Donazione di bene immobile dal genitore alla figlia e successiva vendita a terzi

Nel caso di donazione di bene immobile da un genitore alla figlia, seguita da successiva rivendita dello stesso bene a terzi, al fine di dimostrare l’interposizione fittizia della donataria, l’Ufficio deve fornire la prova che il prezzo della vendita sia stato corrisposto dal cessionario al donante. E’ questo il contenuto della decisione assunta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Udine, sezione V, 3 aprile 2006, n. 16.

Origine della controversia

donazione di un terreno edificabileLa lite in esame scaturisce dalla notifica dell’avviso di accertamento con cui l’Ufficio, dopo aver preso atto di una serie di presunzioni gravi precise e concordanti, ha contestato alla ricorrente l’omessa dichiarazione della plusvalenze da assoggettare a tassazione separata Irpef, realizzata nell’anno … a seguito della cessione di un terreno edificabile.

Nella fattispecie si era verificato un duplice passaggio di proprietà e cioè:

  • Una contribuente, con atto in data … regolarmente registrato donava alla figlia la quota di 3/4 di piena proprietà di un terreno edificabile dichiarando il valore di lire xxx;
  • a sua volta la figlia, con atto stipulato lo stesso giorno donava alla madre la quota di 1/4 di piena proprietà sul medesimo terreno dichiarando il valore di lire xxx;
  • nella stessa data detto terreno veniva ceduto dalle due signore sopraindicate, ciascuna per la quota di cui era diventata titolare, ad una società di capitali per il prezzo dichiarato di lire xxx (pari alla somma di quanto dichiarato in sede di donazione) e definito in accertamento con adesione in lire xxx.

Ricorso di parte contribuente

Avverso tale avviso la contribuente proponeva ricorso alla competente Commissione Tributaria Provinciale.

In via preliminare, la parte ricorrente, dopo aver premesso che i trasferimenti suddetti erano stati effettuati sulla base di quanto stabilito nelle disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi all’epoca vigente, riteneva che i predetti atti fossero pienamente validi ed efficaci.

A sostegno di tale assunto si faceva rilevare che gli atti in oggetto non erano stati oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio, considerato che la plusvalenza redditualmente rilevante emergente nel caso di specie era pari a zero e cioè derivante dalla differenza tra il corrispettivo percepito dalla compravendita alla società di capitali ed il valore dichiarato nel contratto di donazione debitamente registrato.

D’altra parte, la ricorrente assumeva inapplicabili, nel caso di specie, le disposizioni di cui all’art. 37- bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e pertanto, ogni eventuale risparmio d’imposta conseguito andava considerato lecito.

In tale ottica, veniva contestato l’orientamento dell’Ufficio che, ritenendo invece applicabile l’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, accertava l’omessa plusvalenza in capo ad entrambe le donanti.

La ripresa fiscale, a parere di parte ricorrente, pertanto, andava ritenuta illogica e totalmente infondata nel merito stante che, nella realtà, l’Ufficio, nonostante sostenesse la sussistenza di presunzioni aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza, non forniva alcuna prova della configurazione dell’ipotesi di interposizione di persona ma si limitava ad elencare alcune circostanze quali:

  • il rapporto di parentela,
  • la corrispondenza di data;
  • l’eguaglianza tra corrispettivo e valore dichiarato,

senza fornire alcuna dimostrazione dell’effettivo possesso del reddito in capo alla donante.

L’Ufficio, infatti, – secondo la ricorrente – avrebbe implicitamente ritenuto che gli atti posti in essere dalle parti fossero perfettamente validi ed efficaci.

Una diversa considerazione avrebbe determinato la nullità dei contratti di compravendita, facendo così sorgere in capo alla società di capitali acquirente il diritto alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte alla venditrice non legittimata ed è per questo che l’Ufficio ha scelto, in sede di accertamento, la ricostruzione basata sulla interposizione di persona.

La parte ricorrente evidenziava altresì come l’Ufficio avesse applicato la norma riferita alle disposizioni antielusive ad entrambe le venditrici, così imputando reciprocamente il reddito a due persone nell’ambito di un unico atto di compravendita immobiliare, con la conseguenza che un soggetto non poteva essere contemporaneamente interposto ed interponente.

In via subordinata, infine, la ricorrente segnalava l’errore di calcolo in cui era incorso nella determinazione della plusvalenza effettuata sulla quota di 3/4 e di 1/4 non tenendo rispettivamente conto che nel primo caso i terreni oggetto di compravendita erano stati oggetto di contratti di permuta mentre nel secondo caso l’acquisto in comunione legale era avvenuto oltre cinque anni prima dell’inizio delle opere intese a renderli edificabili.

 

Controdeduzioni dell’ufficio

Le doglianze di parte ricorrente sono state prontamente opposte dall’Ufficio dell’Agenzia delle entrate.

