Come è noto, il Collegato alla Finanziaria 2007 incide sull’attività di controllo e accertamento. Verifichiamo le novità di maggiore interesse e impatto per i contribuenti, su aspetti finora poco attenzionati.
Il contrasto all’evasione doganale
Con i commi da 1 a 5, dell’art. 1, del D.L. n.262/86, convertito, con modificazioni, in legge n.286/06, sono state apportate una serie di modifiche normative, tese a garantire una migliore lotta all’evasione doganale.
In particolare, con determinazioni del direttore dell’Agenzia delle dogane, da adottarsi entro dodici mesi, sono stabiliti tempi e modalità per la presentazione esclusivamente in forma telematica:
a) dei dati relativi alle contabilità degli operatori, qualificati come depositari autorizzati, operatori professionali, rappresentanti fiscali ed esercenti depositi commerciali, concernenti l’attività svolta nei settori degli oli minerali, dell’alcol e delle bevande alcoliche e degli oli lubrificanti e bitumi di petrolio, a norma degli artt. 5, 8, 9, 25, 29, 61 e 62 del T.U. delle accise di cui al D.Lgs. n. 504/1995;
b) del documento di accompagnamento previsto per la circolazione dei prodotti soggetti o assoggettati ad accisa ed alle altre imposizioni indirette previste dal testo unico delle accise di cui al D.Lgs. n.504/1995, a norma degli artt. 6, 10, 12, 61 e 62;
c) delle dichiarazioni di consumo per il gas metano e l’energia elettrica di cui agli artt. 26 e 55 artt. 26 e 55 del citato T.U. delle accise.
Inoltre, il legislatore della legge n.286/06 – facendo seguito a quanto già introdotto in sede di D.L.n.223/06, convertito, con modificazioni in legge n.248/06 ( fideiussione per le nuove partite Iva che intendono svolgere operazioni intracomunitarie ) – intervenendo sull’art. 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha previsto che i soggetti esercenti le attività di deposito fiscale per i prodotti soggetti ad accisa ed i depositi doganali, anteriormente all’avvio della operatività quali depositi IVA, presentano agli uffici delle dogane e delle entrate, territorialmente competenti, apposita comunicazione anche al fine della valutazione, qualora non ricorrano i presupposti di cui al comma 2, quarto periodo, della congruità della garanzia prestata in relazione alla movimentazione complessiva delle merci.
Ed ancora, in applicazione del disposto dell’art.11, paragrafo 1 del regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, al fine di contenere i costi, l’ufficio doganale competente, previo consenso del titolare del diritto di proprietà intellettuale e del dichiarante, detentore o proprietario delle merci sospettate, può disporre, a spese del titolare del diritto, la distruzione delle merci medesime.
È fatta salva la conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari. Ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia e dello sviluppo economico, è demandata la definizione delle modalità e dei tempi di tale procedura (1).
Vengono, inoltre, potenziati i poteri degli uffici delle dogane, parificandoli – di fatto – a quelli attribuiti all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza.
Infatti, per il controllo e la repressione delle violazioni in materia di Iva intracomunitaria sono attributi non solo i poteri di cui all’art. 52 del D.P.R.n.633/72 ma anche quelli di cui all’art. 51 del citato D.P.R.n.633/72, e dal punto di vista procedurale le autorizzazioni per le richieste dei controlli bancari, sono rilasciate, per l’Agenzia delle dogane, dal Direttore regionale.
Inoltre, l’art.1, comma 2, del decreto, ha introdotto un comma 2-bis, all’art. 50-bis, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427.
Il comma 1 dell’art. 50-bis individua determinate tipologie di depositi per i quali non si rende necessaria una preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle Entrate per essere adibiti anche a depositi Iva in quanto già valutati positivamente ed autorizzati, sia pure ad altri fini, dall’Amministrazione doganale. In particolare, a norma del comma 1 citato, infatti, sono abilitate a gestire i depositi Iva:
- le imprese esercenti magazzini generali, già munite di autorizzazione doganale;
- le imprese esercenti depositi franchi;
- le imprese operanti in punti franchi.
