Le forme di responsabilità del professionista nel settore tributario (parte II)

Un primo tentativo di estendere anche al consulente fiscale la responsabilità per violazione delle norme tributarie si ha con l’introduzione della Legge n.423 del 11/10/1995.

 

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Responsabilità connesse all’attività di consulenza ed assistenza in materia tributaria

Un primo tentativo di estendere anche al consulente fiscale la responsabilità per violazione delle norme tributarie si ha con l’introduzione della Legge n.423 del 11/10/1995.

Il provvedimento venne approvato in tutta fretta con l’intento di porre un argine al dilagare degli abusi di alcuni professionisti (commercialisti, ragionieri, notai ed avvocati o sedicenti tali…) i quali truffavano i propri clienti, appropriandosi di quanto destinato al pagamento delle imposte, lasciando gli stessi nell’impossibilità giuridica di evitare di dover versare nuovamente gli importi, oltre al maggior danno del pagamento delle relative sanzioni (ineluttabilmente ricollegate alle violazioni di norme tributarie dagli interventi legislativi degli anni ’70 e ‘80).

Nell’unico articolo, si stabiliva, infatti, che:

“la riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie previste dalle leggi d’imposta in caso di omesso, ritardato o insufficiente versamento è sospesa nei confronti del contribuente e del sostituto d’imposta qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, di dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro, in dipendenza del loro mandato professionale. (..) “Dopo che la sentenza di condanna o quella di applicazione della pena su richiesta delle parti che accertino l’esistenza del reato a carico del professionista di cui al comma 1 sono divenute irrevocabili, l’ufficio tributario che ha irrogato le sanzioni commuta l’atto di irrogazione a carico del professionista e ne dispone lo sgravio in favore del contribuente”.

 

Viceversa, nel caso in cui l’azione penale nei confronti del professionista si fosse conclusa con una sentenza assolutoria, l’ufficio tributario revocava il provvedimento di sospensione e procedeva alla riscossione delle sanzioni a carico del contribuente, addirittura con una maggiorazione pari al 50 per cento delle stesse.

responsabilità del professionista nello svolgimento della sua attivitàLa fretta che accompagnò l’emanazione della legge non tenne conto della necessità di estendere la responsabilità attribuibile ai soggetti di cui sopra anche alla generalità delle ipotesi in cui la violazione delle norme tributarie non potesse essere riconducibile al titolare della relativa posizione fiscale.

In un secondo momento, con più attento studio ed in attuazione della delega conferita dall’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, furono emanati, in data 18 dicembre 1997, i decreti legislativi nn. 471, 472 e 473.

Tali provvedimenti hanno interamente rivisitato la disciplina del sistema sanzionatorio tributario non penale, riconducendo a princìpi una materia finora incerta da ogni punto di vista, soprattutto in ordine alla natura e alla funzione della soprattassa e della pena pecuniaria e alla soluzione dei problemi pratici che ne venivano fatti discendere.

Il legislatore sembra compiere una piccola ma significativa rivoluzione in tema di responsabilità personale dei rappresentanti legali, dei dirigenti amministrativi delle imprese e dei consulenti.

La disciplina dell’Iva e delle Imposte dirette, prima in vigore, non prevedeva, infatti, alcuna responsabilità di carattere solidale delle persone fisiche che, in concorso con il soggetto giuridico, ponevano in essere comportamenti vietati dalla legge.

 

In questo ambito, peraltro, dottrina e giurisprudenza avevano, in passato, escluso l’operatività dell’art. 12 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in quanto il dettato della norma sancisce l’applicabilità del principio di solidarietà “Nei casi preveduti nella prima parte (è questo il dato normativo preso a supporto della presente posizione interpretativa) degli artt. 9 e 10”, i quali sono riferibili unicamente a violazioni finanziarie costituenti reato.

