Spese di rappresentanza, pubblicità e propaganda: schemi negoziali maggiormente invalsi nella prassi aziendale

E’ utile esaminare – con argomentazioni di taglio operativo – le principali problematiche civilistiche e fiscali afferenti le operazioni di rappresentanza, di pubblicità e propaganda evidenziandone i riflessi gestionali, anche attraverso un’esauriente panoramica delle fattispecie negoziali maggiormente ricorrenti.
L’esposizione è ricca di riferimenti alle casistiche aziendali più invalse nella prassi e sono al riguardo esposti i risvolti amministrativi dei soggetti coinvolti nel rapporto pubblicitario.

Spese di rappresentanza, pubblicità e propaganda: riflessi contabili ed elementi che determinano la competenza economica, civilistica e fiscale 

Concetto di rappresentanza: importanza della funzione aziendale ricoperta dal soggetto che materialmente sostiene la spesa.

Dal punto di vista lessicale, si sarebbe portati a ritenere che l’atto di rappresentanza sia quello posto in essere da colui che riveste la legale rappresentanza.

In pratica, le spese di rappresentanza sembrerebbero essere quelle sostenute da chi ha funzioni rappresentative, soprattutto nella vita politica e sociale e che sono imposte dalla posizione stessa che si occupa, dalla carica che si ricopre, dal prestigio e dal decoro nell’esercizio della carica.

Invero, la nozione di rappresentanza accolta dall’art.108, comma 2, del DPR 917/86 è diversa da quella etimologica giacché essa è da intendersi riferita non già alla rappresentanza “legale” o istituzionale, come nel caso del Presidente o del Consigliere delegato di un Ente, bensì a tutte quelle attività, da chiunque svolte, di carattere rappresentativo, che, in pratica, proiettano l’immagine dell’impresa esternamente all’ambito aziendale.

La casistica delle spese di rappresentanza coinvolge dunque direttamente l’impresa in quanto tale, indipendentemente dalla funzione del soggetto titolare della spesa, anche se la funzione ricoperta nell’azienda da colui che sostiene la spesa può costituire un valido parametro discriminante tra spesa di rappresentanza, e non.

Infatti, è indubbia la natura di rappresentanza nel caso dell’Amministratore delegato o del Direttore generale che inviti le autorità politiche ad un incontro annuale.

Sussistono, invece, argomenti di difesa per sostenere, anche in sede contenziosa, che la spesa della ristorazione offerta al cliente o al potenziale cliente dal venditore, senza particolari cariche di rappresentatività, durante una trasferta di lavoro, nel corso o al termine di una trattativa commerciale, è costo aziendale riferito a specifica negoziazione e quindi inerente al conseguimento dei proventi, anche solo potenziali1.

 

La finalità delle spese di rappresentanza: analogie e differenze rispetto alle spese pubblicitarie e alle erogazioni liberali

Le finalità

Il Legislatore tributario ha imposto restrizioni alla deduzione delle spese di rappresentanza ritenendo che esse, per una quota determinata forfetariamente nella misura di 1/3, fossero sostenute senza precise finalità commerciali direttamente correlabili con la produzione del reddito.

Va tuttavia evidenziato che, sebbene affievolita rispetto agli altri oneri, l’inerenza delle spese di rappresentanza è fuori discussione.

Del resto anche da tali spese derivano vantaggi di carattere reddituale. Soltanto, però, che sono indiretti e solo eventuali, in quanto tali spese tendono in primo luogo a rendere nota e migliorare nella considerazione del pubblico, l’immagine che l’impresa ha assunto nella realtà economica in cui opera, indipendentemente dai beni e servizi prodotti dall’impresa stessa.

 

Il confronto con pubblicità ed erogazioni liberali

IL PARAGONE CON LE SPESE DI PUBBLICITÀ

Al confronto con le spese pubblicitarie, per le quali l’investitore pianifica scientificamente in avvio di campagna il ritorno economico dell’investimento negli esercizi successivi, le spese di rappresentanza vengono sostenute senza particolari analisi dei costi in relazione ai benefici successivi in termini di maggiori ricavi. Postochè questi ultimi sono perseguiti soltanto in via subordinata rispetto all’obiettivo principale di offrire al pubblico un’immagine positiva dell’impresa e della propria attività in termini di floridezza ed efficienza.