Possono essere utilizzati anche come depositi Iva:
- i depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa;
- i depositi doganali, ivi compresi quelli per la custodia e la lavorazione delle lane, di cui al D.M. 28 novembre 1934, relativamente ai beni nazionali e comunitari che in base alle disposizioni doganali possono essere introdotti conformemente alla normativa vigente in materia.
In base al nuovo comma 2-bis, i soggetti esercenti i depositi predetti, qualora intendano utilizzarli anche come depositi Iva, devono darne preventiva comunicazione agli uffici territorialmente competenti dell’Agenzia delle Dogane e dell’Agenzia delle Entrate, anche ai fini della prestazione della garanzia prevista dal codice doganale comunitario, in relazione alla movimentazione complessiva delle merci (artt. 88 e 104 del CDC).
Peraltro, nel caso di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata, di società cooperative o enti con capitale o fondo di dotazione non inferiore a 516.456,90 euro, pur sussistendo egualmente l’obbligo di comunicazione in discorso, non è previsto un ulteriore adeguamento della garanzia.
La norma in commento è posta a tutela dei poteri di controllo dell’Amministrazione e costituisce una misura destinata a contrastare le frodi nel settore.
La circolare n. 1 del 19 gennaio 2007 precisa che “ per i predetti depositi doganali e fiscali, adibiti dal contribuente anche a depositi Iva, gli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza, previa intesa con gli uffici doganali competenti, possono effettuare i controlli relativi alla correttezza delle operazioni afferenti i beni custoditi in regime di deposito Iva”.
Frodi Iva
Il regime transitorio dell’Iva, ideato in modo tale che le cessioni di beni all’interno della Unione Europea siano esenti nello Stato membro d’origine dei beni e siano invece soggette alla tassazione nello Stato di destinazione, ha generato sofisticati meccanismi di frode intracomunitaria.
Come chiaramente descritto in dottrina (2)
“la cosiddetta frode carosello è una tipologia di reato fiscale sviluppatasi molto in questi ultimi anni e caratterizzata dalla presenza di una o più società fittizie con sede in diversi Stati membri che abusano dell’esenzione Iva nelle transazioni intracomunitarie. Una società intermedia A effettua una cessione di merci intracomunitaria esente ad una società fittizia B in un altro Stato membro.
La società B acquista le merci senza pagare l’Iva e poi effettua una cessione nazionale ad una terza società C, denominata broker. La società fittizia incassa l’Iva sulle vendite fatte al broker ma non versa l’Iva all’Erario e scompare.
Il broker C chiede il rimborso dell’Iva sugli acquisti effettuati presso B.
Di conseguenza, la perdita finanziaria per l’Erario è pari all’Iva pagata da C a B. In seguito, la società C può dichiarare una cessione intracomunitaria esente alla società A e quest’ultima può, a sua volta, effettuare una cessione intracomunitaria esente a B ed il ciclo della frode si ripete.
Il continuo ripetersi del ciclo della frode spiega l’appellativo di frode carosello.
Per sviare le indagini sull’Iva, le merci sono spesso fornite da B a C tramite società intermediarie, denominate società cuscinetto che talvolta sono all’oscuro della frode in atto, ma nella maggior parte dei casi sanno di essere coinvolte in un tipo di transazione irregolare, data la natura insolita dell’operazione commerciale”.
Da più parti si sono invocate specifiche iniziative – da alcuni anni l’Amministrazione finanziaria vigila costantemente su tali operazioni- ed una assistenza reciproca fra gli Stati coinvolti sempre maggiore.