È evidente, pertanto, l’intenzione del legislatore di estendere, con il recepimento del disposto della lett. c) del comma 133 dell’art. 3, “(…) previsione di obbligazione solidale a carico della persona fisica, società o ente, con o senza personalità giuridica, che si giova o sul cui patrimonio si riflettono gli effetti economici della violazione (…)”, il meccanismo di cui all’art. 12 alla “nuova” sanzione tributaria, risolvendo, così, l’acceso dibattito dottrinale che ha nel passato investito l’applicabilità della norma in esame alle sanzioni non aventi natura criminale.

Esemplificando le linee generali di funzionamento del nuovo sistema, possiamo individuare quattro diversi livelli di responsabilità.

Il secondo comma dell’art. 2 prevede che la sanzione sia riferita, in primis, alla persona fisica che ha commesso o ha concorso a commettere la violazione.

In secondo luogo, la responsabilità riguarda i “coobbligati solidali”, da individuarsi nella persona fisica, società o ente, con o senza personalità giuridica, che si giovi o sul cui patrimonio si riflettano gli effetti economici della violazione.

La responsabilità solidale del rappresentato riguarda esclusivamente la sanzione pecuniaria. Da ciò emerge che nessuna solidarietà sussiste in ordine alle sanzioni accessorie, sebbene alcune di esse siano modulate più in vista di una loro applicazione nei confronti delle società o enti che delle persone fisiche.

Un’ulteriore ipotesi di responsabilità è quella prevista dall’art. 10, rubricato “autore mediato”, secondo cui la violazione perpetrata da taluno sotto violenza o minaccia o perché indotto in errore incolpevole non è sanzionabile nei confronti dell’autore materiale, ma di colui che ne determina, con inganno, la realizzazione.

Il modello dell’illecito plurisoggettivo, infine, non esclude la responsabilità, a titolo di concorso, a carico di coloro che partecipano con l’autore, in presenza di dolo o colpa grave, alla commissione della violazione.

In termini più generali, la responsabilità del consulente fiscale, nell’illecito amministrativo tributario, può essere esaminata sotto tre profili:

  1. responsabilità diretta ed esclusiva (per violazioni agli obblighi di legge);
  2. responsabilità esclusiva in luogo dell’esecutore materiale della violazione (figura dell’autore mediato, ipotesi di mancato o tardivo versamento di imposte);
  3. responsabilità in concorso con il cliente (concorso materiale, concorso morale).

 

Nel caso in cui il professionista non agisca ancora in veste di consulente tributario, bensì come dipendente, rappresentante legale ovvero amministratore, anche di fatto, in ragione delle nuove regole, la sanzione viene sempre determinata a suo carico, salvo le particolari eccezioni di cui diremo in seguito.

Di conseguenza:

  • se la violazione non incide sulla determinazione o sul pagamento del tributo, chiamato a rispondere sarà solo l’autore;
  • viceversa, ove il fatto comporti alterazioni nel debito tributario, bisogna distinguere due differenti ipotesi:
    • l’autore abbia tratto diretto vantaggio dalla violazione, ed allora alla sua responsabilità, tanto per dolo che per colpa, si affianca anche quella “sussidiaria” del soggetto (persona fisica o società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica) nell’interesse del quale questi abbia agito. In altre parole, in ipotesi della specie, incombe su tali soggetti l’obbligo del pagamento della sanzione irrogata a chi ha commesso la violazione;
    • l’autore non abbia tratto alcun vantaggio dalla violazione; in quest’ipotesi, qualora l’illecito sia stata realizzato con dolo o colpa grave, l’autore sarà chiamato a risponderne per intero e alla sua responsabilità si affiancherà quella della persona fisica o della società, associazione o ente per i quali il soggetto ha agito.

 

A contrariis, in assenza di dolo o colpa grave, la responsabilità sarà limitata alla concorrenza della somma di lire 100 milioni (€ 51.645,69), mentre la persona fisica o la società, l’associazione o l’ente, nell’interesse del quale il soggetto abbia agito, risponderanno per l’intero importo irrogato e, quindi, a titolo esclusivo per l’ammontare della sanzione superiore a 100 milioni (€ 51.645,69).

