Qualora il Fisco contesti al contribuente che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti è del contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni. Così ha stabilito una sentenza di Cassazione.
Con sentenza n. 28695 dell’11 ottobre 2005, depositata il 23 dicembre 2005, la Corte di Cassazione ha affermato che qualora l’Amministrazione contesti al contribuente che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, incombe sul contribuente stesso dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.
A tal fine non è sufficiente la mera esibizione dei mezzi di pagamento (assegni) che, normalmente, vengono utilizzati fittiziamente (nel caso di specie, essi erano ritornati, dopo varie girate, nella disponibilità della contribuente).
Fatto
L’allora ufficio Iva di Bolzano, in base alle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza di Bolzano, notificava nei confronti della B. S.r.l. , rettificava la dichiarazione annuale Iva del 1991. In forza di detto verbale, l’ufficio contestava l’utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti perché una serie di assegni emessi a pagamento delle medesime fatture erano stati incassati dalla stessa società; procedeva quindi al recupero dell’Iva indebitamente detratta e irrogava le conseguenti sanzioni.
La società proponeva ricorso, che veniva respinto sia dai giudici di prime cure che dai giudici del riesame.
Per la Cassazione di questa decisione la società ha proposto ricorso, articolato su tre motivi:
· violazione dell’art. 56 del D.P.R. n. 633/1972, rilevando la carenza di motivazione dell’avviso di rettifica in relazione all’art. 360, n. 3), del codice di procedura civile. In modo specifico, viene rilevato che la motivazione dell’atto si sostanziava in un mero rinvio al processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, senza alcuna autonoma valutazione del materiale probatorio da parte dell’ufficio, pur ammettendosi la legittimità della motivazione per relationem;
· violazione degli artt. 53, 54, 21, 28, 41 e 43 del D.P.R. n. 633/1972, anche in relazione agli artt. 2727, 2729 e 2697 del codice civile, violazione dell’art. 51, comma 2, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 anche in relazione alla circolare del Ministero delle finanze n. 116 del 10 maggio 1996, violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 116 del codice di procedura civile, nonché motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, nn. 3), 4) e 5), del codice di procedura civile.
Viene, in particolare, rilevato che: la sentenza di seconde cure fondava le proprie argomentazioni esclusivamente sui versamenti bancari, dato di per sé non conclusivo; tali versamenti concernevano la liquidazione di assegni, il cui importo era stato poi utilizzato per pagare le fatture, emesse dai vari fornitori, che le avevano regolarmente annotate; i secondi giudici non avevano spiegato perché non era stata data rilevanza anche ai prelievi di detti conti; la Guardia di finanza non aveva proceduto alla verifica circa l’effettiva esecuzione delle opere indicate nelle fatture; la società aveva fornito la prova di quanto assunto, producendo in primo grado un elaborato peritale; in merito a questa relazione tecnica era stata omessa la pur minima considerazione; non era stata data la prova di quanto affermato; le presunzioni fondate sulle risultanze del processo verbale di constatazione erano prive dei caratteri della precisione e concordanza, oltre che della gravità; l’iter logico ricostruttivo dell’avviso di rettifica era incorso nel divieto della praesumptio de praesumpto;
· violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 1, ultimo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, anche in relazione all’art. 329 del codice di procedura penale, nonché violazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 633/1972, in riferimento all’art. 220 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, in relazione all’art. 360, n. 3), del codice di procedura civile.
La sentenza
Il ricorso di parte è stato disatteso dalla Corte di Cassazione, in quanto destituito di fondamento.
In ordine al primo motivo di censura, va rilevato che l’invocata norma dell’art. 56 del D.P.R. n. 633/1972, in tema di motivazione delle rettifiche e degli accertamenti in materia di Iva, richiede i generali requisiti dei provvedimenti impositivi.
“ Nel caso di specie, non è contestato che l’avviso di rettifica richiamasse specificamente il verbale di constatazione della Guardia di finanza (13 dicembre 1996), notificato alla società pochi giorni dopo (18 dicembre 1996), per cui non può revocarsi in dubbio l’effettiva conoscenza dell’atto amministrativo ai fini della validità dell’atto impositivo, da un lato, e del compiuto esercizio del diritto di difesa, dall’altro.
