Statuto del Contribuente: alcune riflessioni

C’era bisogno di una norma specifica per comprendere che quanto sancito dalla Costituzione trovasse applicazione anche nel diritto tributario? Cos’è quello tributario, un mondo a parte?

statuto del contribuente e diritti dei contribuentiOgni qual volta mi trovo ad affrontare il tema dello Statuto dei Diritti del Contribuente, una delle prime considerazioni che mi vengono in mente riguarda il contenuto generale delle disposizioni contenute nella legge n. 212 del 27 luglio 2000: i principi che caratterizzano lo Statuto sono, infatti, così ovvii, così evidenti, da essere stati già ampiamente disciplinati dal legislatore costituente più di mezzo secolo fa.

Basti pensare al tenore dell’articolo 1 dello Statuto:

“Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23 , 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario …”

Mi chiedo: c’era bisogno di una norma specifica per comprendere che quanto sancito dalla Costituzione trovasse applicazione anche nel diritto tributario? Cos’è quello tributario, un mondo a parte?

Qualche volta, a dire il vero, ce lo siamo chiesti: basta scorrere il contenuto delle principali norme dello Statuto per comprendere che tutto ciò che è stato oggi disciplinato era, evidentemente, diventata triste prassi nel passato.

I diritti dei contribuenti sono stati negli anni talmente dimenticati, calpestati, derisi, ridicolizzati, da norme, circolari, sentenze, comunicati stampa, al punto da costringere il legislatore ad una sorta di “ravvedimento operoso” che ha portato alla emanazione di una magna carta dei diritti del contribuente.

E’ questo un fatto che fa riflettere, direi mestamente, sul livello di civiltà giuridica raggiunto negli anni dal nostro sistema tributario.

Il titolo della norma lascia già intendere di cosa si tratta e riporta la mente all’esperienza della famosa L. 300 del 1970, a quello Statuto dei lavoratori la cui forza normativa ha caratterizzato il mondo del lavoro degli ultimi decenni: una legge per la tutela di un soggetto “debole” (il lavoratore) da un soggetto più forte (il datore di lavoro), onde evitare soprusi da parte di ques’ultimo.

Nel mondo tributario lo Statuto del Contribuente sancisce i diritti della parte debole (il contribuente) dalla forte (l’amministrazione Finanziaria, dunque la Pubblica Amministrazione, dunque … lo Stato!)

Se ci pensiamo bene, è davvero singolare avvertire il bisogno di emanare un articolato di legge – pur in presenza di principi già sanciti nella Costituzione – per arginare e limitare la P.A. nell’esercizio delle proprie prerogative nei confronti dei cittadini.

Altrettanto singolare è il fatto che i destinatari degli obblighi previsti dallo Statuto sono il legislatore e l’Amministrazione Finanziaria, dunque lo Stato.

Nella prima parte della Legge, infatti, il legislatore ricorda a se stesso la tecnica legislativa in materia tributaria, nella seconda fissa gli obblighi del Fisco nei rapporti con i contribuenti:

  • Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie (art. 2).
  • Irretroattività delle norme tributarie (art. 3).
  • Divieto di utilizzo del decreto legge (art. 4).
  • Conoscenza degli atti e semplificazione (art. 5).

Si precisa il concetto di effettiva conoscenza; si auspicano modelli di dichiarazione e relative istruzioni comprensibili anche per l’uomo della strada.

Si prevede il divieto di richiedere documenti di cui la P.A. è già in possesso.

  • Chiarezza e motivazione (art. 7).

Si sancisce l’obbligo di legge di indicare i presupposti di fatto e ragioni giuridiche della pretesa tributaria nonché quello di allegare gli atti cui si rinvia (c.d. motivazione per relationem).

In tal modo, si passa dal concetto di conoscibilità degli atti a quello di effettiva conoscenza; prima bastava citare gli estremi dell’atto cui si rinviava per ritenere sufficiente la motivazione, oggi si richiede l’allegazione.

In proposito, penso ad un’eccezione alla quale non rinunciamo mai nei nostri ricorsi, ma che magari siamo portati a sollevare solo per scrupolo difensivo: la carenza di motivazione degli atti della P.A..

Ebbene, c’è voluto dapprima l’articolo 3 della legge 241 del 1990, che parecchi effetti ha riverberato anche nel mondo tributario, per disciplinare questa necessità nei confronti del cittadino ed oggi è stato necessario ribadire tale obbligo di motivazione anche nei confronti del contribuente, quasi non fosse questi, innanzi tutto, un cittadino.