In sede di controdeduzioni è stato precisato che, nel caso di specie, non è stata applicata la norma di cui all’art. 37- bis del D.P.R. n. 66/1973, bensì l’art. 37, comma 3 (1), il quale prevede espressamente il potere di accertamento fissando regole di imputazione dei redditi imponibili e legittima l’amministrazione finanziaria a disconoscere gli effetti fiscali delle suddette operazioni allorquando queste hanno per oggetto terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria e vengono attivate con lo scopo di ridurre o annullare il valore della plusvalenza.

Tale disposizione, infatti, opera esclusivamente come norma di accertamento per consentire all’amministrazione finanziaria di contestare, avvalendosi di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, la situazione di apparenza nel possesso del reddito al fine di attribuirlo al reale possessore in luogo di quello apparente.

Nella fattispecie in esame, a parere del funzionario ministeriale, tale situazione di apparenza risultava di tutta evidenza atteso che, senza alcuna giustificazione, nella stessa data madre e figlia si scambiavano le rispettive quote di proprietà di un terreno edificabile provvedendo sempre nello stesso giorno a vendere le relative quote scambiate ad un soggetto terzo.

In ordine alla presunta ed errata determinazione della plusvalenza lamentata da parte ricorrente, l’Ufficio ha sostenuto di averla correttamente quantificata ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. a del D.P.R. n. 917/1986 (2).

 

Memoria illustrativa di parte ricorrente

Successivamente al deposito delle controdeduzioni da parte dell’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, parte ricorrente presentava memoria illustrativa depositata dove veniva ribadito il comportamento errato dell’Ufficio nell’applicazione dell’art. 37, comma 3 del

D.P.R. n. 600/1973 perché utilizzato come norma antielusiva.

Tale comportamento non appariva corretto anche alla luce della posizione della giurisprudenza di legittimità ferma nel ritenere che tale norma si applichi solo in ipotesi di interposizione fittizia, cioè simulata, nel possesso del reddito (Cass. civ., n. 3979/2000, n. 11351/2001, n. 3345/2002).

Inoltre, la ricorrente poneva l’accento sui di una inequivoca ammissione dei propri errori da parte dell’Ufficio allorquando affermava, in sede di controdeduzioni:

  1. di aver tenuto conto del valore iniziale dichiarato nei titoli di provenienza ed;
  2. di aver operato ai sensi dell’art. 81, comma 1, b , del D.P.R. n. 917/1986 anziché lett. a e dell’art. 82, comma 2, quarto periodo (3).

 

Inoltre mancando gli elementi idonei alla corretta determinazione della plusvalenza che si sarebbe realizzata, l’Ufficio non poteva sostenere – a detta di parte ricorrente – l’interposizione di persona in relazione ad un reddito che non aveva saputo calcolare.

Per tali ragioni la parte ricorrente ribadiva che il ricorso, in mancanza di prove e di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, non poteva essere accolto.

Da ultimo parte ricorrente osservava che in merito al corrispettivo, l’Ufficio aveva errato non considerando il prezzo di compravendita pattuito dalle parti, ma il diverso valore risultante dal procedimento di adesione esperito dalla società acquirente, valore che risultava del tutto indifferente alle norme per il calcolo dell’eventuale plusvalenza.

Analogamente, per quanto riguarda i valori presi in considerazione dall’Ufficio per l’individuazione dei minuendi delle due operazioni, valori che risultavano del tutto non dimostrati e palesemente bassi.

 

Motivi della decisione

I Giudici della Commissione Tributaria di prime cure affrontano il primo motivo di doglianza con cui si eccepisce la carenza di motivazioni dell’atto impugnato e la mancata evidenziazione da parte dell’Ufficio delle necessarie prove atte a dimostrare l’interposizione fittizia di persona e la sussistenza nel caso di specie di presunzioni gravi, precise e concordanti.

La Commissione rileva preliminarmente che la questione relativa ai limiti di utilizzo delle presunzioni nell’accertamento tributario è tuttora molto dibattuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità che, frequentemente, hanno generato posizioni opposte.

Vengono riportate le diverse tesi interpretative.

Da un lato c’è chi è senz’altro favorevole all’uso delle presunzioni nell’avviso di accertamento anche senza riscontro oggettivi che possono essere apprezzati dal contribuente sia dal momento della notifica di tale atto:

Dall’altro esiste una corrente dottrinaria contraria ad un simile impiego dello strumento presuntivo e ciò in quanto lo stesso non sarebbe sufficiente a tutelare il diritto alla difesa del contribuente, invertendo così il principio dell’onere della prova che nel contenzioso tributario è posto a carico dell’amministrazione finanziaria.

A fronte di queste controverse posizioni, la Commissione ritiene di poter senz’altro condividere la tesi maggioritaria, secondo la quale deve ritenersi illegittimo l’accertamento che si basi su presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 del codice civile.

Tutto ciò premesso, la Commissione ha rilevato, nella parte motiva del dispositivo, che, nella controversia in oggetto, l’Ufficio non ha fornito alcun elemento concreto di riscontro del suo operato e gli addebiti contestati non risultano supportati da fatti idonei certi atti a convalidare l’obbligazione tributaria.

