Il trattamento civilistico e fiscale delle spese di manutenzione

Approfondiamo il trattamento civilistico e fiscale delle spese di manutenzione: la manutenzione ordinaria e straordinaria sui beni di proprietà dell’impresa e su beni di terzi.
A cura di Daniele Cherubini

Le spese di manutenzione: premessa

 Le spese di manutenzione comprendono tipologie di costi che subiscono un trattamento assai diverso a seconda:

  • della loro natura;
  • della titolarità del bene cui dette spese afferiscono.

In base alla natura di tali spese possiamo operare, grazie anche al contributo illuminante del P.C. n. 16, recentemente modificato dall’O.I.C. in relazione alla riforma del diritto societario, la seguente distinzione, che ci serve anche a dare una definizione il più precisa possibile delle spese di manutenzione e ad avere un quadro esaustivo delle varie tipologie che di volta in volta si presentano alla nostra attenzione:

  • spese di manutenzione ordinaria: sono quelle sostenute per mantenere in efficienza le immobilizzazioni materiali, in buono stato di funzionamento, attraverso interventi che mirano a garantire la loro vita utile prevista, nonché la capacità e la produttività Esse comprendono anche le riparazioni, tant’è che, da un punto di vista pratico, manutenzioni ordinarie e riparazioni formano un’unica classe di costi afferenti le immobilizzazioni, identificata come “manutenzioni” tout court e che concorre, insieme con le quote di ammortamento, ad esprimere il contributo che le immobilizzazioni danno al raggiungimento del risultato d’esercizio.
  • spese di manutenzione straordinaria: sono spese rivolte all’ampliamento, ammodernamento o miglioramento degli elementi strutturali di una immobilizzazione, e che si traducono in un aumento significativo e misurabile:
  1. della capacità;
  2. della produttività;
  3. della sicurezza;
  4. della vita utile;
  5. della rispondenza dell’immobilizzazione agli scopi per cui essa era stata acquisita.

 

In base al titolo del possesso del bene oggetto di manutenzione si può fare la seguente distinzione:

  • manutenzioni su beni di proprietà dell’impresa
  • manutenzioni su beni di terzi, posseduti a titolo di affitto, leasing, comodato etc.

Spesso le spese di manutenzione si presentano in modo ambiguo, o quanto meno poco chiaro: spetterà a chi predispone il bilancio il difficile compito di districarsi nell’individuazione della loro natura, con tutte le conseguenze che ciò comporta ai fini del bilancio ed ai fini dichiarativi.

Vediamo ora nel dettaglio le varie combinazioni che si possono presentare al redattore del bilancio, analizzandone i rispettivi aspetti civilistici e fiscali.

 

Spese di manutenzione su beni di proprietà dell’impresa

Manutenzioni ordinarie

Civilisticamente tali costi, che, giova ripeterlo, non producono gli effetti sopra elencati ai punti 1-5 avendo tutt’altra finalità, costituiscono elementi negativi di reddito dell’esercizio in cui sono stati sostenuti, in base al principio della competenza. Essi pertanto, non potendovisi riconoscere un’utilità pluriennale, confluiranno per intero nel Conto Economico, dove figureranno tra i costi della produzione, e in particolare B) 7) costi per servizi.

Fiscalmente si deve far riferimento all’art. 102 co. 6 del novellato T.U.I.R., che così dispone:

le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono (cioè, e lo si vedrà bene in seguito, si tratta di manutenzioni ordinarie, ndA), sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili; per le imprese di nuova costituzione il limite percentuale si calcola, per il primo esercizio, sul costo complessivo quale risulta alla fine dell’esercizio; per i beni ceduti nel corso dell’esercizio la deduzione spetta in proporzione alla durata del possesso ed è commisurata, per il cessionario, al costo di acquisizione. L’eccedenza è deducibile per quote costanti nei 5 esercizi successivi. […]

Resta ferma la deducibilità nell’esercizio di competenza dei compensi periodici dovuti contrattualmente a terzi per la manutenzione di determinati beni, del cui costo non si tiene conto nella determinazione del limite percentuale sopra indicato.