E’ necessario, fra l’altro:
- che le amministrazioni fiscali identifichino le società che chiedono l’apertura di una partita Iva al solo scopo di realizzare operazioni fraudolente;
- prevedere appositi sistemi di intelligence e di valutazione dei rischi;
- procedere alla immediata cancellazione delle partitaIva delle società fittizie;
Oggi, l’Italia, attraverso l’art.1, commi da 9 a 12 del cd. Collegato alla Finanziaria 2007, al fine di contrastare le frodi Iva, nel settore auto estere, ha previsto che per l’immatricolazione di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi, usati e nuovi, acquistati da soggetti intracomunitari a titolo oneroso, è necessario allegare alla richiesta un mod. F24, riportante i dati identificativi del mezzo e l’ammontare dell’Iva assolta in occasione della prima cessione interna.
Per i mezzi provenienti da paesi extracomunitari occorre , sempre ai fini dell’immatricolazione, una certificazione doganale attestante il pagamento dell’Iva e contenente il riferimento all’eventuale utilizzazione, da parte dell’importatore, del plafond di cui all’art. 8, comma 2, del D.P.R.n.633/72.
La disposizione di cui trattasi si applica ai veicoli nuovi ed usati per i quali si siano verificate le condizioni di acquisto intracomunitario previste dall’art. 38 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n.427, norma che stabilisce che gli acquisti intracomunitari devono considerarsi realizzati in presenza delle seguenti condizioni:
– l’acquisto (salvo talune deroghe previste al comma 3 dello stesso art. 38) deve essere effettuato
“nell’esercizio di imprese, arti e professioni o comunque da enti, associazioni o altre organizzazioni di cui all’art.4, comma 4, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, soggetti passivi d’imposta nel territorio dello Stato”;
– il cedente deve essere un soggetto passivo d’imposta identificato in un altro Stato membro;
- l’acquisto deve avere ad oggetto un bene mobile materiale comunitario o immesso in libera pratica in ambito comunitario;
- l’acquisto deve essere effettuato a titolo oneroso con passaggio del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento;
- il bene proveniente da altro Stato membro deve giungere in Italia.
Per ulteriori chiarimenti sull’argomento si rinvia alla circolare l’Agenzia delle Entrate rinvia alla circolare n. 40/E del 17 luglio 2003.
Rimangono comunque ferme le disposizioni di cui al comma 378 dell’art. l della L. 30 dicembre 2004, n. 311, riguardanti gli obblighi e i termini di comunicazione posti a carico dei soggetti operanti nell’esercizio di imprese, arti e professioni in materia di acquisto di autovetture di provenienza intracomunitaria.
In particolare, come disposto con il D.Int. 8 giugno 2005 e successivamente chiarito con la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 41/E del 26 settembre 2005,
“ i soggetti di imposta trasmettono al Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro il termine di quindici giorni dall’acquisto e, in ogni caso, prima dell’immatricolazione, il numero identificativo intracomunitario nonché il numero di telaio degli autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi acquistati.
Viene inoltre previsto che per i successivi passaggi interni precedenti l’immatricolazione il numero identificativo intracomunitario è sostituito dal codice fiscale del fornitore e che la comunicazione è altresì effettuata, entro il termine di quindici giorni dalla vendita, anche in caso di cessione intracomunitaria o di esportazione dei medesimi veicoli”.
Il comma 10, riguardante le importazioni dei medesimi veicoli, dispone che per ottenere l’immatricolazione è necessario produrre certificazione doganale da cui risulti l’assolvimento dell’Iva.
Qualora l’importazione sia stata effettuata avvalendosi della facoltà di operare acquisti senza pagamento d’imposta, riconosciuta ai cosiddetti esportatori abituali dall’art.8, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella menzionata certificazione doganale dovrà farsi riferimento anche al plafond utilizzato dall’importatore;
il comma 11 dispone che la decorrenza delle norme sopra illustrate e i criteri per individuare le ipotesi di esclusione dall’applicazione delle stesse vengano determinati con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate;
il comma 12, nel modificare il comma 380 dell’art. 1 della L. 30 dicembre 2004, n. 311, stabilisce la gratuità della convenzione prevista tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle dogane, riguardante la definizione delle procedure per la trasmissione telematica dei dati attinenti alla verifica di adempimenti fiscali relativi all’immatricolazione in Italia di veicoli nuovi e usati, acquistati o importati da Stati esteri.