Poiché la disposizione parla di “diretto vantaggio”, senza ulteriori specificazioni, si ritiene che questo non sia da identificare solo con un vantaggio economico, ma si riferisca, piuttosto, a qualsiasi forma vantaggiosa di cui il soggetto venga a godere a causa della violazione commessa.

Esiste, comunque, la possibilità per gli autori dell’illecito di concordare pattiziamente con il coobbligato solidale che abbia corrisposto l’importo della sanzione pecuniaria, l’esclusione del diritto di rivalsa in ordine agli illeciti posti in essere con atteggiamento solo lievemente colposo.

Tale decisione da assumersi, anche preventivamente, mediante apposita delibera di accollo, ha efficacia, altresì, per il Fisco che notificherà l’atto di contestazione della sanzione tanto al trasgressore (se diverso dal contribuente) quanto alla società (contribuente); quest’ultima, con il pagamento, libererà in ogni caso il trasgressore.

Nei casi di dolo o colpa grave, invece, non è consentita la preventiva assunzione di responsabilità da parte della società ed il diritto di regresso è irrinunciabile, anche se rimane la possibilità, a parere di chi scrive, di non esercitare tale diritto attraverso un comportamento concludente, atteso che l’Amministrazione finanziaria non ha alcun potere di imposizione al riguardo.

Sul punto, occorre richiamare la risposta del Ministero n. 87 a telefisco, nella quale si afferma che

“nei casi in cui il rappresentato provveda prontamente al pagamento della somma dovuta a titolo di sanzioni connesse a violazioni che abbiano inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo, viene meno l’interesse dell’Amministrazione finanziaria ad agire per la riscossione della sanzione direttamente nei confronti dell’autore della violazione, anche se la violazione è stata commessa con dolo o colpa grave”.

Ultimamente, però, l’art. 7 del D.L. n. 269/2003, convertito in legge, introduce una significativa modifica in materia di sanzioni amministrative, statuendo che

“le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

La norma in esame dà attuazione parziale all’art. 2, comma 1, lett. l), della legge n. 80 del 07/04/2003 (delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale), secondo cui

“la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione”.

E’ di tutta evidenza come la norma di cui al succitato art. 7 in esame, che pone esclusivamente a carico del soggetto passivo d’imposta la responsabilità amministrativa, senza più coinvolgere l’autore dell’illecito, deroga hai richiamati principi informatori della riforma del 1997.

Il criterio della personalizzazione della sanzione tributaria, tuttavia, non è stato del tutto abbandonato, posto che le novità apportate dal succitato decreto non si estendono alla generalità delle sanzioni, ma solo a quelle relative al “rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica” (art. 7, comma 1, cit.).

Ne è conferma il disposto dell’art. 7, comma 3, cit. secondo il quale le disposizioni del decreto, informate al principio della personalità della sanzione, continuano ad applicarsi nei confronti delle persone fisiche che instaurano rapporti tributari con soggetti diversi  dalle società o enti aventi personalità giuridica.

La norma in esame, in sostanza, dispone un’abrogazione implicita delle sole disposizioni in contrasto con la novella, che, per il resto, conferma i principi in tema di sanzioni amministrative tributarie introdotti con la riforma del 1997, ed in precedenza succintamente commentate.

In particolare, è da ritenersi tacitamente abrogato il richiamo disposto dall’art. 11, comma 1, del D.Lgs. n. 472 cit., nella parte in cui afferma la responsabilità solidale delle società, associazioni od enti con personalità giuridica, ossia degli stessi soggetti  destinatari delle novità recate dal decreto.

La nuova disposizione riguarda, dunque, solo gli amministratori, i dipendenti ed i rappresentanti di società, associazioni od enti con personalità giuridica.

