizzazione dei marchi CONI; i sub-licenziatari possono fregiarsi della qualifica di sponsor ufficiali del CONI in riferimento a diversi settori merceologici, utilizzare i marchi CONI e le immagini degli atleti italiani a fini commerciali, pubblicitari e promozionali, utilizzare i loghi del CONI per l’apposizione sui propri prodotti, affiancare il proprio marchio o logo a quello del CONI sul materiale promozionale utilizzato nell’ambito di una campagna di comunicazione».

Data la complessità delle obbligazioni e dei diritti discendenti dal contratto, la puntuale individuazione del luogo di utilizzo delle prestazioni non poteva prescindere da una ricognizione specifica dei fatti e delle circostanze concrete.

Utilizzazione in Italia?

Il regime tributario IVA delle prestazioni, che segue il criterio della territorialità, prevede che, a titolo esemplificativo, la prestazione resa da un soggetto nazionale a uno extra-UE, e non utilizzata in Italia, non rientri nella sfera del tributo, mentre nelle altre ipotesi l’operazione sarà soggetta ad imposta.

Se invece si tratta di prestazioni complesse e non scindibili, utilizzate sia al di fuori del territorio italiano sia in Italia, l’Agenzia ritiene – richiamando la R.M. n. prot. 470170 del 15.12.1990, che l’intero corrispettivo vada assoggettato al tributo, « … non essendo possibile estrinsecare dalla complessa prestazione la quota parte utilizzata in Italia».

Il committente extra-UE potrà comunque recuperare l’imposta assolta, previa nomina di un rappresentante fiscale, ai sensi dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Prestazioni di «Alfa» nei confronti del CONI

Le prestazioni di servizi rese dalla «Alfa» nei confronti del CONI, ai sensi del contratto stipulato, potevano rientrare, secondo l’Agenzia:

  • tra le prestazioni «generiche» (di cui al terzo comma dell’articolo 7 del decreto IVA);
  • tra le prestazioni «specifiche» (di cui al quarto comma della medesima disposizione).

Nella prima ipotesi (prestazioni generiche), esse, in quanto rese da un soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia, non si sarebbero potute considerare effettuate nel territorio dello Stato.

Se, invece, a dette prestazioni si fosse riconosciuto il carattere «specifico» (ascrivendole, in particolare, alla categoria della pubblicità/consulenza), esse si sarebbero potute considerare effettuate nel territorio dello Stato, in quanto rese a soggetti residenti.

Seguendo la prospettazione fatta dall’interpellante (necessariamente non approfondita in punto di fatto, in quanto operata in sede di interpello ex art. 11 della L. n. 212 del 2000, procedura che verte principalmente su questioni di diritto), la seconda soluzione è apparsa all’Agenzia più vicina alla situazione reale.

Tali servizi sono stati quindi ricondotti «… alle prestazioni in cui è prevalente il contenuto intellettuale e professionale, quali quelle pubblicitarie, di consulenza o di cessione, concessione e licenze di diritti immateriali», ossia entro le previsioni della lettera d) del quarto comma, con la conseguenza della loro imponibilità in Italia, a meno che non fossero utilizzate in ambito extra-UE.

A fronte di prestazioni complesse come sopra descritte, la «Coni Servizi» avrebbe dovuto emettere autofattura in relazione ai servizi descritti, territorialmente rilevanti in Italia ai sensi dell’art. 17, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972. Per quanto riguarda la base imponibile delle singole prestazioni di servizi, le quali – come affermato sopra – assumono carattere permutativo rispetto alla concessione dei diritti di utilizzo esclusivo dei marchi commerciali CONI, essa doveva essere individuata in relazione al valore normale delle stesse ai sensi dell’art. 13, secondo comma, lett. d), del decreto IVA, per la cui determinazione si sarebbe dovuto tener conto anche dei corrispettivi in denaro che la «Alfa» si impegnava a versare alla società italiana in base al contratto.

Per quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella precedente risoluzione n. 331/E del 31.7.2008, infatti, gli eventuali conguagli in danaro non costituiscono un’autonoma controprestazione, ma devono considerarsi parte della base imponibile dell’operazione da calcolare in ragione del valore normale.

Fabio Carrirolo

14 Ottobre 2008


NOTE

(1) Cfr. il commento di A. Zampetti, «Nuove circolari Assonime sul Codice della proprietà industriale», Il Sole 24 Ore – Diritto e Pratica delle Società, 14.5.2007, n. 8, p. 89.

(2) Cfr. F. e L. Dezzani, «Bilancio al 31 dicembre 2006: “Marchi”. Ammortamento in 18 esercizi», Il Fisco n. 32 del 4.9.2006, pag. 1-4938.

(3) Importo elevato a tale cifra, dalla precedente misura di lire 250.000 (euro 129,11), in forza dell’All. 1, art. 1, del D.L. 31.1.2005, n. 7, che ha inserito l’All. 2 – bis dell’art. 1, co. 300, L. 30.12.2004, n. 311 (L. Finanziaria 2005).

(4) Tra le altre, vedasi la decisione della CTC, Sez. XI, 5.3.1990, n. 1730.

(5) Cfr. Corrao G., «Accertamento & Sanzioni – Rettifica del prezzo sulla base del valore di mercato», Azienda & Fisco n. 15/1994, pag. 855.