Gli obblighi di comunicazione per le società sportive
Come è noto, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 reca disposizioni relative all’anagrafe tributaria e al codice fiscale. L’anagrafe tributaria raccoglie e ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari.
I dati e le notizie raccolti sono comunicati agli organi dipendenti dal Ministro per l’Economia e delle Finanze preposti agli accertamenti ed ai controlli relativi alla applicazione dei tributi ed, in particolare, ai fini della valutazione della complessiva capacità contributiva e degli adempimenti conseguenziali di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento, all’ufficio locale delle Entrate nella cui circoscrizione il soggetto ha il domicilio fiscale. Sulla base dei dati in suo possesso l’anagrafe tributaria provvede alle elaborazioni utili per lo studio dei fenomeni fiscali.
Oggi, dopo che il comma 35-bis, dell’art. 35, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, aveva imposto alle società di calcio professionistiche di inviare – telematicamente – all’Agenzia delle Entrate copia dei contratti di acquisizione delle prestazioni professionali dei calciatori nonché copia dei contratti riguardanti i compensi pattuiti, viene previsto – art. 1, comma 7, della legge n.286/06 – l’obbligo di trasmissione telematica “ dei contratti di sponsorizzazione stipulati dagli atleti medesimi in relazione ai quali la società percepisce somme per il diritto di sfruttamento dell’immagine”.
Il controllo sulle società calcistiche si fa quindi sempre più penetrante (3), dopo anche l’interrogazione e la risposta parlamentare n. 5-05144 del 1° febbraio 2006, del sottosegretario on. Daniele Molgora all’interrogazione presentata dall’on. Sergio Rossi, circa l’esposizione debitoria per tributi erariali delle società calcistiche di serie A e B.
Gianfranco Antico
Marzo 2007
NOTE
(1) Sempre al fine del contenimento dei costi, l’amministrazione competente alla custodia dei tabacchi lavorati, decorso un anno dal momento del sequestro, procede alla distruzione dei prodotti, previa campionatura da effettuare secondo modalità definite con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della norma in esame.
(2) Francesco Tagliafierro e Lucio Tagliaferro, Unione europea: la “ frode carosello”. Una tipologia di reato fiscale, in “il fisco” n. 38/2004, pag. 6516.
(3) Si rileva, per completezza, che con R.M. n.213 del 19 dicembre 2001, rispondendo ad una Direzione Regionale che aveva richiesto un parere sull’imponibilità ai fini Irap dei proventi che le società calcistiche realizzano all’atto del trasferimento dei calciatori ( il dubbio interpretativo è sorto in seguito alle indicazioni fornite dalla Federazione Italiana … – Lega Nazionale Professionisti che, da ultimo con nota del 1 marzo 2001, ha affermato che “l’eventuale maggior somma conseguita nella cessione del contratto di un calciatore non costituisce plusvalenza tassabile agli effetti Irap” ), ha affermato che esse concorrono a formare la base imponibile Irap della società sportiva ai sensi dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 446 del 1997. Le Entrate, partono dalla normativa di riferimento, secondo cui il contratto di prestazione sportiva tra le società e gli sportivi professionisti è attualmente disciplinato dalla L. 23 marzo 1981, n.91, e dal D.L. 20 settembre 1996, n.485, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 novembre 1996, n. 586. A seguito proprio della legge di riforma n.91/1981 tutti gli elementi del rapporto di lavoro tra società e atleta professionista, compresa la durata del rapporto stesso, sono esclusivamente fissati nel contratto di prestazione sportiva. In particolare, in base all’art.5 della citata legge, “il contratto … può contenere l’apposizione di un termine risolutivo, non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto … . È ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un’altra, purché vi consenta