Inoltre, il rapporto sottostante al negozio pubblicitario è di natura sinallagmatica: a fronte del corrispettivo di una parte, o di una specifica contropre- stazione, l’altra parte contraente assume l’obbligo di “dare” o di “fare”, ovvero quello generico di porre all’attenzione del pubblico la prestazione finanziaria dell’impresa erogante.

Le spese di rappresentanza, pur appartenendo al medesimo “genus” delle spese di pubblicità, in quanto anche esse tendono a favorire le vendite, possiedono caratteristiche più o meno marcate di liberalità o di autoconsumo.

Per tale natura di liberalità, le spese di rappresentanza si caratterizzano per l’utilità incondizionata che generano al destinatario.

Infatti, la peculiarità di tali spese consiste nel beneficio che il soggetto de- stinatario da esse ritrae, senza rendersi necessario il verificarsi di alcuna condizione e senza che sul destinatario stesso ricada alcuna obbligazione: né formale, né latente.

 

IL CONFRONTO CON LE EROGAZIONI LIBERALI 

Differentemente dalle spese di rappresentanza, per le quali, come visto, sussiste – seppure in maniera indiretta e affievolita – correlazione tra sostenimento della spesa e il conseguimento dei ricavi, le eroga- zioni liberali sono poste in essere per puro mecenatismo in maniera completamente avulsa da obiettivi di ritorni economici.

Resta inteso che la sussistenza del presupposto della liberalità va esaminato anche con riferimento alla posizione del beneficiario della spesa. Laddove, infatti, con detto soggetto intercorrono dei rapporti commerciali, le erogazioni stesse potrebbero configurarsi come vera e propria “distribuzione” del reddito, e come tali soggette ad imposta.

Qualora, inoltre, le spese siano sostenute a favore dei soci, degli am- ministratori o dei collaboratori autonomi possono configurarsi distribuzione di utili o retribuzioni in natura, così come le erogazioni nei ri- guardi dei dipendenti trovano regolamentazione specifica negli artt.51 e 100 del DPR 917/86.

Le spese di rappresentanza si differenziano anche dalle spese di pro- paganda perché queste ultime, difformemente dalle prime e in analo- gia con le spese pubblicitarie, hanno intrinseca natura promozionale giacché tendono a divulgare i pregi di carattere estetico, economico e salutistico del prodotto, presentando il messaggio veicolato – in prevalenza – sotto la sembianza di informazioni tecniche e di comunicati professionali.

 

Articolazione del piano dei conti idonea a recepire le spese di rappresentanza di utilità istantanea che tuttavia hanno parziale effetto fiscale pluriennale

 Tenuto conto che, come visto, le spese di rappresentanza vengono sostenute in primo luogo per il prestigio dell’impresa e soltanto in via subordinata con la prospettiva del ri- torno economico, l’utilità economica delle stesse si esaurisce nell’esercizio del loro sostenimento.

Le spese di rappresentanza, quindi, devono essere, sotto il profilo civilistico, interamente imputate nel Conto Economico dell’esercizio in cui vengono sostenute giacché non è ravvisabile in alcuna misura correlazione con i ricavi degli esercizi successivi.

Sotto il profilo fiscale, invece, viene affermato per presunzione di legge (Cfr. l’art.108 del DPR 917/86):

  • che è pari ai 2/3 della somma la quota di spesa non inerente;
  • che la quota residua di 1/3 è correlata con i ricavi di 5 esercizi, compreso quello del sostenimento della spesa.

 

La prassi contabile ha dovuto quindi risolvere la dicotomia tra l’esigenza civilistica di “spesare” interamente nell’esercizio le spese di rappresentanza sostenute, e l’esigenza fi- scale di individuare con relativa facilità, a fine anno, la quota di dette spese che forma oggetto di deduzione “rateizzata” in 5 periodi di imposta.

Sul piano operativo, la cennata questione è stata risolta:

  • registrando le operazioni di rappresentanza non “per natura” ma “per destinazione”;
  • enucleando già in sede di imputazione contabile quelle spese che, pur avendo finalità di rappresentanza, sono dalla legge riconosciute in deduzione in un unico esercizio (beni di valore unitario non eccedente Euro 25,82).

 

In sostanza, la procedura generalmente invalsa prevede l’attivazione di tre specifici conti nell’ambito del Gruppo B del Conto Economico “Costi della produzione”: due rientranti nella Voce 6) “Costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci” e uno facente parte della Voce 7) “Costi per servizi”.

