La dichiarazione integrativa può annullare l’accertamento a seguito di ispezione fiscale e PVC?

Una dichiarazione dei redditi integrativa può annullare l’accertamento a seguito dell’ispezione del Fisco e redazione processo verbale?

 

La verifica del fisco non blocca l’emandabilità della dichiarazione presentata.

Dal testo della disposizione normativa codificata ai commi 8, ed 8-bis, dell’art. 2, D.P.R. n. 322/98, nonché dalla lettura di alcuni chiarimenti ministeriali parrebbe sussistere l’assenza di impedimenti alla rettifica della dichiarazione, anche successivamente ad accessi, ispezioni o altre attività amministrative riguardanti l’annualità interessata da parte dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria.

 

Integrazione della dichiarazione

Modalità attuative

            Come noto, la rettifica della dichiarazione dei redditi è disciplinata dall’art. 2, comma 8, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 del 1998.

            Tale disposizione prevede che la correzione degli errori e l’integrazione delle omissioni nelle dichiarazioni dei redditi, dell’irap e dei sostituti d’imposta, possono effettuarsi, fatta salva l’applicazione delle sanzioni, mediante la presentazione di una successiva dichiarazione.

            Quest’ultima deve essere presentata entro il “termine per l’accertamento” di cui all’articolo 43 del DPR n. 600 del 1973, ossia entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria.

              Ad esempio, l’errore commesso nella dichiarazione presentata nell’anno 2005 (ad esempio, minore reddito d’impresa per effetto di ammortamenti non spettanti) potrà essere corretta entro il 31 dicembre dell’anno 2009 (1).

            Con una diversa disposizione, recata dall’articolo 2, comma 8-bis, D.P.R. n. 322 del 1998, è previsto che il contribuente possa integrare a suo favore le dichiarazioni dei redditi, dell’irap e dei sostituti d’imposta, per correggere errori o omissioni che abbiano determinato un maggior reddito o, comunque, un maggior debito o un minor credito d’imposta.

           Tale integrazione deve effettuarsi mediante una successiva dichiarazione che va prodotta entro il termine di presentazione di quella relativa al periodo d’imposta successivo.

             In questo caso, l’integrazione da operare nella dichiarazione redatta per l’anno 2006, deve essere presentata entro il 31 luglio 2008, termine ultimo di presentazione della dichiarazione per l’anno 2007 (2).

            Diversamente da quelle elaborate ai sensi del precedente comma 8, le correzioni operate ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, se effettuate nei termini, non sono soggette a sanzioni.

            Il maggior credito d’imposta risultante dalla dichiarazione integrativa in diminuzione può utilizzarsi in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

            L’amministrazione finanziaria, in sede di stesura della circolare ministeriale 25 gennaio 2002, n. 6, ha precisato che le dichiarazioni integrative di cui ai commi 8 e 8-bis presuppongono che la dichiarazione originaria sia stata a suo tempo validamente e tempestivamente presentata.

            In applicazione di tale principio, possono formare oggetto d’integrazione anche le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dal termine di scadenza che, per effetto delle disposizioni contenute nel comma 7 dell’articolo 2, sono considerate valide salva l’applicazione della sanzione prevista per il ritardo nella presentazione (3).

 

Integrativa e ravvedimento operoso : coordinamento tra le due discipline

            La disciplina della dichiarazione integrativa di cui ai commi 8 e 8-bis dell’articolo 2 deve coordinarsi con quella del ravvedimento previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

            Innanzitutto l’ambito di applicazione temporale della integrazione ai sensi dell’articolo 2, comma 8, è più ampio di quello previsto per il ravvedimento disciplinato dall’articolo 13 del D.lgs. n. 472 del 1997.

            Quest’ultimo, infatti, consente di integrare la dichiarazione entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale l’errore o l’omissione si è verificato.

            Si evidenzia inoltre, che a differenza delle dichiarazioni integrative di cui ai commi 8 e 8-bis dell’articolo 2, il ravvedimento è precluso se sono “iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento ….”.