l’altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali”. La tesi sostenuta dalla Federazione Italiana fa riferimento ad un certo indirizzo dottrinario che considera tale fattispecie caratterizzata dalla commistione di almeno tre atti, o contratti, distinti. Il primo è l’accordo tra due società sportive e l’atleta per il trasferimento di quest’ultimo; il secondo è l’accordo tra le due società sportive per la risoluzione anticipata del contratto di prestazione sportiva in essere; il terzo è la stipulazione del nuovo contratto di prestazione sportiva, tra l’atleta e la nuova società. In sostanza, si afferma che il corrispettivo versato dalla società che acquisisce le prestazioni sportive dell’atleta, non ha come causa la cessione del contratto esistente, ma solo la sua anticipata cessazione. La società cessionaria non acquista il contratto in essere, ma solo il diritto di concludere un nuovo contratto con l’atleta, peraltro subordinato alla concorde volontà di quest’ultimo. Secondo questa tesi il diritto a concludere un nuovo contratto con l’atleta, per quanto bene immateriale, non sarebbe annoverabile tra quelli strumentali all’esercizio dell’attività sportiva. Ciò perché, in assenza della stipulazione del successivo contratto di prestazione sportiva, questo diritto “non è suscettibile di alcuna autonoma funzione produttiva”. Di conseguenza, “le somme pattuite tra le società sportive per l’anticipata risoluzione del contratto di lavoro del calciatore professionista non costituiscono plusvalenze relative a beni strumentali, soggette all’imposta regionale sulle attività produttive.”
L’Amministrazione finanziaria non condivide tale tesi, sostenuta dalla Federazione Italiana, per diverse ragioni:
“in primo luogo, pur riconoscendo che l’accordo per il trasferimento di un atleta è a volte il risultato di trattative complesse e di più atti tra loro collegati, soprattutto nel caso della cessione di calciatori professionisti molto quotati o nel caso del trasferimento del calciatore da o per l’estero, si ritiene che la fattispecie non si discosti dallo schema tipico della cessione del contratto. Infatti, oggetto del contratto tra la società sportiva e l’atleta è il diritto alla prestazione sportiva esclusiva per la durata del contratto stesso. Con la cessione del contratto, la società sportiva cessionaria acquista, con il consenso dell’atleta ceduto, proprio il diritto oggetto del contratto e succede in tutti gli obblighi e i diritti connessi. La società cessionaria, in base agli accordi con l’atleta, potrà: – continuare il rapporto contrattuale con i medesimi contenuti; – regolarlo in modo diverso (quanto a durata, corrispettivo ed altri elementi accessori); – cedere, a sua volta, il diritto alla prestazione sportiva, prima della scadenza pattuita”;
gli artt. 95 e seguenti delle Norme Organizzative Interne, con le quali la Federazione Italiana… ha disciplinato la “variazione di tesseramento” del calciatore, fanno riferimento espresso alla cessione del contratto. In particolare, la variazione di tesseramento di un calciatore consegue alla scadenza di un precedente contratto di prestazione sportiva o alla cessione dello stesso prima della scadenza. Inoltre è espressamente previsto che il rapporto conseguente alla cessione del contratto possa avere scadenza diversa da quella originaria. In sostanza, con la cessione del contratto, ciò che viene ceduto è il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta dietro corrispettivo, che costituisce l’elemento essenziale del contratto. L’eventuale modifica di elementi accessori del contratto ceduto, quali la scadenza o la quantificazione del corrispettivo, non influisce sulla qualificazione giuridica della fattispecie.
Pertanto, “ il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta, oggetto del contratto ceduto, deve essere considerato un bene immateriale strumentale. Secondo corretti principi contabili di redazione del bilancio, il relativo costo è un’immobilizzazione, in quanto non esaurisce<SP