Trattasi, in particolare, dei conti “Beni per rappresentanza interamente deducibili” (beni di valore unitario non eccedente Euro 25,82), “Beni per rappresentanza parzialmente deducibili” e “Servizi di rappresentanza”.

La cennata condotta rende senz’altro più onerosa la fase di registrazione contabile, giacché l’operatore amministrativo deve valutare attentamente la natura della spesa prima di effettuare l’imputazione.

Essa tuttavia consente in maniera più agevole lo stanziamento delle imposte a chiusura dell’esercizio e l’elaborazione del Modello Unico allorché, per verificare la natura delle spese, è sufficiente l’esame delle specifiche “schede contabili”, anziché perlustrare il coacervo degli oneri di gestione.

Riportiamo – a seguire – una procedura di contabilizzazione che sostanzia l’impostazione innanzi descritta.

Supponiamo che vengano complessivamente sostenute spese di rappresentanza per Euro 1.000,00 di cui Euro 200,00 per beni di valore unitario non superiore a Euro 25,822.

 

Diversi

 

Debiti V/Fornitori

 

1.040,00

Beni di rappresentanza interamente deducibili 200,00
(Acquisto 10 beni per omaggi – prezzo unitario Euro 20,00)
Beni di rappresentanza parzialmente deducibili 400,00
(Acquisto 4 beni per omaggi – prezzo unitario Euro100,00)
Servizi di rappresentanza 400,00
(Acquisizione servizio hostess per la consegna dei beni)
IVA a credito (beni di prezzo unitario di Euro 20,00) 40,00

 

Lo stanziamento delle imposte comporta:

  • in primo luogo, la neutralizzazione agli effetti fiscali, mediante apposita variazione in aumento, dell’ammontare di Euro 800,00 di tutte le spese a deduzione limitata risul- tanti dalle schede “Beni per rappresentanza parzialmente deducibili” e “Servizi di rappresentanza”;
  • in secondo luogo, il riconoscimento in deduzione della prima delle cinque quote costanti (ciascuna di Euro 53.33, pari a 1/15° di Euro 800,00) relative all’1/3 deducibile delle spese di cui trattasi.

 

Le spese di pubblicità: concretizzazione negoziale e relativo trattamento contabile

 Le spese di pubblicità si concretizzano, sotto il profilo oggettivo, in messaggi fonici e/o visivi diffusi con diversi mezzi per promuovere il consumo di particolari beni e l’utilizzo di determinati servizi, ovvero per favorire presso il pubblico la formazione di un’opinione favorevole sull’attività esercitata dall’impresa e sul suo ruolo nell’ambito della collettività

La pubblicità può essere effettuata o direttamente dall’impresa, o attraverso agenzie che si occupano di farla stipulando particolari convenzioni.

Nel primo caso l’impresa che intende promuovere la propria attività si occupa direttamente di studiare i programmi di pubblicità, ne sopporta le spese e si occupa material- mente di ogni fatto legato alla pubblicità stessa.

Nel secondo caso i rapporti tra l’impresa e l’agenzia sono limitati alla scelta del programma e alla realizzazione del contratto nel quale sono indicate le clausole relative al rapporto commerciale.

In entrambe le circostanze il punto terminale dell’operazione pubblicitaria è il cosiddetto “mezzo”, cioè colui che possiede gli spazi e i tempi attraverso i quali è conseguibile lo scopo pubblicitario.

Trattasi non solo dei soggetti detentori delle forme di comunicazione di massa (Società radiofoniche o televisive, case cinematografiche, editori, impresari, ecc.), ma anche delle Società specializzate nel portare a conoscenza del pubblico indistinto l’esistenza di un prodotto o di un marchio mediante volantini, opuscoli, “mailing list”, cartelloni, organizzatori di mostre e fiere, ecc…..

