La Relazione sull’economia non osservata è un importante termometro per valutare lo stato di salute del nostro sistema fiscale. Vediamo i dati relativi al 2019 e 2020, corredati delle possibili misure di contrasto da implementare
Premessa e definizione di tax gap adottata nella Relazione sull’economia non osservata
L’obiettivo principale della Relazione sull’economia non osservata è fornire una stima ufficiale delle entrate tributarie e contributive sottratte al bilancio pubblico.
Per adempiere a questo mandato, viene effettuata una misurazione del divario (gap) tra le imposte e i contributi effettivamente versati e le imposte e i contributi che i contribuenti avrebbero dovuto versare in un regime di perfetto adempimento degli obblighi tributari e contributivi previsti a legislazione vigente.
Tale misurazione viene poi allegata alla Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza).
Nel 2020, il consolidamento dell’insieme dei tributi considerati ha consentito di confermare che la quota di imposte per le quali è stato stimato il tax gap ammonta all’93,1%.
Pertanto, la quota effettiva di imposte per le quali è ancora necessario effettuare una stima del tax gap è pari al 6,9%.
La relazione evidenzia, sotto il profilo definitorio, che si definisce tax gap il divario tra gettito teorico e gettito effettivo.
Questa misura identifica in prima battuta la tax non compliance, cioè l’ampiezza dell’inadempimento spontaneo da parte dei contribuenti.
Nella Relazione, la scelta è stata quella di limitare il calcolo del tax gap alla sola componente di compliance gap, poiché la valutazione dell’erosione fiscale (policy gap) è demandata al lavoro della Commissione istituita per la redazione del Rapporto annuale sulle spese fiscali (articolo 1 del Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 160).
Nell’ambito del compliance gap, ove possibile, si procede poi alla quantificazione delle due componenti di assessment gap e collection gap, e si riporta la quantificazione del tax gap al lordo del recupero successivo delle entrate tributarie dovuto ad accertamento.
Quale tipo di evasione fiscale misura la Relazione sull’economia non osservata
La metodologia utilizzata nella Relazione è finalizzata alla stima dell’evasione fiscale.
Cioè dell’evasione che si genera dalla sottrazione illegale dall’accertamento e dal pagamento dei tributi da parte del contribuente attraverso l’occultamento, totale o parziale, dei redditi e del patrimonio, voluto intenzionalmente e la conseguente violazione delle norme fiscali.
L’elusione (definizione che, nell’ottica della Relazione, comprende anche il concetto di “abuso del diritto”), invece consiste nell’aggiramento dell’obbligo fiscale, senza violarlo, per mezzo di comportamenti o altri mezzi giuridici tesi ad ottenere un illegittimo risparmio di imposta.
E dunque non sembra rientrare nella stima.
La relazione evidenzia poi che dal settembre 2014 i dati di contabilità nazionale di ciascun Paese europeo devono includere i redditi derivanti dalle attività riconducibili al commercio di sostanze stupefacenti, all’esercizio della prostituzione e al contrabbando di sigarette e alcool.
L’aggregato delle attività illegali è peraltro solo una delle componenti dell’Economia Non direttamente Osservata (NOE), che rientra nei Conti nazionali.
Oltre ad esso, infatti, si considera l’economia sommersa, cioè l’attività di produzione di beni e servizi legali cui corrispondono forme di occultamento per ragioni di evasione fiscale e/o contributiva (sotto-fatturazione o lavoro nero) e l’economia informale, che riguarda attività legali su piccolissima scala prevalentemente basate su relazioni personali e familiari.
Secondo la Relazione, però, mentre la pratica di includere le attività illegali nel calcolo del PIL è sufficientemente consolidata, questione diversa assume la considerazione di quelle stesse attività ai fini sia della misurazione del tax gap.
Tanto premesso, si evidenzia però che tale assunto risulta a ben vedere in contrasto con l’attuale disciplina della tassazione dei proventi illeciti, in base alla quale anche tali componenti dovrebbero invece rientrare a tutti gli effetti nella stima del tax gap.
Ai sensi dell’art. 14, quarto comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art. 6, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, devono infatti essere assoggettati a tassazione, laddove la stessa norma stabilisce che nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, Tuir devono intendersi ricompresi i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo.