Ne consegue che per i soggetti diversi da quelli appena richiamati, la responsabilità continua ad essere riferita alla persona che ha commesso la violazione, ferma restando la responsabilità solidale del soggetto nel cui interesse è stata commessa – se diverso dall’autore della violazione stessa -, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Come si desume anche dalla rubrica dello stesso art. 7 (“sanzioni amministrative tributarie”), la nuova disciplina opera in relazione a tutte le sanzioni amministrative aventi carattere tributario.

 

Tornando, invece, all’attività di consulenza, il dottore commercialista o il ragioniere collegiato può commettere, nell’esercizio della sua attività di consulenza ed assistenza professionale, violazioni che comportano l’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie sia di tipo pecuniario che di tipo accessorio.

In particolare, può essere chiamato a rispondere:

  • in concorso con il cliente;
  • in veste di autore mediato;
  • in prima persona, per violazioni agli obblighi di legge.

 

La prima ipotesi risponde alla disciplina generale del concorso ridisegnata dal D.L.vo 472/1999, da completare richiamando alcune modifiche introdotte dal successivo D.L.vo 203/1998.

In particolare, è stato previsto che:

–  “le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili”; “in ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative (…), se differiscono da quelle accertate in misura non eccedente il 5%”;

–  “le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave”.

 

Con riguardo alla prima ipotesi, la dottrina ha evidenziato, a più riprese, i diversi aspetti critici della particolare previsione che, nata per venire incontro ai professionisti, finisce per fissare dei “paletti” che rischiano di essere dannosi, allorché, superato il limite di legge, il consulente possa essere sanzionato anche in presenza di valori soggettivi generati dalla stima eseguita in base a criteri di diligenza.

Per quanto concerne, invece, la previsione della “speciale” difficoltà prospettata dalle nuove disposizioni, ai fini della non sanzionabilità del consulente chiamato ad interpretare le norme e ad agire secondo le stesse, preme rimarcare, in questa sede, come le disposizioni tributarie, rispetto a quelle civili, risultino ormai da anni estremamente dinamiche, ambigue e spesso foriere di oggettivi dissimili interpretazioni, il che rende di sicuro non agevole individuare le caratteristiche di complessità cui si riferisce la legge.

D’altro canto, nel settore operano diverse categorie di consulenti, con variegati gradi di preparazione ed esperienza, con la conseguenza che un caso estremamente complesso per l’uno potrebbe risultare particolarmente agevole per un altro.

Fatta questa breve premessa sulla disciplina a titolo particolare riservata ai professionisti, occorre verificare, ai fini della configurabilità del concorso, la sussistenza di quegli aspetti di ordine psicologico che si concretizzano nel rendere più probabile la violazione del contribuente o nel favorirla.

In altri termini, l’illecito apporto concorsuale del consulente potrebbe manifestarsi nella forma dell’istigazione, che si configura, come noto, ogni qualvolta il professionista segnali, stimoli o istruisca il contribuente su come realizzare l’indebito risparmio fiscale.

Non sussisterebbe, invece, responsabilità concorsuale allorquando il contribuente, destinatario dell’azione istigatrice, fosse già previamente e fermamente determinato a commettere la violazione.

Per altro verso, sembra difficile ipotizzare una responsabilità esclusiva del solo professionista per errori o inadempienze negli adempimenti che la legge impone al proprio cliente.

La tematica è stata oggetto di specifico esame nel campo del diritto penale tributario, in relazione alla delega di funzioni dai contribuenti verso i consulenti tributari.

Il problema rileva sotto due profili: i limiti della responsabilità del delegante e l’assunzione di responsabilità da parte del delegato.

In questo caso, vale il principio che il contribuente non può liberarsi dei propri doveri delegandoli puramente e semplicemente ad altri, permanendo di massima un obbligo di controllo, sufficiente a mantenerlo in genere responsabile a titolo colposo, mentre il professionista diviene responsabile quale autore atipico o parziale dell’illecito.