E penso, in particolare, ad un passaggio di una sentenza (1) che amo citare sempre, in casi del genere, che dice che l’A.F. non può costringere il contribuente, a causa delle richieste criptiche formulate, a compiere opera di ardita interpretazione per comprendere i simboli ed i numeri usati dal fisco – si trattava di una cartella di pagamento – costringendolo ad andare dal professionista, e quindi pagare, per comprendere le ragioni per le quali è chiamato a pagare!!

• Possibilità di estinguere l’obbligazione tributaria a mezzo compensazione (art. 8)

• Principio della collaborazione e della buona fede nei rapporti tra contribuente e A.F (art. 10).; sotto questo punto di vista, il monito, per quanto rivolto alle diverse parti in causa, assume a mio avviso un significato particolare per gli uffici, troppe volte portati a pensare ad una generale presunzione di colpevolezza. Non è così. Non sempre, quantomeno, è così.
E’ vero che vi sono evasori più o meno incalliti, ma abituiamoci a considerare anche l’ipotesi che il contribuente possa essere, per una volta, dal lato della ragione.

Inapplicabilità delle sanzioni nei casi di oggettive condizioni di incertezza della norma tributaria – potremmo quindi dire: sempre! – e nei casi di violazioni formali (ovvero sia senza danno economico per l’erario);

 

Quando rileggo tutte queste disposizioni non posso fare a meno di pensare: ma allora anche il legislatore sapeva cosa succedeva nella realtà?

Diversamente, non avrebbe mai emanato norme del genere.

Purtroppo, il legislatore – rispondendo ad una sorta di istinto di conservazione – si è subito rifatto, dimenticando di disciplinare gli effetti nei casi di violazione delle norme.

E sappiamo bene che, in generale, non c’è precetto che venga rispettato se non è accompagnato da una espressa sanzione per la sua inosservanza.

Ma allora, che valore dobbiamo dare allo statuto?

E’ forse una riforma di carta, come aveva detto (provocatoriamente?) qualcuno all’indomani dell’entrata in vigore della legge?

Direi di no.

Lo statuto del contribuente costituisce di sicuro un grosso passo avanti in tema di civiltà giuridica ed io mi batto quotidianamente, nella mia attività professionale, affinché venga rispettato.

In questo senso, è auspicabile una costante attenzione (ed anche fermezza) dei giudici tributari tutte quelle volte in cui saranno chiamati a pronunciarsi sulla violazione di norme della legge 212 del 2000.

E’ così infatti che si educano i destinatari di provvedimenti di legge, al fine di rispettarne il contenuto.

Sotto questo punto di vista, la Corte di Cassazione sta dando i primi forti segnali, con sentenze degne di nota. Emblematico è, in proposito, il passo di una recente pronuncia (n. 4760 del 7 dicembre 2000, dep. il 30 marzo 2001), in tema di diritto al rimborso di un contribuente, che evidenzia quanto la misura, a volte, sia colma:

Soltanto uno Stato inefficiente e autoritario può aspirare a compensare le proprie eventuali carenze organizzative con una legislazione, o una giurisprudenza, “protezionistica”, che disconosca cioè i diritti del cittadino fino a quando non siano maturi i tempi della burocrazia.

Uno Stato moderno che operi secondo criteri di efficienza e di economia, che non ha timore di porsi su un piede di parità con il cittadino (non più suddito), tanto da formalizzarne e tutelarne i diritti inviolabili (almeno in linea di principio) nei confronti del Fisco con un apposito statuto (L. n. 212/2000)…non può poi pretendere che i tempi dei pagamenti a favore dei contribuenti siano affidati alla buona volontà dei funzionari incaricati, senza alcuna possibilità di rivalsa da parte del creditore.

Lo statuto del contribuente è una legge dello Stato, dal punto di vista formale come le altre; ma – e non ho avuto dubbi sin dall’inizio, nonostante la perplessità di molti – non c’è dubbio che dal punto di vista sostanziale sia una legge dal contenuto normativo di chiaro stampo costituzionale: violare i principi in essa contenuti vuol dire violare la nostra carta costituzionale.