Secondo quanto stabilito dall’art. 14 cit., quindi tutte le attività illecite devono essere perseguite, non solo penalmente, ma anche fiscalmente, con tassazione dei relativi proventi.
E dunque non si vede perché anche tale componente del tax gap non debba rientrare nella dovuta stima.
E questo anche considerato che la fattispecie non rileva solo ai fini imposte dirette, ma anche ai fini Iva. Secondo la Corte Suprema infatti, in ogni caso, l’attività illecita deve essere soggetta all’Iva in base ai principi dell’ordinamento comunitario, a cui l’Italia non può sottrarsi, secondo i quali (vedi Corte di giustizia della Comunità europea, causa C-283/95 dell’11 giugno 1998), se vi è concorrenza tra attività svolte lecitamente ed illecitamente, non vi è distinzione tra operazioni lecite ed illecite.
I risultati della stima del tax gap
In media, nel triennio 2014-2016 si osserva un gap complessivo pari a circa 109,7 miliardi di euro, di cui 98,3 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,4 miliardi di mancate entrate contributive.
Limitando l’analisi al biennio 2016-2017, si osserva una riduzione del gap delle entrate tributarie (al netto del lavoro dipendente e della TASI) pari a 1,1 miliardi di euro, imputabile principalmente alla diminuzione del gap dell’IRPEF per il lavoro autonomo e impresa (1,9 miliardi di euro, pari a una diminuzione del 5,5%), parzialmente compensato dall’incremento del gap dell’IVA di 1,1 miliardi di euro (per un incremento del 3,1%).
In generale, nel 2017 emerge una riduzione del gap rispetto al 2016 per l’IRAP, le locazioni, l’IMU e la TASI. Per tutte le altre tipologie di imposte considerate si registra un incremento del gap rispetto al 2016.
In particolare, nel 2017 si osserva un incremento del gap IRPEF di 1,6 punti percentuali, del gap IRES di 0,4 punti percentuali, del gap IVA di 0,5 punti percentuali e del gap accise di 2,3 punti percentuali.
La propensione al gap per le locazioni registra una riduzione notevole, pari a 2,1 punti percentuali.
Nel 2018 si registra poi una riduzione molto ampia del tax gap delle entrate tributarie, che sfiora i 5 miliardi di euro rispetto all’anno d’imposta 2017.
Il risultato è attribuibile agli effetti dell’adozione di importanti misure di contrasto all’evasione fiscale e di miglioramento della tax compliance introdotte negli anni più recenti, anche grazie all’introduzione e poi alla successiva estensione del meccanismo della scissione dei pagamenti in materia di IVA.
Tra il 2017 e il 2018, infatti, la riduzione più importante del tax gap si registra per tale imposta, che passa da 36,8 miliardi di euro nel 2017 a 33,3 miliardi di euro nel 2018, con una flessione complessiva pari a 3,5 miliardi di euro.
Riduzioni significative del tax gap hanno interessato quasi tutte le imposte, con l’unica eccezione della TASI e del canone RAI, dove il tax gap rimane pressoché stabile.
Il tax gap dell’IRPEF da lavoro autonomo e da impresa si riduce di 656 milioni di euro, quello relativo alle accise sui prodotti energetici, di 587 milioni di euro.
Una riduzione minore si osserva per l’IRAP (157 milioni di euro) e per l’IMU (3 milioni di euro).
Nella media del periodo 2013-2018 il gap dell’IRPEF da lavoro autonomo e da impresa, IRES, IVA, IRAP, da locazioni e canone RAI ammonta a circa 84,3 miliardi di euro.
La scomposizione per tipologia di tributo mostra il gap maggiore con riferimento all’IVA, per un valore pari a 35,5 miliardi di euro.
La seconda voce per importanza è il gap dell’IRPEF da lavoro autonomo e da impresa, che risulta pari a quasi 32 miliardi di euro, seguita dall’IRES con 9,2 miliardi di euro.
Se si focalizza l’attenzione sull’ultimo biennio disponibile, si osserva comunque una importante contrazione del gap (-5,2 punti percentuali), che passa da 84,3 miliardi di euro nel 2017 a 79,9 miliardi nel 2018, con una diminuzione di circa 4,4 miliardi di euro.