Per completezza, pare opportuno ricordare, infine, che sia da escludere qualsiasi responsabilità a carico del professionista nella situazione della “connivenza”, cioè della semplice conoscenza da parte del consulente del fatto che il contribuente stia tenendo un comportamento lesivo degli interessi erariali.

In tal caso, infatti, la mancata partecipazione materiale all’illecito, in considerazione dell’inesistenza di un obbligo a carico del consulente di impedire l’evento, sarebbe sufficiente a escludere lo stesso da qualsiasi ipotesi concorsuale.

Secondo la stessa Amministrazione, d’altro canto, dovrebbe escludersi che

“(…) la mera conoscenza di un comportamento gestito in prima persona dall’assistito faccia scattare una responsabilità del concorso; il concorso richiede, infatti, un atteggiamento attivo di cooperazione e di consenso da parte del concorrente; è probabile che questo atteggiamento attivo manchi quando si tratti di pareri pro veritate sulla legittimità di un determinato comportamento, specie quando il parere metta in luce la possibilità di una contraria interpretazione e si limiti ad affermare la sostenibilità di una fondata tesi con fondate prospettive di vittoria”

(circolare ministeriale n. 180/E del 10/07/1998, in precedenza citata).

 

Passando alla seconda ipotesi di responsabilità del professionista, quella dell’autore mediato, cioè di violazioni commesse inconsapevolmente dal cliente a causa di errori del consulente, appare evidente, anche in questo caso, la difficoltà per l’autore materiale del fatto, chiamato in prima istanza a rispondere dell’illecito, di dimostrare la sussistenza dell’errore, di cui non si ha colpa, causato dal terzo al quale ci si sia rivolti per gli adempimenti tributari.

Sul tema, l’Amministrazione finanziaria, con la succitata circolare, chiamata ad una prima interpretazione nella delicata questione, ha avuto modo di affermare:

“Non si ritiene che la disposizione prevista dall’art. 10 del D.L.vo 472/1997 possa tradursi in un aggravamento da responsabilità professionale, come paventato da qualcuno.

È da escludere, cioè, che qualsiasi parere inesatto fornito dal professionista al cliente possa dare origine alla fattispecie del cosiddetto autore mediato.

Al riguardo, la relazione illustrativa del decreto anzicitato sottolinea che la previsione dell’art. 10 deve essere coordinata con quella dell’art. 6, secondo comma, cosicché non è prospettabile responsabilità mediata per i pareri resi e le indicazioni date nell’ambito di un’attività professionale, se non nelle ipotesi di colpa grave (negligenza, inerzia, imprudenza).

In ogni caso, appare evidente la difficoltà per l’autore materiale, che sarà il soggetto su cui, in prima battuta, l’Amministrazione finanziaria addosserà la responsabilità dell’illecito, di dimostrare la sussistenza dell’errore incolpevole determinato da altri.

All’uopo non può sicuramente bastare una semplice sua asserzione, mentre, per contro, gioverà al professionista la specificazione dell’ampiezza del mandato ricevuto dal proprio cliente”.

Sempre riguardo alla sanzionabilità del solo professionista, inoltre, la citata circolare n. 180/E ha successivamente chiarito come, anche in merito all’ipotesi di autore mediato, la responsabilità del consulente chiamato alla risoluzione di problemi di speciale difficoltà risulti limitata ai casi di dolo o colpa grave.

 

Sul tema, quindi, prendendo a riferimento l’orientamento prevalente, pare di poter affermare che la sanzionabilità del professionista, quale autore mediato, emerga allorquando si verifichi al contempo che:

  • siano ravvisabili in capo al professionista i presupposti della colpa grave o del dolo, ove la consulenza o il parere riguardino la soluzione di problemi di difficoltà tale da non risultare risolvibili in base ad una normale diligenza professionale (speciale difficoltà) e della colpa semplice (o lieve), quando l’errore o l’omissione riguardino la soluzione di problemi di ordinaria amministrazione;
  • l’errore inerisca alle funzioni professionali contemplate nell’ambito del mandato, il che genera, per evitare sicure contestazioni, la necessità di porre in essere contratti scritti particolarmente meticolosi, che contemplino specificamente tutte le prestazioni a carico del professionista e gli adempimenti che, di contro, permangono in capo al cliente;
  • il cliente resti completamente ignaro degli eventuali rischi derivanti dall’operazione, ai suoi occhi perfettamente lecita;
  • nella scelta del consulente, non possa venire eccepita al contribuente una culpa in eligendo.