Quando si afferma questo, anche in udienza, ancora oggi, ahimè, qualcuno sorride.+

La Suprema Corte (sentenza n. 7080/2003) si è però pronunciata sul punto in maniera inequivocabile, mettendo a fuoco il ruolo assiologicamente superiore dello Statuto nella gerarchia delle fonti di produzione giuridica 2: la Legge n. 212 del 2000 ha inteso attribuire alle proprie disposizioni il valore di “principi generali dell’ordinamento tributario”.

A queste specifiche “clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni stesse deve essere attribuito, perciò, un preciso valore normativo ed interpretativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo statuto sia perché costituiscono “princìpi generali dell’ordinamento tributario”.

Il legislatore, infatti, ha manifestato esplicitamente l’intenzione di attribuire ai princìpi espressi nelle disposizioni dello statuto, o desumibili da esso una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia (3).

Non mi sfugge che si tratta di una norma che – riguardando i principi generali – diventa molto impegnativa e richiede a tutti gli operatori cui è diretta uno sforzo culturale quotidiano.
Ed ogni legge non vale tanto per quello che contiene sul piano formale, ma per quanto si radica nella coscienza dei consociati, per come viene attuata dai destinatari che in base ad essa hanno degli obblighi, e anche per come viene chiesta e invocata da chi in essa trova la fonte per i propri diritti (4).

Si tratta, in sostanza, di convincersi che una legge di questo tipo, pur non essendo da sola sufficiente a cambiare le cose, costituisce però lo strumento per raggiungere una migliore tutela dei diritti del contribuente.

Non mi sfugge neanche il fatto che lo Statuto dei Diritti del Contribuente presenta alcune vistose lacune.

Tra queste, il mancato riferimento al giusto processo ed in particolare al problema del diritto alla prova, alla luce del nuovo articolo 111 della Costituzione; nel rito tributario – a differenza di altre procedure – infatti continua ad essere esclusa senza valide ragioni la prova testimoniale, quando invece si dà ampio spazio alle presunzioni (che il legislatore fa assurgere al rango di prova, qualora le stesse siano gravi, precise e concordanti); presunzioni che non dovrebbero trovare cittadinanza in un processo nel quale la prova testimoniale non è ammessa.

Purtroppo, lo Statuto del contribuente ha subìto sin dall’inizio duri colpi a causa degli attacchi di quello stesso legislatore che ne ha concepito la nascita: basti pensare alle numerose norme che nell’incipit suonano più o meno così: alla presente legge non si applicano le norme dello Statuto del Contribuente… in modo da dare campo libero a proroghe di termini di prescrizione o di decadenza per gli accertamenti (che a mente dell’art. 3 non possono essere prorogati) oppure a leggi che entrano in vigore lo stesso giorno in cui sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale (e che invece dovrebbero entrare in vigore soltanto nel periodo d’imposta successivo alla data della loro emanazione).

Ciò accade a causa di un’altra grave lacuna dello Statuto: non sono previste molte sanzioni nei casi di violazione. E purtroppo non sempre basta appellarsi ai principi consolidati dell’ordinamento giuridico, che sanzionano la violazione di legge con l’illegittimità dell’atto consequenziale, emesso nella sua inosservanza.

E’ anche vero, però – e concludo – , che lo Statuto dei Diritti del Contribuente è una legge che enuncia principi generali, che da un lato individua i diritti dei contribuenti e dall’altro stabilisce i limiti del potere pubblico.

Ed il ribadire principi generali, lottare per la difesa dei diritti, sollevare eccezioni tutte le volte che vengono violati – dinanzi alle Commissioni Tributarie o più in generale dinanzi agli organi competenti – vuol dire riempirli di significato, vuol dire esserne gelosi custodi, vuol dire evitarne la desuetudine.

Vuol dire, insomma, tenerli vivi.

 

A cura di Massimo Conigliaro

 

NOTE

1 Commissione Tributaria Regionale Lombardia, Sentenza n. 211 del 12.12.1997.

2 Così E. GRASSI, Interpretazione ed attuazione dei principi generali dello Statuto dei Diritti del Contribuente, in il fisco, n. 35/2004, p. 1-5971.

3 Nella categoria dei princìpi giuridici è insita inoltre – come si desume dal comma 2 dell’art. 12 delle preleggi – la funzione di orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto. Qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212 del 2000, deve perciò essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello statuto del contribuente, in forza del fondamentale canone ermeneutico della “interpretazione adeguatrice” a Costituzione.

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