La performance dell’Amministrazione finanziaria
Focalizzandosi sui risultati dell’Agenzia delle Entrate, nel 2019, il risultato annuale relativo all’obiettivo di riscossione complessiva è stato pari a 19,9 miliardi di euro (+3,4% rispetto ai 19,2 miliardi nel 2018), di cui 5,1 miliardi derivano dalla riscossione coattiva, 12,6 miliardi dai versamenti diretti e 2,13 miliardi dalle iniziative relative all’attività di promozione alla compliance.
Nell’ambito dei tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, il recupero ordinario da attività di controllo è stato pari a 16,8 miliardi di euro, con un incremento del 4,1% rispetto all’anno precedente (16,2 miliardi).
Di questi, 11,7 miliardi derivano dai versamenti diretti (somme versate a seguito di atti emessi dall’Agenzia o accordi per deflazionare il contenzioso), che registrano un aumento del 4% rispetto al 2018; 2,1 miliardi sono frutto dell’attività di promozione della compliance, risultato conseguito anche grazie a oltre 2,1 milioni di alert inviati dall’Agenzia.
Il recupero conseguente ai ruoli ordinari di competenza dell’Agenzia delle entrate si attesta, invece, a 3 miliardi.
Le attività di analisi e contrasto in materia antifrode, sempre prendendo a riferimento l’azione dell’Agenzia delle Entrate, hanno portato un rilevante recupero di gettito in relazione alle seguenti fattispecie:
- indebite compensazioni di crediti IVA inesistenti, anche attraverso l’abuso dell’istituto dell’accollo;
- frodi realizzate attraverso l’utilizzo di false dichiarazioni d’intento;
- utilizzo fraudolento di crediti ricerca e sviluppo.
Per quanto concerne le indebite compensazioni, nell’anno è stata registrata una forte espansione dei fenomeni di frode realizzati mediante l’abuso dell’istituto dell’accollo dei debiti tributari.
La successiva attività di contrasto avviata, svolta anche in collaborazione con il Nucleo Speciale Entrate della Guardia di Finanza, ha portato a contestazioni di crediti indebiti utilizzati in compensazione per circa 300 milioni di euro.
Nei primi mesi del 2019, è stato poi avviato uno specifico progetto di portata nazionale (c.d. operazione “ghost fuel”), nell’ambito del quale sono stati intercettati e bloccati crediti IVA inesistenti per quasi 1 miliardo di euro prima del loro utilizzo in compensazione.
Per quanto riguarda invece il fenomeno delle frodi IVA connesse all’utilizzo di false dichiarazioni d’intento, utilizzate per effettuare acquisti senza IVA da parte di società create ad hoc, intestate a prestanome che non adempiono gli obblighi di versamento dell’IVA e immettono beni sottocosto sul mercato, nel corso del 2019 sono stati oggetto di attività di verifica falsi esportatori abituali per un plafond totale indicato nelle dichiarazioni di intento pari ad oltre 240 milioni di euro.
Gli effetti delle misure di policy su contrasto ad evasione fiscale
Tra le principali novità della Relazione 2020 si possono menzionare infine le analisi di alcune delle misure introdotte e/o modificate per prevenire e contrastare l’evasione fiscale.
In particolare sono:
- discussi gli effetti del passaggio dagli studi di settore agli indicatori di affidabilità;
- valutati gli effetti dell’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica per tutte le operazioni commerciali con soggetti IVA (B2B) e consumatori finali (B2C);
- stimati gli effetti dell’introduzione dell’obbligo generalizzato di trasmissione dei corrispettivi.
Nel corso dell’anno 2019 si è quindi osservato un incremento del gettito IVA derivante da scambi interni superiore a 2,9 miliardi, segnatamente maggiore a quello atteso in base all’evoluzione del ciclo economico.
In particolare, tra queste, assume rilevanza determinante la quantificazione degli effetti relativi alla fatturazione elettronica, laddove l’introduzione dell’obbligo generalizzato della fatturazione elettronica ha provocato un effetto positivo sulla compliance, con un incremento del gettito quantificabile tra circa 1,7 e 2,1 miliardi di euro.
Se vuoi approfondire ulteriormente, leggi: “Fatturazione elettronica e trasmissione dei corrispettivi: compliance fiscale e lotta all’evasione”
Puoi anche consultare direttamente la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva anno 2020
A cura di Giovambattista Palumbo
Sabato 7 novembre 2020