 

I rapporti contrattuali tipici nell’ambito pubblicitario

La scelta delle imprese di avviare le campagne pubblicitarie avvalen- dosi delle agenzie di pubblicità, comporta il sostenimento

  • Delle spese relative ai “mezzi” pubblicitari (Società radiofoniche o televisive, case cinematografiche, editori, impresari, ecc.) che mettono a disposizione gli spazi e i tempi pubblicitari
    • La fatturazione delle spese relative al “mezzo” è condizionato dalla tipologia del mandato conferito all’agenzia pubblicitaria. Nel caso di mandato con rappresentanza, gli effetti degli atti posti in essere dalle agenzie si producono direttamente in capo al mandante, con la conseguenza sotto il profilo amministrativo, che le fatture dei mezzi debbono essere intestate direttamente all’impresa e non all’agenzia mandataria.
  • Delle spese dell’agenzia di pubblicità per quanto riguarda l’attività preparatoria (ideazione, progettazione, ecc.), la fase intermedia del contatto con il “mezzo” di veicolazione del messaggio e infine la gestione amministrativa e budgetaria

 

L’impresa è l’utente del servizio pubblicitario ed è dunque il cliente tanto per le agenzie pubblicitarie che per i fornitori dei mezzi.

Le agenzie assumono l’incarico per più imprese di studiare, ideare e programmare le campagne pubblicitarie per i rispettivi prodotti impegnandosi nel contempo a mettere in esecuzione la pubblicità (appalto di servizio).

Oltre che la cennata obbligazione di ideazione e progettazione, le agenzie si impegnano, in forza di specifico mandato, a svolgere nei confronti del cliente l’acquisto dello spazio pubblicitario al fine di rendere possibile l’esecuzione della campagna pubblicitaria.

Con riferimento a quest’ultimo rapporto, le agenzie possono operare nei confronti dei clienti imprese o come mandatarie con rappresentanza – e come tali compiere in nome e per conto dei clienti stessi tutti gli atti contrattuali necessari alla realizzazione delle campagne pubblicitarie – ovvero in veste di mandatarie senza rappresentanza ed agire in tal caso in nome proprio ma per conto dei clienti nell’acquisizione del materiale da diffonde- re, degli spazi e tempi pubblicitari.

Oltre che ricorrere al servizio dell’agente pubblicitario, l’impresa può effettuare direttamente la pubblicità stipulando particolari contratti.

Ad esempio, l’impresa può effettuare pubblicità acquisendo beni suscettibili di ammortamento, come le insegne luminose, o gli espositori da concedere in uso ai dettaglianti o ai concessionari.

Essa può anche concedere a terzi l’utilizzo dei propri prodotti in cambio dell’obbligo di questi a divenire veicolo di propagazione dei segni distintivi dell’impresa o dei suoi pro- dotti.

Tale rapporto sinallagmatico è particolarmente diffuso nell’ambito delle promozioni televisive.

Al riguardo si riporta, a titolo esemplificativo, il seguente schema contrattuale.

 

SOCIETÀ TESSILE SpA X – EMITTENTE SpA Z CONTRATTO PER LA MESSA A DIPOSIZIONE DEI COSTUMI DI SCENA VERSO IL CORRISPETTIVO DI PRESTAZIONE PUBBLICITARIA

A seguito delle intese intercorse e premesso che:

  1. l’emittente televisiva “SpA Z” è produttrice del programma “AM” in onda dal …. al …..
  2. la Società “SpA X” ha espresso il desiderio di fornire in affitto alla Società “SpA Z” i capi di ab- bigliamento che il presentatore “SM” indosserà durante il programma

 

si conviene quanto segue:

 

Art.1) – Le premesse fanno parte integrante del presente accordo e vengono qui confermate.

Art.2) – La Società tessile “SpA X” fornirà in affitto all’emit-tente televisiva “SpA Z”, per il pro- gramma televisivo “AM” quanto specificato nel paragrafo B) delle premesse, nei tempi e nei modi già concordati direttamente con la “SpA Z” stessa.

Art.3) – Quale corrispettivo per la fornitura in parola, la TV “SpA Z” verserà alla “SpA X” l’importo complessivo di Euro 100,00 più IVA, previa presentazione di apposta fattura.

Art.4) – L’emittente “SpA Z” si impegna a che la Società “SpA X” sia citata nei titoli di coda con la dicitura: “gli abiti indossati da SM sono della Società X”.

Art.5) – A fronte degli obblighi assunti dalla TV “SpA Z” in dipendenza del presente accordo, la So- cietà “SpA X” verserà alla TV “SpA Z” l’importo  complessivo  di  Euro  400,00 più IVA, su presenta- zione di apposita fattura.

