Il trattamento fiscale della cessione della clientela

Il trattamento fiscale da riservare alla cessione del cd. portafoglio clienti1, dopo le novità introdotte dal D.L. n. 223/2006 – che nell’art. 54, dopo il comma 1, ha aggiunto, fra l’altro, il comma 1-quater, con cui tassa i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali riferibili all’attività artistica o professionale – , ed i precedenti interventi di prassi, dottrina e giurisprudenza, è stato oggetto di esame da parte del Consiglio dei dottori commercialisti e degli esperti contabili con la circolare n. 1/IR del 12 maggio 2008.
Affrontiamo la problematica.

La problematica

 Il comma 1, dell’art. 54, del T.U. n. 917/86 prevede che

“il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazioni agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”.

Per effetto dell’art. 36, comma 29, del D.L. n. 223/2006, nel T.U. n. 917/86 è stato aggiunto, fra l’altro, all’art. 54, dopo il comma 1, il comma 1- quater, secondo cui

concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.

Sempre l’art. 36, comma 29, lett. b), del D.L.  citato  consente  la tassazione separata se tali corrispettivi sono percepiti in una soluzione.

Le Entrate, ancora prima della modifica normativa sopra indicata avevano avuto modo di occuparsi della questione – R.M. n. 108 del 29 marzo 2002 – per una ipotesi in cui un professionista intendeva cedere la parte operativa della propria attività (tenuta della contabilità, redazione delle dichiarazioni, etc) e la relativa clientela, affermando che lo specifico compenso è corrisposto, a fronte dell’assunzione da parte del professionista di obblighi ben precisi e deve essere quindi ricondotto nella previsione dell’art. 67, comma 1,  lettera l),  del  Tuir,  che  espressamente  qualifica come redditi diversi quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, mentre tale costo è deducibile per l’acquirente.

Ai fini dell’Iva, le Entrate ritengono che il predetto compenso, corrisposto al professionista per la cessione di  una  parte  della  sua attività,

configuri un corrispettivo di una prestazione di servizio, consistente nel permettere la prosecuzione del rapporto professionale tra i suoi vecchi clienti ed il soggetto subentrante, nell’impegno di non proseguire (non fare) il rapporto professionale con i clienti ceduti e nell’impegno (fare) altresì di favorire la prosecuzione del rapporto tra i suoi vecchi clienti ed il nuovo soggetto“.

 

Identica soluzione è stata data dalle Entrate per la cessione del marchio, con la R.M. n. 30 del 16 febbraio 2006: più che di cessione di un “marchio” siamo in presenza di

un contratto di natura obbligatoria nel quale a fronte del corrispettivo pagato, al contribuente istante viene consentito l’utilizzo del predetto segno grafico sulla carta intestata del proprio studio professionale, sull’elenco telefonico, sulla propria targa professionale, in occasione dei convegni, ecc., al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio associato o comunque collegato allo studio titolare del  segno grafico in questione nella prospettiva di aumentare la visibilità e la credibilità del proprio studio professionale”.

 

contratto di cessione della clientelaL’importo percepito a fronte di tale obbligo deve quindi essere assoggettato a tassazione in capo al soggetto perciepiente in applicazione della disposizione dettata dall’art. 67, comma 1, lettera l), del Tuir che espressamente qualifica come redditi diversi quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere.

Ai fini Iva, deve ritenersi sussistente il presupposto oggettivo (art. 3 del D.P.R. n. 633/72) e soggettivo dell’imposta (art. 5 del citato  D.P.R.), poiché le prestazioni sono innegabilmente connesse all’attività professionale esercitata, in via abituale, dal contribuente.

Dal canto suo la giurisprudenza, nelle sentenze di cui siamo a conoscenza, ha avuto modo di affermare che:

  • nella vecchia elencazione di cui all’art. 81, del U.n.917/86, risultano assenti i redditi da cessione dello studio professionale, che quindi, devono considerarsi fuori dalla tassazione. I giudici di prime cure richiamano la sentenza della Corte di Cassazione, a Sezione Unite (sentenza n. 1889 del 21 luglio 1967), che ha statuito che “non è titolare di azienda l’esercente di uno studio professionale…Conseguentemente, nel trasferimento o nella cessione di tale studio professionale, non può sussistere un valore di avviamento, e l’alienante o cedente non può essere assoggettato ad imposta di ricchezza mobile”  (  Commissione  Tributaria  di  Ravenna  –  Sez.  1,  Sent. n. 1505 dell’11 luglio 1988);
  • nello svolgimento di una attività professionale, l’elemento prevalente e determinante è l’intuitus personae, sicchè non si può attribuire un valore di avviamento quando vi è la cessione dello studio professionale,  poiché  le fortune del professionista acquirente, contrariamente a quanto avviene  nel caso di cessione di un esercizio commerciale vero e proprio, sono legate esclusivamente alle qualità professionali dell’acquirente e non a quelle del professionista cedente” ( Commissione tributaria provinciale  di  Pisa, sentenza 204 del 2 dicembre 2000);
  • non è assoggettabile ad Iva il corrispettivo percepito da un professionista per la cessione dello studio professionale di cui è titolare, per carenza dei presupposti oggettivi e “ Sono gli stessi Organi Finanziari che forniscono le caratteristiche per qualificare diversamente e correttamente i corrispettivi dal prof.T.N. ( n.d.r. l’associato). Essi costituiscono una sorta di avviamento per la cessione dello studio dentistico ai propri collaboratori e continuatori di attività a cui egli aveva dato impulso e prestigio, concordato nella misura del 10% delle future entrate dello studio associato. L’ufficio Iva non vuole sentire parlare di avviamento perché questo indennizzo si abbina tipicamente alla cessione d’azienda, e non alla cessione di uno studio professionale o di una quota di esso a seguito di uscita dello stesso” ( Commissione tributaria regionale di Venezia, Sez. XVIII, sentenza n.17 del 18 febbraio 1998, emessa il 18 novembre 1997).

 

Il pensiero del Consiglio dei dottori commercialisti e degli esperti contabili

Il pensiero del Consiglio dei dottori commercialisti e degli  esperti contabili è stato espresso nella circolare n. 1/IR del 12 maggio 2008.

Il comma 1-quater dell’art. 54 del TUIR tenta di “sterilizzare”, sotto il profilo fiscale, i dubbi relativi alla corretta qualificazione  delle fattispecie innanzi  menzionate,  ricomprendendo  nel  suo  ambito  applicativo  le operazioni aventi ad oggetto la  cessione,  oltre  che  della  clientela,  anche  di non meglio precisati “elementi immateriali comunque  riferibili all’attività artistica o professionale”.

Rileva la nota appena pubblicata che

“ l’Agenzia delle Entrate, nel corso  di  una videoconferenza svoltasi il 6 giugno 2007, ha espresso  l’avviso che nella fattispecie in esame siano ricompresi  anche  i  corrispettivi  percepiti a seguito della cessione di contratti di leasing aventi ad oggetto beni strumentali per l’esercizio dell’attività. Infatti, in tal caso, l’importo percepito a fronte della cessione del contratto rappresenta il corrispettivo dovuto dal cessionario per subentrare nei diritti e negli obblighi derivanti dal rapporto contrattuale esistente”.

Contro tale  interpretazione

“è stato fatto notare che  all’interno dell’art. 54 del TUIR manca  una  disposizione  analoga  a   quella   prevista nell’ambito della categoria dei redditi di impresa dal comma 5 dell’art. 88 del TUIR, che riconduce l’operazione in oggetto tra quelle che danno luogo  a  componenti positivi qualificabili come sopravvenienze attive”.

 

Per il Consiglio dei dottori commercialisti e degli esperti contabili,

“la tesi dell’Agenzia, seppur suggestiva, non è tuttavia idonea a far assumere al comma 1-quater dell’art. 54 del TUIR quella funzione antielusiva che è invece propria del comma 5 dell’art. 88 del TUIR.

La ratio ispiratrice di quest’ultima disposizione è  infatti quella di evitare che la cessione del contratto  di leasing possa strumentalmente essere utilizzata per trasferire il bene sottostante usufruendo di  un indebito risparmio  d’imposta.  Per  tale  motivo, in deroga al criterio generale di determinazione dei componenti del reddito di impresa basato sui corrispettivi pattuiti, la disposizione in commento attribuisce rilevanza fiscale al valore normale del bene oggetto del contratto”2.