Lo stesso Ufficio, infatti, non ha esibito alcuna prova documentale utile a dimostrare gli addebiti a carico del contribuente, basandosi per contro, su semplici presunzioni e deduzioni, in assenza di rilievi autonomi sulla loro attendibilità.

Dette presunzioni e deduzioni, risultano – proseguono i Giudici tributari – del tutto arbitrarie e prive di riscontro oggettivo, difettando, in particolare, dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 del codice civile.

Che trattasi di semplici presunzioni risulta comprovato anche dal fatto che l’Ufficio nell’avviso di accertamento, a sostegno della pretesa impositiva si è limitato ad affermare che

«[…] dal comportamento posto in essere dai soggetti (donante e donatario) […] emerge con netta evidenza […] che […] il donante (interponente) è l’effettivo possessore del reddito mentre il donatario (interposto) è l’apparente titolare di tale reddito […] avuto riguardo sia al rapporto di parentela intercorrente tra donante e donatario sia alle incontestabili circostanze che la vendita è avvenuta lo stesso giorno della donazione e che il corrispettivo dichiarato è uguale al valore indicato complessivamente negli atti di donazione, il che porta a concludere che di fatto la transazione è avvenuta per la quota di 1/4 tra la donante […] e la società acquirente, e per la quota di 3/4 tra la donante […] e la stessa ditta».

 

In sostanza, nel caso concreto si è verificato che l’Ufficio:

  • non ha fornito alcuna prova dell’interposizione fittizia di persona;
  • non ha dimostrato con elementi certi che il corrispettivo ottenuto dalla cessione alla S.p.A. sia effettivamente percepito, nonostante l’apparenza, per i 3/4 dalla ricorrente, donante, anziché dall’effettiva alienante, già donataria.

L’Ufficio, infatti, ha implicitamente ritenuto che gli atti posti in essere dalle parti fossero perfettamente validi ed efficaci e non poteva che comportarsi in siffatto modo atteso che una diversa considerazione, avrebbe determinato la nullità dei contratti di compravendita, facendo così sorgere in capo alla ricorrente il diritto alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte alla venditrice non legittimata.

Per le ragioni dianzi evidenziate, le affermazioni dell’Ufficio non costituiscono, a parere della Commissione friulana, prove certe ma semplici presunzioni per cui ne consegue che, in assenza di elementi probatori certi che avallino la tesi accusatoria, l’avviso di accertamento così come formulato è stato ritenuto illegittimo.

In definitiva il ricorso è stato accolto, ritenendosi con ciò assorbite le argomentazioni di cui agli altri motivi di doglianza sollevati dalla ricorrente.

 

CONCLUSIONI

La Commissione adita non ha ritenuto sufficiente la prova per presunzioni tratta dal rapporto di parentela tra donante e donataria e dalla circostanza che la vendita fosse avvenuta lo stesso giorno della donazione e per un corrispettivo dichiarato corrispondente al valore indicato in sede di donazione.

 

A cura di Attilio Romano

Ottobre 2007

 

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NOTE

1 Art. 37-bis, co. 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – Disposizioni antilelusive
… omissis…
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell’ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o piu’ delle seguenti operazioni:
a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
b) conferimenti in societa’, nonche’ negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;
c) cessioni di crediti;
d) cessioni di eccedenze d’imposta;
e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l’adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni;
f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio, aventi ad oggetto i beni e i rapporti di cui all’articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
f-bis) cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo di cui all’articolo 117 del testo unico delle imposte sui redditi;
f-ter) pagamenti di interessi e canoni di cui all’art. 26-quater, qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o piu’ soggetti non residenti in uno Stato dell’Unione europea;
f-quater) pattuizioni intercorse tra societa’ controllate e collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, una delle quali avente sede legale in uno degli Stati o nei territori a regime fiscale privilegiato, individuati ai sensi dell’articolo 167, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale.

2 Art. 67, co. 1, lett. a) e b), D.P.R. 22.12.1986, 917 – Redditi diversi
1. Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da societa’ in nome collettivo e in accomandita semplice, ne’ in relazione alla qualita’ di lavoratore dipendente:
a) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici;
b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non piu’ di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unita’ immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonche’, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il predetto periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante;
…Omissis …

3 Art. 68, co. 2, D.P.R. 22.12.1986, n. 917 – Plusvalenze
…Omissis …
2. Per i terreni di cui alla lettera a) comma 1 dell’articolo 67 acquistati oltre cinque anni prima dell’inizio della lottizzazione o delle opere si assume come prezzo di acquisto il valore normale nel quinto anno anteriore. Il costo dei terreni stessi acquisiti gratuitamente e quello dei fabbricati costruiti su terreni acquisiti gratuitamente sono determinati tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione o delle opere ovvero a quella di inizio della costruzione. Il costo dei terreni suscettibili d’utilizzazione edificatoria di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 67 e’ costituito dal prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente, rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati nonche’ dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili. Per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonche’ dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e di successione.

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