            Sotto il profilo sanzionatorio, infine, a differenza dell’integrazione di cui al comma 8 dell’articolo 2, che comporta l’applicazione delle sanzione per intero, l’istituto del ravvedimento richiede il pagamento in misura ridotta della sanzione prevista per la commessa violazione.

 

Ipotesi di studio

            Come abbiamo potuto osservare il legislatore prevede che accessi, ispezioni e verifiche non risultano ostativi alla rettifica, entro termini ben definiti, della dichiarazione dei redditi.

            Si ipotizza che una società venga sottoposta, nel corso dei primi mesi dell’anno 2008, a verifica fiscale relativamente al periodo d’imposta 2006.

            Prima della consegna del processo verbale di constatazione, il contribuente provvede, entro il mese di luglio dell’anno 2008, a presentare dichiarazione rettificativa a favore, integrando il quadro del reddito d’impresa con apposita variazione in diminuzione (ricavi non di competenza indebitamente compresi nell’imponibile fiscale). Prima della modifica operata  dalla dichiarazione scaturiva un imponibile fiscale assoggettato ad imposta, successivamente la rettifica determina una perdita fiscale.

            Ci si chiede se la presentazione della dichiarazione integrativa (in diminuzione) sia in grado di sterilizzare legittimamente eventuali riprese a tassazione dell’ufficio (per esempio, costi indeducibili ed ammortamenti eccedenti la quota massima deducibile) esposte dai verificatori nell’ambito del processo verbale di constatazione.

 

 

Prassi ufficiale

La risoluzione n. 12/E del 17 gennaio 2006

            Successivamente all’emanazione della circolare n. 6 del 2002, l’amministrazione finanziaria si è occupata della possibilità di emendare la dichiarazione e sui termini della rettifica a favore del contribuente; rettifica, tuttavia, non in grado di alterare imponibile ed imposta.

            In sostanza, gli interpellanti chiedevano all’Agenzia delle entrate, di valutare se la dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 2, comma 8 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, presentata successivamente all’inizio dell’attività di controllo o di verifica della Guardia di Finanza o dell’Ufficio, potesse sanare l’omessa indicazione nella dichiarazione originaria dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni con soggetti domiciliati nei paesi a fiscalità privilegiata.

 

            La risposta diffusa dall’amministrazione centrale è stata di segno negativo.

Difatti, secondo quanto si legge nel documento ufficiale

“…nel caso in cui i costi non siano stati separatamente indicati in dichiarazione, al contribuente non è consentito correggere la dichiarazione, avvalendosi delle procedure previste dall’articolo 2, commi 8 e 8 bis del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322…”.

            Ciò, in quanto, dalla correzione della dichiarazione non discendeva né una rettifica del reddito a favore del fisco, né una rettifica dello stesso a favore del contribuente.

            La separata indicazione dei costi, eventualmente effettuata in sede di rettifica della dichiarazione, infatti, non determinava :

  • un aumento della base imponibile del contribuente (presupposto per l’applicazione del comma 8 dell’articolo 2), ovvero;
  • una riduzione della stessa (presupposto per l’applicazione del comma 8 bis, come si desume dalla Circolare 6/E del 25 gennaio 2002).

            Pertanto, se la correzione del comportamento fiscale adottato originariamente determina un mutamento (a debito o a credito) sostanziale in termini di imponibile ed imposta, la presentazione dell’integrativa è sicuramente ammessa.

            Il problema è, invece, quello di verificare se, in assenza di rettifica a favore o contro il contribuente è consentita l’emendabilità della dichiarazione.

            L’Agenzia delle entrate perviene ad una soluzione negativa che scaturisce dal coordinamento con alcuni principi generali del sistema tributario.

            Rileva, in primo luogo, si legge nel documento ufficiale, il principio della “emendabilità della dichiarazione tributaria”, diretto corollario della natura della dichiarazione, quale atto di scienza e non di volontà, cui si ispirano, peraltro, le stesse disposizioni di cui agli articoli 13 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e 2, commi 8 ed 8 bis del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322.

            La valenza di queste norme, infatti, è rinvenibile esclusivamente nelle particolari modalità procedurali cui esse subordinano l’emendabilità della dichiarazione (sul punto, Cassazione 17 gennaio 2002, n. 15063).