È orientamento consolidato di questa Suprema Corte che l’avviso di accertamento può essere motivato per relationem, realizzandosi così un’economia di scrittura; ma è valido alla sola condizione che contenga un rinvio ad atti e documenti, anche non allegati e non riprodotti, purché conosciuti o conoscibili [Cass. 1° aprile 2003, n. 4989]. Sicché il requisito motivazionale si rivela presupposto in re ipsa quando il riferimento relazionale attiene ad un verbale di ispezione notificato al contribuente [Cass., Sez. trib., 25 maggio 2001,n. 7149]. Tale avviso è nullo solo quando non sia reso noto al contribuente l’atto cui si rinvia per relationem; e tale nullità – secondo un orientamento rigoroso (Cass., Sez. trib., 3 dicembre 2001, n. 1534) – non può essere sanata con la produzione in giudizio dell’atto oggetto del rinvio”.
Inoltre, osservano i giudici,
“ la motivazione degli avvisi di accertamento con richiamo del verbale redatto dalla Guardia di finanza non arreca alcun pregiudizio allo svolgimento del contraddittorio ed al diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione [Cass., Sez. trib., 4 novembre 2002, n.15379, conforme a Cass., Sez. trib., 17 giugno 2002, n.8960]”.
Sul punto specifico della prova, la Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza del Collegio,
“ secondo cui in tema di Iva, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative a prestazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza dell’operazione mediante l’esibizione dei relativi documenti contabili”,
afferma che
“ quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione, questa deve ritenersi indebita, sicché legittimamente l’ufficio provvede a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta [Cass., Sez. trib., 25 gennaio 2001, n. 13662; Cass., Sez. trib., 3 maggio 2002, n.6341]”.
La Corte aggiunge che
“ detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente e che, pertanto, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza o assenza deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali [Cass. 3 dicembre 2001, n. 15228; Cass. 5 novembre 2001, n. 13662]”.
NOTA
La sentenza che si annota ci sembra interessante, atteso che sul tema la dottrina è concorde nel ritenere che l’onere della prova costituisce un elemento ineliminabile del processo tributario (cfr., per tutti, TINELLI, v. ” Prova ” – V diritto tributario – in ” Enciclopedia Giuridica Treccani “) e che nel processo tributario spetterebbe all’Ufficio provare i fatti posti a fondamento della pretesa fiscale, in quanto pur se il processo tributario si origina da un atto ( il ricorso ) del contribuente, ciò non comporta che sia quest’ultimo a ricoprire la posizione dell’attore, posizione da rinvenirsi, invece, nell’Amministrazione finanziaria che, mediante l’atto avverso il quale il contribuente ricorre, afferma la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità di alcune disposizioni tributarie.
Sul punto dottrina autorevole ha sostenuto che tale regola processuale comporta che, qualora vi sia incertezza in relazione a un determinato fatto e la stessa non sia stata eliminata mediante i previsti mezzi di prova, il fatto è da ritenersi inesistente, non potendosi il Giudice limitare alla constatazione della mancata prova del fatto incerto, dovendo necessariamente pronunciarsi sulla sussistenza o meno del fatto controverso (cfr. fra gli altri, LUPI, ” L’onere della prova nella dialettica del giudizio sul fatto “, in ” Rivista di Diritto Tributario “,1993,pag. 1212; BATISTONI FERRARA, ” Processo tributario – riflessioni sulla prova “, in ” Diritto e Pratica Tributaria “, 1983, I, pag.1603) e tale pensiero dottrinale ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, la quale ha affermato che “….in materia tributaria l’autorità amministrativa deve accertare, prima di emettere il provvedimento impositivo, il presupposto di fatto di esso e, posto che oggetto del giudizio determinato da tale procedimento è l’effettiva esistenza del credito vantato dall’amministrazione,….la verifica ( positiva) dell’indicato presupposto va compiuta dal giudice (in giudizio) con onere probatorio a carico dell’amministrazione medesima, secondo la regola generale dettata dall’art.2697 c.c. “ (cfr. Cass., SS.UU., Sez.I, 9 febbraio – 3 agosto 1989,n.3578, Cass., 21 dicembre 1988 – 28 aprile 1990, n.605) e della Commissione Tributaria Centrale. con la sentenza n. 7504 del 19 novembre 1990 ( Sez.13 ) ha ritenuto che la “ prova “ dell’avvenuto pagamento mediante banca acquista efficacia probatoria dell’esistenza di una operazione soggetta all’Iva.
La sentenza fissa adesso un importante principio, che per certi versi ribalta un indirizzo precedente (pur se altre sentenze avevano già affermato – Sent. n. 19109 del 15 giugno 2005, dep. il 29 settembre 2005 – che qualora l’Amministrazione fornisca validi elementi di provaper affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioniinesistenti, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettivaesistenza delle operazioni): in caso di contestazioni relative a fatture per operazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di dimostrare la legittimità e correttezza delle operazioni mediante esibizione dei relativi documenti contabili e degli elementi necessari a suffragare l’operazione.
Palermo, agosto 2006
Gianfranco Antico