 

Per concludere il quadro, occorre esaminare quelle ipotesi di responsabilità diretta ed esclusiva del consulente in relazione al disposto:

  • dell’art. 6, terzo comma, del D.L.vo 472/1997, quando afferma che “il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”: proprio perché responsabile è quel “terzo”, cioè, in ipotesi, il professionista;
  • l’art. 39 del decreto legislativo di riforma dell’assistenza fiscale, che prevede, a carico del professionista, delle sanzioni (pecuniarie ed accessorie) derivanti da infedeltà in sede di rilascio:
    • del visto di conformità dei dati esposti nella dichiarazione, ai dati documentali o alle scritture contabili di riferimento;
    • della asseverazione che gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all’Amministrazione finanziaria e rilevanti ai fini degli studi di settore corrispondono al vero;
    • della certificazione tributaria di avvenuta esecuzione degli adempimenti, dei controlli e delle attività prescritti (annualmente) dall’apposito decreto ministeriale (cosiddetto “visto pesante”).

 

Con riguardo alla prima ipotesi, occorre richiamare la legge 11 ottobre 1995, n. 423, e successive modifiche ed integrazioni, recante “Norme in materia di soprattasse e pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte”, nonché il relativo decreto ministeriale di attuazione, emanato il 2 febbraio 1996.

Con tale provvedimento, il legislatore ha consentito ai contribuenti ed ai sostituti d’imposta “truffati” di ottenere, in un primo momento, la sospensione della riscossione delle sanzioni previste nell’ipotesi de quibus e, successivamente, lo sgravio delle stesse. Sono rimasti a carico del contribuente, soltanto, gli interessi maturati sulle somme ancora dovute a titolo di imposta all’Erario.

Ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della responsabilità, il fisco si limita a prendere atto dell’esito del giudizio penale, durante il quale viene accertato il carattere illecito della condotta del consulente e la sussistenza, o meno, della relazione causale tra la condotta – corresponsione da parte del contribuente di una determinata somma di denaro e impossessamento della stessa da parte del consulente – e l’evento – il mancato versamento delle imposte.

È, altresì, necessario che l’incarico sia stato conferito ad un soggetto professionalmente qualificato, con specifico riguardo all’adempimento degli obblighi di versamento dei tributi.

È opportuno, inoltre, sottolineare che non può essere concesso, da parte dell’Amministrazione finanziaria, alcun provvedimento di sospensione della riscossione (e conseguente provvedimento di sgravio delle sanzioni) nei confronti del contribuente, qualora quest’ultimo abbia promosso soltanto l’azione civile e non anche quella penale.

In sede di primo commento della norma de qua, è stato sostenuto che la disciplina dettata dall’art. 6, terzo comma, del decreto delegato debba ritenersi, sia pure riconoscendone la palese insufficienza, assorbente nei confronti della previgente normativa e che, dunque, questa dovrebbe considerarsi implicitamente abrogata.

Altri hanno parlato di modifica sostanziale dell’impostazione derivante dalla citata L. 423/1995.

Una ulteriore posizione dottrinaria ha sostenuto la non condivisibilità delle precedenti ricostruzioni teoriche, in quanto l’enunciazione della sola causa di inapplicabilità della sanzione nei termini stabiliti sarebbe notevolmente carente a disciplinare il contesto delle fattispecie dalla stessa delineate.