 

Sono opportune alcune osservazioni:

  1. la percentuale del 5% va applicata considerando anche i beni completamente ammortizzati e quelli per i quali non sono state sostenute spese di manutenzione;
  2. ai fini della formazione del plafond del 5% i beni a deducibilità parziale vanno assunti al costo fiscalmente rilevante, tenuto conto della percentuale di deducibilità e di eventuali limiti massimi (ad per le autovetture si considererà al massimo il 50% di € 18.075,99)
  3. al fine di semplificare il calcolo, eliminando incertezze fra costi di competenza dell’esercizio e costi da rinviare ai futuri esercizi, si considera di competenza, e quindi interamente ed immediatamente deducibile, la sola parte dei costi che non eccede la predetta quota del 5%. L’eccedenza, che sarà deducibile a partire dall’esercizio successivo non si somma al valore dei beni cui si riferisce ma deve essere iscritta in voci separate del registro dei beni ammortizzabili, a seconda dell’anno di formazione (art. 16 D.P.R. 600/73)
  4. la tassazione dell’eccedenza, nonché la sua deduzione negli esercizi successivi, non passerà per il bilancio ma avverrà in sede di dichiarazione dei redditi attraverso: una variazione in aumento pari all’intera eccedenza, nell’anno di competenza delle spese; una variazione in diminuzione, pari a 1/5 dell’eccedenza, nei 5 anni successivi
  5. nel valore dei beni strumentali non bisogna considerare quelli coperti da contratti di manutenzione periodica, in quanto per tali ultimi costi non vi sono limiti di deducibilità, salvo opzione per la deduzione di tali prestazioni periodiche alla stregua delle manutenzioni ordinarie
  6. la norma di comportamento n. 32 dell’Associazione Dottori Commercialisti di Milano fa notare che, poiché l’art. 102 fa riferimento al registro dei beni ammortizzabili per la determinazione della percentuale dei costi deducibili, il calcolo a forfait, con rinvio ai successivi periodi di imposta dell’eccedenza, non si applica per la deducibilità dei costi afferenti beni non strumentali o beni di proprietà di terzi. Ne consegue che i costi di manutenzione relativi a beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa rappresentano costi accessori di diretta imputazione da addebitare al Conto Economico e da considerare nella valutazione delle rimanenze. Parimenti, anticipando così quanto sarà trattato nella seconda parte del presente contributo, i costi di manutenzione (ovviamente ordinaria, ndA) sostenuti per beni di proprietà di terzi sono interamente deducibili senza limiti d’importo nell’esercizio in cui sono stati imputati al Conto Economico secondo il criterio di competenza, in quanto costi relativi all’acquisizione di servizi dai quali hanno avuto origine ricavi
  7. la spesa eccedente da ripartire in più esercizi ha vita autonoma e non è più influenzata dalla sorte del bene per il quale è stata sostenuta (R.M. 9/826 del 20/09/1980); questo significa che la cessione del bene non condiziona la deducibilità delle restanti quote
  8. per quanto riguarda i beni ammortizzabili che non fanno parte dell’azienda per l’intero periodo di imposta, l’art. 102 del T.U.I.R. dispone che per i beni ceduti nel corso dell’esercizio la deduzione spetta in proporzione alla durata del possesso; parimenti, per i beni acquistati nel corso dell’esercizio, compresi quelli costruiti o fatti costruire, l’art. 12 del D.P.R. 42/88, ora confermato dalle modifiche del correttivo IRES, in modo simmetrico dispone che il limite percentuale di deducibilità è calcolato sulla parte del relativo costo proporzionale alla durata del possesso
  9. quando le spese di manutenzione eccedono il plafond del 5% si originano differenze temporanee positive tra la normativa civilistica e quella fiscale, in quanto il reddito imponibile è maggiore del risultato civilistico quale risultante dal bilancio, e ciò a causa della variazione in aumento in sede di dichiarazione pari all’intera eccedenza.
    Di conseguenza le imposte civilisticamente di competenza saranno inferiori a quelle effettivamente da pagare, determinate con criteri fiscali. Le imposte pagate “in più”, riferite quindi alla ripresa dell’eccedenza, sono di competenza civilisticamente degli esercizi futuri, pertanto, coerentemente ai principi della prudenza e della competenza, si dovrà rilevare un’anticipazione d’imposta in Avere (Conto Economico, punto 22) Imposte dell’esercizio, correnti, differite e anticipate), avente come contropartita un credito per imposte anticipate in Dare (Stato Patrimoniale, Attivo, C) III 4-ter)). Tale aspetto, meritevole di essere menzionato, non sarà oggetto di approfondimento nel presente contributo.