 

Tale funzione sfugge invece al contenuto precettivo del comma 1- quater dell’art. 54 del TUIR, nel quale è, in effetti, espressamente richiamata la rilevanza dei “corrispettivi percepiti”.

Restano, per tale motivo, alcune perplessità del Consiglio

“sulla reale intenzione del legislatore di includere nell’ambito oggettivo di quest’ultima norma anche i proventi derivanti dalla cessione di contratti di locazione finanziaria. A ciò si aggiunga che, anche sotto il profilo  meramente  letterale, la cessione di contratto non sembra assimilabile ad una cessione di elementi immateriali, costituendo piuttosto una vicenda modificativa soggettiva del rapporto contrattuale originario”.

L’intervento normativo recato, sul punto, dal D.L.  n. 223/2006  si completa con la previsione  secondo  cui  se  i  proventi  in  oggetto  sono percepiti “in un’unica soluzione”, gli stessi possono fruire del regime  di tassazione separata ai  sensi  della  nuova  lettera  g-ter) dell’art. 17,  comma 1, del TUIR.

In ordine alle modalità di percezione dei proventi, per il Consiglio dei dottori commercialisti ed esperti contabili, con la circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007 ( paragrafo 7.1),

“l’Agenzia delle Entrate, andando oltre la formulazione letterale della disposizione, ha precisato che detto regime è applicabile anche nel caso in cui il corrispettivo sia percepito in più rate, ma nello stesso periodo d’imposta.

Nell’ipotesi di pagamento rateale, l’Agenzia ha altresì ritenuto che la qualificazione reddituale del corrispettivo operata dal comma 1-quater in commento resti ferma anche se, in seguito alla cessione della clientela, il soggetto intenda cessare la propria attività. A parere dell’Agenzia, infatti, l’attività del professionista non può considerarsi cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti  giuridici pendenti, ed in particolare di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale. Come corollario di tale impostazione, le Entrate affermano quindi la necessità che il lavoratore autonomo conservi il proprio numero di partita IVA fino all’incasso dell’ultima rata”.

 

In conclusione,

“riguardo alla qualificazione reddituale del corrispettivo in oggetto, va osservato che la sua rilevanza nell’ambito della categoria dei redditi di lavoro autonomo dipende, pur sempre, dal momento in cui l’operazione di cessione viene effettuata. Non sembra, infatti, riconducibile a tale categoria, il provento derivante dalla cessione di un elemento immateriale comunque riferibile all’attività artistica o professionale che sia stata posta in essere in epoca successiva alla definitiva cessazione dell’attività”.

 

Leggi anche: 

Cessione della clientela: effetti fiscali

Cessione della clientela: è un’operazione soggetta ad IVA?

Cessazione di attività di lavoro autonomo e cessione della clientela

 

a cura di Francesco Buetto

Giugno 2008

 

NOTE

1 Sul punto cfr. STEVANATO, Proventi derivanti da cessione di studio professionale: quale trattamento ai fini dell’imposizione diretta, in “ Rivista di Diritto Tributario”, 1991, parte I, pag.837; ANTICO, La tassazione dell’avviamento intellettuale nella cessione di uno studio professionale, in “ Finanza&Fisco”, n. 34/2003; ANTICO, L’acquisto del marchio da parte del professionista e le problematiche connesse, in “ Consulenza”, 2006; ANTICO, D.L. n. 223/2006: la cessione della clientela e di elementi immateriali dell’attività artistica o professionale. Il punto della situazione, in “ il fisco”, n. 30/2006, pag. 4665; GABELLI- ROSSETTI, Spunti critici in merito alla presunta imponibilità dell’avviamento professionale, in “ Bollettino Tributario”, n. 10/2003, pag. 742; ROMANO, Cessione dello studio professionale, in “ La Settimana fiscale”, n.47/2000, pag.29; ROMANO, Cessione di parte dello studio professionale, in “ La Settimana fiscale”, n.16/2002, pag.27; ROMANO, Donazione di parte dello studio professionale. Trattamento fiscale, in “ La Settimana fiscale”, n.26/2003, pag.37.

2 Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 108/E del 3 maggio 1996 – paragrafo 6.11 -, ai fini della determinazione della sopravvenienza attiva da assoggettare a tassazione, il valore normale va assunto al netto dei canoni relativa alla residua durata del contratto e del prezzo stabilito per il riscatto, attualizzati alla data della cessione del contratto.

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