Art.6) – I beni oggetto della presente saranno restituito da parte una volta esaurite le esigenze di programmazione, nello stato in cui si trovano.

Art.7) – Le fatture emesse dalle parti di cui agli artt. 3) e 5) si intendono finanziariamente compen- sate tra loro rimanendo regolata per cassa la sola differenza.

 

La prospettata ipotesi contrattuale risulta formalmente costituita da due distinti rapporti contrattuali: uno di locazione di cose mobili, a fronte di corrispettivo in denaro, l’altro di prestazione di servizi di pubblicità, anch’esso a fronte di corrispettivo in denaro.

Esiste dunque un sinallagma non solo fra locazione e corrispettivo da una parte e pubblicità e corrispettivo dall’altra, ma anche tra locazione e pubblicità.

 

Il carattere pluriennale delle spese di pubblicità.

 Il criterio di imputazione delle spese di pubblicità è quello descritto nell’art.2426 intitola- to “Criteri di valutazione”, laddove è previsto al punto 5) che

“i costi … di pubblicità aventi natura pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso del Collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Fino a che l’ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati.”

In quanto tempo debbono essere spesati i costi pubblicitari

Per capitalizzare le spese pubblicitarie occorre che:

  • la spesa possieda valenza pluriennale;
  • il ciclo di ammortamento non ecceda 5 esercizi;
  • vi sia il consenso del Collegio sindacale alla capitalizzazione del costo;
  • la Società non disponga di distribuire dividendi fino al termi- ne del processo di ammortamento, a meno che in bilancio non siano iscritte riserve disponibili civilisticamente (anche in sospensione di imposta) sufficienti a sopperire al costo ancora non ammortizzato;
  • l’ammortamento sia effettuato in maniera “sistematica” in 5 anni (art.2426, comma 1, punto 2), del C.C.

(Una volta soddisfatti i menzionati requisiti posti per la patrimonializzazione, le spese di pubblicità possono, in sede di predisposizione del progetto di bilancio, essere stornate dal Conto Economico ove sono state imputate nel corso dell’anno tra l’acquisizione di servizi presso terzi, e possono essere iscritte nella categoria delle “Immobilizzazioni immateriali” giacché partecipano alla formazione del risultato di più esercizi.)

La sistematicità dell’ammortamento non deve essere intesa nel senso che l’ammortamento deve essere effettuato in quote costanti, ma che esso deve essere determinato in base a precisi piani organici predisposti dagli amministratori.

Il requisito della sistematicità è stato posto dalla legge per evitare che la determinazione degli ammortamenti venga di anno in anno modificata, mediante accelerazioni o decelera- zioni, non per motivazioni economiche ma per mere politiche di bilancio.

In linea generale le spese pubblicitarie debbono essere sempre collegate al vantaggio economico che l’impresa ritrae dal loro sostenimento, e poiché occorre prendere atto che il messaggio promozionale influisce sulla psicologia dei consumatori per un tempo indeterminato, rapportabile in via di massima all’intero arco della vita aziendale, è legittimo trasferire parte degli oneri pubblicitari agli esercizi successivi, in modo da correlare gli oneri con i proventi3.

In vero, le spese pubblicitarie capitalizzabili vanno circoscritte a quelle che hanno carattere eccezionale e sono direttamente sostenute per campagne relative all’introduzione sul mercato di nuovi prodotti e di nuovi marchi, sempreché esistano fondate aspettative circa la futura utilità della campagna stessa4.

Tali spese capitalizzate vanno ammortizzate entro un periodo non superiore a 3 anni a partire da quello in cui si è sostenuto il costo, mediante quote prestabilite in misura costante o commisurate ad altri parametri. I costi ancora da ammortizzare vanno, in tutto o in parte, svalutati nell’esercizio in cui si rilevi un esito non conforme o non pienamente rispondente alle aspettative.

Per inciso, va osservato che la ripartizione pluriannuale delle spese di pubblicità capitalizzate è regolata in modo preciso sia nella normativa civilistica che in quella fiscale.

Tuttavia i due sistemi non sono perfettamente coordinati tra loro e nel prospetto che segue si evidenziano i punti di divergenza.