 

Manutenzioni straordinarie

Dal punto di vista civilistico tali costi, a causa della loro pluriennale utilità, devono essere capitalizzati ad incremento del valore dell’immobilizzazione cui si riferiscono ove conducano ai risultati sopra elencati ai n. 1-5, vale a dire ad un aumento significativo: della capacità, della produttività, della sicurezza, della vita utile e della rispondenza agli scopi per cui il bene stesso era stato acquistato. In altre parole l’impresa deve essere in grado di stimare nel modo più oggettivo possibile il beneficio ritraibile dall’intervento manutentivo straordinario, avvalendosi ove necessario di una perizia tecnica. La dottrina più autorevole sembra non lasciare spazio alla discrezionalità, così come pure la Corte di Cassazione (sent. 28/08/2004 n. 17210): se gli interventi manutentivi hanno prodotto gli effetti suddetti vanno considerati manutenzioni straordinarie e devono essere capitalizzati; in caso contrario vanno considerati manutenzioni ordinarie e conseguentemente addebitati interamente al Conto Economico.

L’elemento discrezionalità gioca semmai sul SE considerare le spese di manutenzione straordinaria produttive degli effetti citati: tale scelta competerà esclusivamente agli amministratori, magari supportati dalla perizia cui si è fatto cenno, e l’Amministrazione finanziaria non potrà giudicare sulla correttezza della scelta, che risulterà pertanto insindacabile a causa della pregiudiziale civilistica prevista dalla norma fiscale.

Le spese di manutenzione straordinaria, dunque, si aggiungono al costo del bene, e partecipano nel tempo al risultato economico attraverso il conseguente aumento delle quote di ammortamento imputabili a ciascun esercizio. Il processo di ammortamento procede senza soluzione di continuità sul nuovo valore incrementato, lasciando immutato il periodo di ammortamento a fronte di maggiori quote annue (esempio 1).

Qualora tali spese si traducano in un effettivo aumento della vita utile del cespite, sia tecnica che economica, sarà necessario modificare l’originario piano di ammortamento, al fine di tener conto della residua possibilità di utilizzazione dell’immobilizzazione in questione (esempio 2). Vediamo qualche esemplificazione.

 

Esempio 1:

cespite acquistato nel 2005, costo storico € 3.000, aliquota 20%, ammortamento anno 2005 € 300 (per la riduzione del 50% relativa al 1° anno), valore residuo € 2.700 nel 2005, € 2.100 a fine 2006, € 1.500 a fine 2007. All’inizio del 2008 si sostengono spese di manutenzione straordinaria per € 250 che ne aumentano la produttività ma NON la vita residua; poiché in questo caso il piano di ammortamento originario non deve essere cambiato, occorrerà spalmare la spesa incrementativa nei 3 esercizi restanti (2008, 2009 e 2010) sulla base dell’ammortamento che avrebbe subito il bene in assenza dei costi capitalizzati; in altre parole, poiché le quote residue sarebbero state 600, 600 e 300, la spesa incrementativa si potrà ammortizzare in aggiunta a tali importi nella medesima proporzione: 100, 100, 50, con il bene che risulterà completamente ammortizzato a fine 2010, secondo il piano di ammortamento originario (v. Tabella 1a).