Nel condividere tale ultima posizione, si ritiene che la norma in commento abbia contenuto “di principio” e non regolamentare, esigendo, effettivamente, un puntuale coordinamento con la disciplina (necessaria) di dettaglio, peraltro, attraverso una modifica ben più ampia di quella prevista nella richiamata L. 164/1998.

responsabilità del professionista per reati tributariPassando al tema della responsabilità del professionista, in veste di “ausiliaro” dell’Amministrazione finanziaria, occorre ricordare che, in caso di infedeltà nel rilascio del “visto di conformità”, di infedele “asseverazione ai fini degli studi di settori” e di rilascio di certificazione tributaria in assenza delle condizioni previste dalla legge e dal regolamento, il decreto prevede sanzioni amministrative, che vanno, a seconda dei casi, da lire 500.000 (€ 258,17) a lire 5.000.000 (€ 2.581,71) o da lire 1.000.000 (€ 516,34) a lire 10.000.000 (€ 5.163,42), per poi giungere, nel caso di tre violazioni reiterate, all’inibizione della possibilità di rilasciare il visto di conformità o l’asseverazione o, ancora, la certificazione.

Al di là delle legittime preoccupazioni degli interessati, è evidente che quando – per incuria o imprudenza o imperizia – il professionista non si accorge del “vero”, o comunque attesta il “falso”, incorre in violazioni che comportano sanzioni, pecuniarie o accessorie, che sono, però, dovute, nel caso specifico, ad una inadempienza professionale, prima ancora che a violazioni tributarie.

Inoltre, la Corte di Cassazione, Sezione III Civ., con  la sentenza n. 10966 del 14/01/2004, depositata l’08/06/2004, ha precisato che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivata, la valutazione del giudice di merito circa la colpa del professionista (nella specie, commercialista); in particolare, non presenta vizi logici la considerazione secondo cui il professionista se avesse esaminato con la dovuta diligenza gli atti tributari notificati al proprio cliente, constatando che essi contenevano avvisi di accertamento, avrebbe provveduto all’impugnazione degli atti stessi, data l’aspettativa di un imminente condono fiscale.

Non è sindacabile, inoltre, in sede di legittimità – se correttamente motivata – la valutazione del giudice di merito circa il presumibile esito di una controversia, ai fini della quantificazione del danno cagionato dalla colpa del professionista che non abbia impugnato un accertamento tributario.

Infine, la Corte di Cassazione, Sez. Seconda Civile, con la sentenza n. 22026 del 22/11/2004 ha stabilito il principio che la colpa del professionista non ha bisogno di certezze ma di ragionevoli probabilità. Infatti, in tema di responsabilità civile le difese ed i mezzi di prova dei clienti che si ritengono danneggiati dal professionista che sbagli il ricorso in Commissione tributaria devono essere esaminati dal giudice non in vista dell’acquisizione della certezza assoluta di un esito positivo della lite, con pretesa di deduzione ed allegazione di tutti gli elementi necessari alla pronuncia sulle questioni e valutazione sostitutiva di quella del giudice al cui esame le stesse avrebbero dovuto essere sottoposte; bensì, formulando una valutazione prognostica circa la sussistenza di un consistente fumus boni iuris o, se si vuole, di serie ed apprezzabili possibilità di successo delle azioni, tali che le contestazioni degli accertamenti, così sotto il profilo formale come sotto quello sostanziale, sull’an come sul quantum, avrebbero avuto, in tutto od in parte, ragionevoli probabilità di accoglimento.

In definitiva, quindi, è sempre necessario usare la massima diligenza ed attenzione nell’esercizio dell’attività professionale per evitare gravi danni economici ai clienti ed a se stessi.

CommercialistaTelematico ha pubblicato tantissimi approfondimenti sulla materia, si veda ad esempio:

Responsabilità professionale del commercialista: alcune considerazioni

La responsabilità del professionista nello svolgimento degli incarichi professionali

Il commercialista risponde delle violazioni commesse dalla società cliente?

 

gennaio 2005

AVV. Maurizio villani