La responsabilità fiscale dell'amministratore di fatto

in caso di fatti di evasione fiscale, anche l’amministratore di fatto della società ne risponde

sentenza corte di cassazioneL’articolo 2639(1) del codice civile afferma che l’amministratore di fatto di una società è da ritenersi responsabile di tutti quei doveri cui è soggetto normalmente anche l’amministratore di diritto; sull’argomento del cd. amministratore di fatto si è espressa di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 33385 del 29 agosto scorso.

Per i giudici di legittimità anche l’amministratore di fatto risponderà per evasione fiscale e omessa presentazione della dichiarazione dei redditi della società.

Accade sempre più spesso che negli accertamenti e verifiche effettuate da parte dell’amministrazione finanziaria nei confronti di società, accanto o in alternativa a reati imputabili all’amministratore di diritto, si annoverano le attività poste in essere da soggetti non investiti formalmente dall’attività di gestione.

Socio testa di legno

Il fenomeno è generalmente collegato a intenti fraudolenti indirizzati all’evasione delle imposte mediante l’attribuzione di cariche societarie ad una c.d. “testa di legno” ossia ad un soggetto privo di qualsivoglia possidenza patrimoniale, nei confronti dei quali si renderebbe vana ed inutile qualsiasi azione esecutiva erariale.

In questi casi, i rappresentanti del Fisco devono eseguire le proprie attività nei confronti di un amministratore “apparente” e uno “di fatto” e questo nella consapevolezza che la responsabilità penale può manifestarsi in relazione sia al principio della “personalità” del reato sia alla specifica attribuzione funzionale corrente tra la società ed il soggetto ad essa legalmente preposto. In questo contesto resta indubbia la necessità di individuare e punire chi, per un comportamento omissivo o commissivo, possa aver configurato, tramite il proprio comportamento, ad una responsabilità penale derivante dalla violazione di un obbligo giuridico che, nella fattispecie in commento, è “un obbligo di agire, passibile quindi della composizione di un c.d. reato omissivo proprio”.

La vicenda trae origine a seguito della sentenza del Tribunale che aveva confermato il decreto del Giudice per le Indagini Preliminari; il GIP aveva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di un amministratore di fatto di una SRL per aver omesso di presentare le dichiarazioni annuali IRES e IVA per gli anni di imposta 2007, 2008 e 2009, con il conseguente mancato versamento delle imposte dovute per un ammontare complessivo superiore a un milione di euro.

Occorre evidenziare che è molto più diffusa di quanto possa immaginarsi, ed è spesso collegata a fenomeni fraudolenti e particolarmente insidiosi, strumentali all’evasione delle imposte, l’attribuzione di cariche societarie in capo a meri prestanome che si impegnano in maniera più o meno inconsapevole ad assumersi ogni responsabilità amministrativa ed eventualmente penale2.

È in tali circostanze che viene a delinearsi la figura dell’amministratore di fatto, ovverosia di colui che, senza una investitura formale, si inserisce nella gestione di una società, esercitando in modo continuativo funzioni gestorie riservate dalla legge agli amministratori di diritto, con il loro consenso espresso o tacito e comunque senza alcuna opposizione da parte degli stessi. In proposito, l’art. 2639 del codice civile, con riferimento ai reati societari, ha risolto il contrasto dottrinale e giurisprudenziale sui criteri di individuazione di tale figura, assimilando i soggetti di diritto a quelli di fatto ed affermando testualmente che “al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

La sentenza del 17 gennaio 1999, n. 3333, della Corte di Cassazione ha affermato che la qualifica di amministratore spetta non solo a colui che ha la rappresentanza della società di fronte ai terzi, ma anche al soggetto che di fatto esercita il potere di decisione sulla gestione del patrimonio.

La penale responsabilità deve sempre essere commisurata, infatti, alla stregua di un fatto proprio, per cui il criterio di individuazione, basato sul dato fattuale prevale su quello dell’investitura formale.

Nel ricorso, oggetto del presente commento, l’amministratore ricorrente aveva evidenziato la errata applicazione della legge penale in riferimento agli articoli 40 del codice penale e all’articolo 5 del D.Lgs. n.74/2000, nonchè degli articoli 2475, 2476 e 2383 del codice civile.

Per giudici di legittimità è ormai un consolidato orientamento giurisprudenziale , anche se per i reati fallimentari, quello che il soggetto che assume, in base alla disciplina contenuta nell’articolo 2639 del codice civile, la qualifica di amministratore di fatto di una società è da ritenersi gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui se concorrono altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della norma contenuta nell’articolo 40, secondo comma , del codice penale.

Per giudici di legittimità si tratta di un principio di diritto che trova il proprio fondamento nella sostanziale equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto, che ha prevalentemente natura interpretativa di precedenti, consolidati orientamenti giurisprudenziali.

In sostanza, secondo i giudici di legittimità, l’equiparazione effettiva tra amministratore di fatto e di diritto “… assume portata generale in relazione a tutti i comportamenti commissivi o omissivi dell’amministratore di diritto, essendo tenuto l’amministratore di fatto ad impedire le condotte vietate riguardanti l’amministrazione della società ovvero pretendere l’esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge, con la conseguente responsabilità dello stesso in sede penale ex art. 40, comma secondo, c.p.” (secondo cui non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo), sempreché, ovviamente, sussistano le condizioni previste dal citato articolo 2639 codice civile per riconoscere nel soggetto agente la qualità di amministratore di fatto della società.

Nella parte finale della sentenza i giudici di legittimità affermano che dalla documentazione emerge che l’amministratore di diritto non ha effettuato nessun atto di gestione negli anni di imposta che sono stati oggetto di accertamento; per converso in riferimento agli stessi anni di imposta risulta che il ricorrente “amministratori di fatto”, ha provveduto all’invio telematico del modello 770 per l’anno di imposta 2007, e contestualmente si è anche qualificato come amministratore e legale rappresentante della società nell’assemblea svoltasi nel giugno del 2009 (come risulta dal verbale notarile).

La Corte di Cassazione per tali motivi ritiene infondato il ricorso dell’ex amministratore di fatto della SRL e lo condanna anche al pagamento delle spese processuali.

18 febbraio 2013

Federico Gavioli

 

NOTE

1 L’articolo 2639 del Codice Civile afferma che “Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati all’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi”.

2 La sentenza della Corte di Cassazione n. 23425 del 10 giugno 2011 ha stabilito che deve ritenersi ammissibile la configurabilità del concorso dell’amministratore di fatto nei reati commissivi, ma anche in quelli omissivi propri, nel senso che autore principale del reato è proprio l’amministratore di fatto salva la partecipazione di estranei all’amministrazione secondo le regole del concorso di persone nel reato.