Si noti come la durata del piano è rimasta invariata (6 anni, dal 2005 al 2010), mentre è dovuta necessariamente aumentare l’aliquota (700:3.250=21,54%).

Tabella 1a.

Anno Aliquota Quota amm.to Fondo amm.to Valore residuo
2005 10% 300 300 2.700
2006 20% 600 900 2.100
2007 20% 600 1.500 1.500
2008 21,54% 700 2.200 1.050
2009 21,54% 700 2.900 350
2010 10,77% 350 3.250

 

Un’alternativa, sempre con riferimento ai dati del nostro esempio, potrebbe essere quella rappresentata alla Tabella 1b, in cui dall’anno in cui sono state sostenute e capitalizzate le spese si calcola l’ammortamento con la stessa aliquota del 20% sull’intero valore incrementato (costo storico + spese capitalizzate); in tal modo si mantiene il piano di ammortamento originario, sia nella durata che nell’aliquota; l’aliquota dell’ultimo anno, superiore rispetto all’originario 10%, non è altro che la necessaria manifestazione numerica, a parità di aliquota e di durata, dell’incremento del costo del bene.

 

Tabella 1b.

Anno Aliquota Quota amm.to Fondo amm.to Valore residuo
2005 10% 300 300 2.700
2006 20% 600 900 2.100
2007 20% 600 1.500 1.500
2008 20% 650 2.150 1.100
2009 20% 650 2.800 450
2010 13,85% 450 3.250

 

Quando le spese capitalizzate producono l’effetto di aumentare la vita utile residua del cespite, per tener conto della residua possibilità di utilizzazione del bene occorre ripartire il valore netto contabile del cespite sulla sua nuova vita utile.

 

Esempio 2: cespite acquistato nel 2005, costo storico € 3.000, aliquota 20%, ammortamento anno 2005 € 300 (per la riduzione del 50% relativa al 1° anno), valore residuo € 2.700 nel 2005, € 2.100 a fine 2006, € 1.500 a fine 2007. Nel 2008 si sostengono spese di manutenzione straordinaria per € 250 che aumentano la vita utile residua di altri 5 anni, per cui l’ammortamento finirà non più nel 2010 ma nel 2015, rendendosi pertanto necessario modificare il piano di ammortamento. Il valore da ammortizzare sarà 1.500 + 250 in 8 anni (3 anni per arrivare al 2010 + i 5 anni di maggior vita utile), per cui l’ammortamento annuo sarà di € 218,75 e la nuova aliquota sarà pertanto del 6,73%, ottenuto da 218,75 : 3.250 (v. Tabella 2).

 

Tabella 2.

Anno Aliquota Quota amm.to Fondo amm.to Valore residuo
2005 10% 300,00 300,00 2.700,00
2006 20% 600,00 900,00 2.100,00
2007 20% 600,00 1.500,00 1.500,00
2008 6,73% 218,75 1.718,75 1.531,25
2009 6,73% 218,75 1.937,50 1.312,50
2010 6,73% 218,75 2.156,25 1.093,75
2011 6,73% 218,75 2.375,00 875,00
2012 6,73% 218,75 2.593,75 656,25
2013 6,73% 218,75 2.812,50 437,50
2014 6,73% 218,75 3.031,25 218,75
2015 6,73% 218,75 3.750,00

 

Si tenga presente che, in ogni caso, il valore incrementato del cespite non potrà mai eccedere il valore recuperabile tramite l’uso, ossia, poiché il recupero avviene attraverso gli ammortamenti, quel valore il cui ammortamento negli esercizi futuri troverà, secondo ragionevoli aspettative, adeguata copertura coi ricavi correlati all’utilizzo del bene.