 

AMMORTAMENTO CIVILISTICO DELLE SPESE DI PUBBLICITÀ CAPITALIZZATE DEDUZIONE FISCALE IN PIÙ PERIODI DI IMPOSTA A DECORRERE DA QUELLO DEL SOSTENI MENTO DELLA SPESA PUBBLICITARIA
Ciclo di ammortamento sino a 5 esercizi Deduzione in 5 periodi di imposta
Quote di ammortamento anche non costanti Deduzione in 5 periodi di imposta
Necessario recepimento in contabilità generale Ripartizione anche solo extra contabile (Dichiarazione dei redditi)

 

In sostanza, sotto il profilo fiscale, l’ammortamento delle spese di pubblicità può avveni- re:

  • integralmente nel periodo di imposta in cui la spesa di pubblicità si intende sostenuta ai sensi dell’art.109, comma 2. Del DPR 917/86;
  • in quote costanti per la durata di 5 periodi di imposta, compreso quello del sostenimento della spesa.

 

A questo riguardo occorre rilevare che la formulazione letterale della legge non sembra consentire durate di ammortamento intermedie tra zero e cinque anni.

La scelta proposta dalla legge è in fatti chiara: o integrale deduzione nel periodo del so- stenimento della spesa, o deduzione per quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi, senza esserci possibilità di soluzioni intermedie come, ad esempio, la ripartizione in quattro periodi di imposta.

 

Natura della spesa pubblicitaria e grado di utilizzazione nel tempo

Nell’ambito delle spese di pubblicità, occorre distinguere almeno tre categorie:

  • la pubblicità “istituzionale”;
  • la pubblicità “di mantenimento”;
  • la pubblicità “di prodotto”.

La “pubblicità istituzionale” è attuata con l’obiettivo di creare un’immagine favorevole all’impresa: non presenta prodotti ma le attività svolte, le risorse impiegate, il contributo dato allo sviluppo dell’economia del Paese e del progresso sociale.

Tipico esempio è quello della casa automobilistica che, a tutta pagina, reclamizza il solo proprio nome, per mesi e mesi, sui quotidiani. Oppure quello di un classico assai discusso per le tematiche raffigurate: il mega poster di una nota “casa” della moda giovanile.

La “pubblicità di mantenimento” è quella destinata a mantenere la quota di mercato conquistata rivitalizzando presso il pubblico le qualità dei prodotti e dei servizi già immessi al consumo.

La “pubblicità di prodotto” è effettuata al fine di aumentare la vendita di un bene o di un servizio o, anche, di diffondere l’accettazione di un’idea. In questo caso l’impresa non è neppure nota al compratore.

Qualora si ritenga che l’utilità della pubblicità effettuata per il nuovo prodotto sia di tipo prospettico, generando aspettativa di maggiori ricavi per almeno due anni, si potrà procedere a contabilizzare la spesa ad incremento del patrimonio e alla sua “spesatura” in più esercizi, a partire da quello del sostenimento del costo.

Per quanto riguarda, invece, i costi per la pubblicità di puro “mantenimento” o quella di tipo “istituzionale” è difficile ravvisare l’utilità economica prospettica giacché essi sono “a difesa” delle posizioni già conquistate.

Appare quindi corretta la loro immediata diretta imputazione tra i costi di eser- cizio.

 

 

Dott. Giovanni Mocci

Aprile 2007

 

 

NOTE

1 Cfr. le sentenze della Corte di Cassazione n.7803 dell’8 giugno 2000 e n.13408 del 9 ottobre 2000 con le quali i Giudici hanno ritenute valide le ragioni del contribuente per sostenere la piena deduzione degli esborsi sostenuti genericamente a vantaggio della clientela, o di uno o più clienti in particolare, ma pur sempre in relazione ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito.

2 Si ricorda, per inciso, che in base al disposto dell’art.19bis-1, lettera h), del DPR 633/72, non è ammessa in detrazione l’IVA relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a lire cinquantamila (ora Euro 25,82) Per detti beni, pertanto, l’IVA non forma onere accessorio di diretta imputazione.

3 Per completezza di informazione è utile ricordare che, ai sensi dell’art.2427 punto 3) del C.C., nella nota integrativa occorre indicare la composizione della voce relativa al costo di pubblicità nonché le ragioni della relativa iscrizione e dei criteri di ammortamento. Nella relazione del Collegio sindacale, inoltre, deve essere espressamente indicato l’assenso alla capitalizzazione.

4 Cfr. l’ASSONIME, Circolare n.96 del 15 giugno 1982

 

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