            Rileva altresì il principio della tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, del quale, peraltro, l’emendabilità della dichiarazione è, in parte, espressione.

             Il principio, codificato dall’articolo 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), è stato più volte riconosciuto, sia in ambito comunitario che in ambito nazionale dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, come principio generale dell’ordinamento, preesistente rispetto alle stesse norme che lo hanno disciplinato e idoneo, di conseguenza, ad orientare l’attività dell’interprete (in ordine del principio dell’affidamento, cfr. ex plurimis Cassazione 12 febbraio 2002, n. 17567 e Cassazione 6 novembre 2003, n. 7080).

            Da tali principi discende, allora, la possibilità di rimediare errori od omissioni della dichiarazione anche in casi, come quello in esame (omessa indicazione separata dei costi derivanti da Paesi black list) in cui i citati commi 8 ed 8 bis non sono applicabili, a condizione, ovviamente, che le susseguenti iniziative, volte all’integrazione della dichiarazione, non contrastino con le finalità della norma violata.

            Nel caso affrontato dalla risoluzione ministeriale vertente – lo ripetiamo – in materia di integrazione di costi da black list, e tenuto conto della precipua funzione della norma di cui al citato articolo 110, comma 11, chiaramente eccezionale e preordinata a supportare l’efficacia dell’azione di controllo, è stato consentita l’integrazione della dichiarazione, con separata indicazione dei costi derivanti dalle operazioni con Paesi Black list, sia ammessa a condizione che non fossero iniziati accessi, ispezioni o verifiche o altre attività amministrative di accertamento di cui l’autore avesse avuto formale conoscenza.

            In altri termini, chiarita la particolarità del caso di specie (correzione della dichiarazione che non dà luogo a rettifica né in aumento né in diminuzione del reddito), dal coordinamento dell’articolo 110, comma 11, con i principi generali sopra richiamati (emendabilità della dichiarazione, tutela dell’affidamento e della buona fede), discendeva che il contribuente potesse rimediare all’omissione attraverso la presentazione di una nuova dichiarazione integrativa, nella quale fossero indicati separatamente i costi, senza particolari limiti di tempo, ma a condizione che non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche.

            La rettifica in esame, ove consentita, comportava l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8, comma 1, ultimo periodo, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che punisce, tra l’altro, la mancata indicazione in dichiarazione di qualsiasi “elemento prescritto per il compimento dei controlli”.

            L’applicazione della sanzione citata è direttamente correlata, come è evidente, alla descritta finalità della disposizione di cui all’articolo 110, comma 11, del testo unico delle imposte sui redditi.

            Nel caso in esame, concludeva la risoluzione, restava fermo che qualora la correzione della dichiarazione non fosse più consentita, perché iniziati accessi, ispezioni o verifiche, l’ufficio procedeva al recupero a tassazione dei costi non separatamente indicati e, pertanto, indebitamente dedotti.

 

 

La risoluzione n. 11/E del 18 gennaio 2008

            Una parziale conferma della possibilità per il contribuente di integrare la dichiarazione dei redditi si rinviene nella recente risoluzione ministeriale 18 gennaio 2008, n. 11, dove l’agenzia delle entrate <supera> la posizione secondo cui la rettifica debba riguardare necessariamente un errore “sostanziale” dal quale scaturisce una posizione a debito o a credito del contribuente.

            In quella occasione è stato precisato che le irregolarità commesse con riferimento a due dichiarazioni precedenti (nelle quali il test di operatività sulle società di comodo era stato compilato in base a dati non coerenti con i corretti principi contabili), potessero essere sanate tramite la presentazione di dichiarazioni integrative da presentare ai sensi della disposizione contenuta nel comma 8 dell’articolo 2 del DPR n. 322 del 1998.

            Tale disposizione stabilisce, infatti, che, salva l’applicazione delle sanzioni, le dichiarazioni dei redditi possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare entro i termini per l’accertamento, e cioè entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione.