Fiscalmente la capitalizzazione delle spese incrementative, effettuate in bilancio in conformità ai principi contabili, assume piena efficacia anche ai fini tributari, senza alcun limite di importo. Come chiarito nella C.M. 98/E del 2000, gli ammortamenti vanno computati, ai fini fiscali così come ai fini civilistici, sull’intero valore incrementato, e questo perché, come sottolinea la norma di comportamento n. 129 dell’Associazione Dottori Commercialisti di Milano, le spese incrementative non assumono autonoma rilevanza rispetto al bene a cui si riferiscono e pertanto il computo delle quote di ammortamento deve avvenire in modo unitario e indistinto, per quanto riguarda sia il costo su cui calcolare le quote, sia la determinazione dei coefficienti di ammortamento e le relative modalità di applicazione.

Occorre precisare però che fintanto che le spese di manutenzione straordinaria non producono l’effetto di prolungare la vita utile del bene non si pongono particolari problemi, e la capitalizzazione delle spese incrementative, effettuata in bilancio in conformità ai principi contabili, assume piena efficacia anche ai fini tributari. Nel momento in cui invece l’intervento manutentivo prolunghi la vita utile residua del bene, fiscalmente il piano di ammortamento rimane rigido, cioè la vita utile residua non viene rimessa in discussione, così come l’aliquota ministeriale, con la conseguenza che l’impresa potrà continuare a beneficiare dell’aliquota fiscale più elevata.

Si è appena utilizzato il verbo “potrà” in quanto, con la soppressione del limite minimo dell’ammortamento ridotto a partire dal 2004, l’impresa ben potrebbe scegliere di modellare l’ammortamento fiscale su quello civilistico, più diluito nel tempo a causa dell’aumento della vita utile del bene, e quindi con aliquote inferiori rispetto a quelle ministeriali. Ma tornando al nostro caso di aumento della vita utile del bene ed esemplificando con i dati che già conosciamo, si avrebbe che l’ammortamento civilistico rappresentato nella Tabella 2, fiscalmente porterebbe (nell’ipotesi semplificatrice di assenza di ammortamenti anticipati) alla situazione descritta nella Tabella 1b (la quale per quanto si è detto finora ha validità fiscale anche nel caso di cui all’esempio 1, in cui vi è solo aumento della produttività e non anche della vita utile, ndA).

Da tale disallineamento tra norme civili e fiscali si ha la formazione di differenze temporanee negative, con il relativo obbligo di rilevazione di un costo per imposte differite (Conto Economico, punto 22) Imposte dell’esercizio, correnti, differite e anticipate), avente come contropartita l’apposito fondo dello Stato Patrimoniale (Passivo, B) 2)).

E’ appena il caso di ricordare che, a partire dai bilanci 2004, si rileva nello Stato Patrimoniale e nel Conto Economico l’ammortamento così come rappresentato, nei vari anni, dalla Tabella 2, cioè un ammortamento che risponde a criteri esclusivamente civilistici. In sede di dichiarazione, per ottenere i benefici fiscali connessi al mantenimento dell’aliquota originaria e pervenire quindi, continuando col nostro esempio, alla situazione rappresentata nella Tabella 1b, si dovranno operare extracontabilmente, attraverso il quadro EC del Modello Unico, le modifiche necessarie per tener conto dei maggiori valori dell’ammortamento fiscale.

 

Spese di manutenzione su beni di terzi

Manutenzioni ordinarie

La disciplina civilistica è analoga a quella relativa ai beni di proprietà, con imputazione a Conto Economico dell’intero importo in base al principio della competenza. In bilancio figureranno tra i costi della produzione, e in particolare B) 7) costi per servizi.

Pur confluendo nella stessa voce di Conto Economico, è opportuno evidenziare separatamente, a livello di piano dei conti, le voci di costo riferite ai beni di proprietà rispetto a quelle riferite a beni di terzi, onde agevolare la predisposizione della dichiarazione dei redditi. Infatti fiscalmente si deve tener conto che le spese di manutenzione su beni di terzi sono interamente deducibili nell’esercizio di competenza a prescindere dal loro importo, quindi senza il limite del 5%.