            In sostanza, l’irregolarità poteva essere sanata tramite la presentazione della rettificativa senza esplicitamente anche richiedere che la rettifica debba dar luogo ad un adeguamento al reddito minino della società istante (4).

 

 

Note conclusive

            Cerchiamo quindi di fornire una risposta all’interrogativo proposto.

            Diciamo subito che, a quanto consta, non sono disponibili decisioni delle commissioni tributarie che si sono pronunciate sull’ammissibilità di emendare (a favore del contribuente) la dichiarazione dei redditi di una annualità oggetto di verifica fiscale, prima della consegna del processo verbale di constatazione da parte dei verificatori.

            A nostro parere, tuttavia, considerato che il legislatore, in caso di accessi, ispezioni e verifiche o altre attività amministrative nega l’ammissibilità del ravvedimento operoso, ma non quella della presentazione della dichiarazione integrativa non sembrano esserci dubbi sulla legittimità del comportamento.

            Le stesse pronunce ministeriali edite sull’argomento, ed in particolare la risoluzione n. 12/E/2006, autorizzano a propendere per ritenere ammissibile l’emendabilità della dichiarazione in presenza di

“…rettifica a favore…” per il contribuente, entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva  e senza l’irrogazione di sanzioni ai sensi dell’art. 2, comma 8-bis, D.P.R. n. 322 del 1998.

D’altra parte, la stessa stampa specializzata che ha affrontato, seppur in modo incidentale l’argomento, ha ipotizzato una soluzione positiva (5) ricordando come la norma “..prevede che  accessi,  ispezioni e verifiche non risultino ostativi alla rettifica, … Chiaramente, quando invece risulta emesso l’atto di rettifica del Fisco, la correzione da parte del contribuente non risulta più possibile..”.

            In tali termini l’unico ulteriore dubbio potrebbe essere rappresentato dall’individuazione del  termine entro cui sarebbe consentita la rettifica a favore del contribuente.

            Su questo aspetto si segnala una interessante pronuncia della C.T.R. Puglia, n. 258 del 2007, sezione XXIII (6), per la quale – in antitesi rispetto all’opinione ministeriale che distingue la rettificativa a debito (art. 2, co. 8, D.P.R. n. 322/98) e la rettificativa a credito (art. 2, comma 8-bis, D.P.R. n. 322/98) –  una volta ammessa in via amministrativa la possibilità di correggere l’errore è consentita la presentazione della dichiarazione integrativa, comunque, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo, per tutte le irregolarità o infedeltà senza distinzione.

 

Antonino Romano

9 maggio 2008



NOTE

(1) Il comma 8 dell’articolo 2 prevede altresì che la dichiarazione integrativa possa presentarsi anche in via telematica, secondo le modalità di cui all’articolo 3, e non solo per il tramite di un ufficio postale come previsto dal precedente testo dello stesso comma 8. Sul maggior reddito è applicabile la sanzione per infedele dichiarazione prevista dall’art. 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.

Il modello di dichiarazione da utilizzare ai fini della integrazione è quello conforme al modello approvato per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione rettificativa.

(2) Al pari della dichiarazione integrativa di cui al comma 8, quella in esame (dichiarazione integrativa in diminuzione) può presentarsi anche in via telematica, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando i modelli approvati per il periodo d’imposta cui la integrazione è riferita.

(3) Le dichiarazioni presentate oltre i novanta giorni, invece, dovendosi considerare omesse (costituiscono titolo solo per la riscossione delle imposte evidenziate), non possono essere oggetto d’integrazione, mentre, la dichiarazione si considera omessa anche se trasmessa dall’intermediario incaricato con ritardo superiore a 90 giorni.

(4) G. GAVELLI, Per l’operatività tempi più lunghi, Il Sole 24 Ore del Lunedì, 25 febbraio 2008, pag. 34.

(5) D. DEOTTO, Entrate e contribuenti, correzioni su piani diversi, Il Sole 24 Ore del Lunedì, 25 febbraio 2008.

(6) G. GAVELLI, L’accesso del Fisco non blocca l’emendabilità, Il Sole 24 Ore del Lunedì, 25 febbraio 2008.