Manutenzioni straordinarie

Civilisticamente, dalla lettura dei P.C. n. 16 e 24, come modificati dall’O.I.C., si evince come le spese di manutenzione straordinaria (ovviamente intese nella stessa accezione di cui sopra, ndA) riferite a beni che non sono di proprietà dell’impresa, ma che sono dalla stessa posseduti in base ad altro titolo (affitto, leasing, comodato, ecc.) e che per tale motivo non risultano nel registro dei beni ammortizzabili, debbano essere iscritte nell’attivo dello Stato Patrimoniale alternativamente:

  • tra le immobilizzazioni immateriali, B) I 7) altre → si tratta di costi per migliorie che si estrinsecano in beni o prestazioni che non sono separabili dai cespiti quelli cui si riferiscono, bensì vengono considerati alla stregua di oneri pluriennali. I 2 citati C. affermano che i costi per tali migliorie vanno ammortizzati nel periodo più breve tra:
    • quello in cui le migliorie stesse possono essere utilizzate;
    • quello di durata residua dell’affitto.

Se esistono situazioni obiettive che fanno ritenere che il contratto sarà rinnovato (il rinnovo dunque non deve essere automaticamente considerato, ndA), anche il periodo di rinnovo deve essere considerato nel determinare la durata dell’ammortamento, purché ovviamente tale maggior durata della locazione non superi il periodo di previsto utilizzo delle migliorie.

Per quanto riguarda i beni utilizzati in leasing, i 2 P.C. citati non affrontano tale eventualità, che presenta alcune significative particolarità.

La dottrina più autorevole ritiene che essi vadano ammortizzati sulla base della durata residua del contratto di leasing, questo nel caso in cui si ritiene che il riscatto non verrà esercitato. Se invece si ritiene che il riscatto verrà esercitato, allora l’ammortamento avverrà in base alla vita utile del bene riscattato. Al momento del riscatto si potranno dunque avere le 2 possibilità:

  1. il bene viene riscattato ed i costi per migliorie non ancora ammortizzati andranno ad incrementare il costo del bene in quanto oneri accessori, e subiranno il normale processo di ammortamento incorporati nel cespite;
  2. il riscatto non viene più esercitato, per cui la parte di costi non ancora ammortizzata costituirà una sopravvenienza tra le immobilizzazioni materiali, B) II 4) altri beni → in questo caso, meno frequente, le spese incrementative danno origine a beni materiali con una loro individualità e funzionalità e che al termine del periodo contrattuale di possesso del bene cui si riferiscono, possono da questo essere rimossi ad opera dell’utilizzatore continuando ad avere una possibilità di utilizzo. Tali beni materiali si ritiene debbano essere di conseguenza ammortizzati in base alla categoria di appartenenza.

Dal punto di vista fiscale, per le spese di manutenzione che danno origine a beni iscrivibili tra le immobilizzazioni materiali non vi sono particolari problemi. Invece per quanto riguarda le migliorie iscritte tra le immobilizzazioni immateriali, la questione del loro trattamento civilistico e fiscale, alquanto spinosa e controversa, è stata oggetto in passato di numerosi interventi sia dottrinali che ministeriali. Il riferimento normativo è l’art. 108 co. 3 del T.U.I.R. che così dispone: le altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 e 2 (spese per studi e ricerche, pubblicità e propaganda, rappresentanza, ndA) sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.

In mancanza di una disposizione che disciplini concretamente le spese incrementative su beni di terzi, la dottrina prevalente, in assenza di uno specifico criterio di deducibilità, ai fini dell’individuazione del trattamento tributario applicabile concorda sulla necessità di rifarsi ai criteri civilistici di imputazione di tali spese. Pertanto i criteri civilistici di ripartizione delle spese di manutenzione straordinarie su beni di terzi, come sopra analizzati in base ai P.C. n. 16 e 24, costituiscono presupposto per la determinazione della quota di tali spese imputabile al reddito dell’esercizio (così la C.M. 73/E del 1994).

In altre parole si può concludere che il trattamento fiscale delle migliorie su beni di terzi ricalca quello civilistico.

 

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Novembre 2005

A cura di Daniele Cherubini

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